Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13107 del 24/06/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13107 Anno 2015
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
TARANTINO Antonina, rappresentata e difesa, in forza di procura speci4e in calce al ricorso, dall’Avv. Domenico Galatà,
con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Maria Elisabetta
Tabossi in Roma, via Carlo Dossi, n. 45;

xicorrente

contro
BUSCEMI Baldassarre, CALLACI Paolo, CALLACI Rosario, CALLACI

Lucia, MONACO Anna, De GREGORIO Anna Gabriella, CALLACI Antonino, CALLACI Massimo Maria, CALLACI Rosario, CALLACI Lucia;
– intimati –

avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Palermo depositata il 4 febbraio 2009.

Data pubblicazione: 24/06/2015

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 maggio 2015 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito l’Avv. Domenico Galatà;

curatore Generale dott. Luigi Salvato, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto che, con atto notificato 1’8 e il 9 maggio 2007,

Antonietta Tarantino ha proposto appello avverso la sentenza
in data 27 marzo 2006 con cui il Tribunale di Sciacca aveva
rigettato la sua domanda;
che l’atto di appello è stato notificato ai convenuti costituiti in primo grado – Baldassarre Buscemi, Paolo Callaci,
Anna Monaco, Rosario Callaci e Lucia Callaci – presso i rispettivi domicili eletti;
che all’udienza collegiale di prima comparizione del 30 novembre 2007, il procuratore dell’appellante, avendo avuto notizia che in data 30 settembre 2006 era deceduto l’appellato
Paolo Callaci, ha chiesto termine per integrare il contraddittorio nei confronti degli eredi di quest’ultimo;
che la Corte d’appello di Palermo ha concesso il termine
richiesto ed ha disposto che la notifica venisse effettuata
almeno entro novanta giorni dall’udienza del 26 settembre
2008, alla quale ha rinviato la causa;
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udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Pro-

che l’udienza del 26 settembre 2008, non essendo comparso
nessuno, è stata rinviata all’udienza del 16 gennaio 2009;
che all’udienza del 16 gennaio 2009 l’appellante ha chiesto
un ulteriore termine per effettuare la notifica dell’atto di

integrazione del contraddittorio notificato a Anna Gabriella
De Gregorio ed altri l’udienza del 30 novembre 2008, in luogo
di quella esatta del 26 settembre 2008, e non essendosi costituita nessuna delle parti citate;
che la Corte d’appello di Palermo, con ordinanza resa
pubblica il 4 febbraio 2009, ha dichiarato inammissibile
l’appello;
che a tale decisione la Corte territoriale è giunta rilevando che l’erronea indicazione della data dell’udienza di
comparizione delle parti, contenuto nell’atto di citazione,
non essendo riconoscibile, ha determinato incertezza in ordine
alla data in oggetto, equiparabile alla mancanza di tale data,
e, pertanto, costituisce nullità dell’atto di citazione, a
norma dell’art. 164 cod. proc. civ., e sottolineando che
dall’omessa integrazione del contraddittorio nel termine fissato consegue l’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 331,
secondo comma, cod. proc. civ., non potendo essere concesso un
nuovo termine per rinnovare l’atto di citazione nullo, stante
la non prorogabilità del termine inizialmente concesso;
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integrazione del contraddittorio, avendo indicato nell’atto di

che per la cassazione dell’ordinanza della corte d’appello
la Tarantino ha proposto ricorso, con atto notificato il 2
febbraio 2010;
che nessuno degli intimati ha resistito con controricorso;

una memoria illustrativa.
Considerato

che, preliminarmente, va dato atto che

l’ordinanza con cui la Corte d’appello dichiara inammissibile
l’appello ha natura formale di sentenza, trattandosi di provvedimento decisorio e definitivo, sicché detto provvedimento
del giudice d’appello è ricorribile in cassazione ai

sensi

dell’art. 360 cod. proc. civ. (Cass., Sez. II, 17 aprile 2001,
n. 5610; Cass., Sez. III, 17 maggio 2007, n. 11434);
che il ricorso è affidato a tre motivi;
che con il primo

motivo

(illegittimità dell’ordinanza-

sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli
artt. 331 e 332 cod. proc. civ. e vizio di motivazione) si de-

duce che Paolo Callaci, nell’intervenire nel primo grado di
giudizio nella causa promossa dalla Tarantino nei confronti
del Buscami, ha introdotto nei confronti della Tarantino una
distinta ed autonoma azione di rivendica, del tutto autonoma
rispetto alle domande proposte dalla Tarantino nei confronti
del convenuto,

sicché la norma da applicare era quella di cui

all’art. 332 cod. proc. civ., prevedente la notificazione

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che in prossimità dell’udienza la ricorrente ha depositato

dell’impugnazione soltanto come

litis

denuntiatio, la cui i-

nosservanza non comporta l’inammissibilità dell’impugnazione;
che il motivo è affidato al

seguente quesito di diritto:

“Esamini la Corte, in relazione all’art. 360, primo comma, nn.

violazione e falsa applicazione dell’art. 331, secondo comma,
cod. proc. civ., essendo la causa scindibile rispetto alle diverse parti. Esamini la Corte se alla ipotesi

de qua va appli-

cato l’art. 332 cod. proc. civ.”;
che con il secondo mezzo (violazione degli artt. 299 e 300
cod. proc. civ.) la ricorrente sostiene che, poiché Paolo Callaci è deceduto il 30 marzo 2006, la notifica dell’atto di appello è stata fatta ritualmente al Callaci nel domicilio eletto, onde non incombeva sulla appellante alcun onere di comunicazione del giudizio di appello ed ancor più di integrazione
del relativo contraddittorio;
che il motivo si conclude con il quesito “se la impugnata
ordinanza-sentenza è illegittima per violazione degli artt.
299 e 300 cod. proc. civ. e per vizio di motivazione sul punto
ed erronea valutazione degli atti e presupposti”;
che con il terzo mezzo (illegittimità dell’ordinanzasentenza per violazione degli artt. 184-bis, 294 e 164 cod.
proc. civ., nonché per vizio di motivazione ed erronea valutazione degli atti) si deduce che l’ordinanza di integrazione
del contraddittorio è stata eseguita e che solo per errore è

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3, 4 e 5, se la impugnata ordinanza-sentenza è illegittima per

stata indicata una diversa data di comparizione, sicché ricorrevano i presupposti per concedere il nuovo termine;
che

il motivo è corredato del quesito “se la impugnata or-

dinanza-sentenza è illegittima per violazione degli artt. 184-

civ.; ed altresì per vizio di motivazione sul punto ed erronea
valutazione degli atti e presupposti”;
che tutti e tre i motivi – come rilevato dal pubblico ministero – sono inammissibili per inidoneità dei quesiti di diritto che li corredano, i quali non rispettano la prescrizione
di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., ratione temporis

ap-

plicabile;
che alla stregua della letterale formulazione del citato
art. 366-bis cod. proc. civ. – introdotto, con decorrenza dal
2 marzo 2006, dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e
abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall’art. 47 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, ma applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate tra il 3 marzo 2006 e il 4
luglio 2009 (cfr. art.58, comma 5, della legge n. 69 del 2009)

bis e 294 cod. proc. civ., nonché dell’art. 164 cod. proc.

– questa Corte è ferma nel ritenere che «il quesito di diritto
imposto dall’art. 366-bis cod. proc. civ., rispondendo
all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una
decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica 011

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della S.C. di cassazione, il principio di diritto applicabile
alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la
risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
generale, e non può consistere in una mera richiesta di acco-

mità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di
una regola lurls che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza
pugnata» (Cass., n. 11535 del 2008; Cass., S.U., n. 2863 del
2009);
che, in particolare, il quesito di diritto di cui all’art.
366-bis cod. proc. civ. deve compendiare: «a) la riassuntiva
esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di
merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto
che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al
caso di specie» (Cass. n. 19769 del 2008) e «non può essere
desunto dal contenuto del motivo, poiché in un sistema processuale, che già prevedeva la redazione del motivo con
l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del
disposto di cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., introdotto

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glimento del motivo o nell’interpello della Corte di legitti-

dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo,
di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione
stessa, funzionalizzata alla formazione Immediata e diretta

funzione nomofilattica della Corte di legittimità» (Cass.,
ord. n. 20409 del 2008);
che ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., dunque, il
quesito inerente ad una censura in diritto – dovendo assolvere
alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio
giuridico generale – non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per
mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola
lettura, l’errore asseritamene compiuto dal giudice di merito
e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza
della propugnata petizione di principio o della censura così

del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della

come illustrata nello svolgimento del motivo (Cass. n. 3530
del 2012);
che i quesiti nella specie proposti sono idonei perché si
risolvono, tutti, nella mera iterazione della rubrica del motivo e nell’interpello se la censura così come rubricata sia
fondata, ma non indicano né la fattispecie rilevante, né la

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regula íurís applicata dal giudice a quo né il diverso princi-

pio di diritto che dovrebbe disciplinare il caso;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

suno degli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
PER QUESTI MOTIVI

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 21

che non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo nes-

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