Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13105 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 07/02/2020, dep. 30/06/2020), n.13105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. LO SARDO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. MARTORELLI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 5666/2015 R.G., proposto da:

la “Baia Hotel S.r.l.”, con sede in Vietri sul Mare (SA), in persona

dell’amministratore unico pro tempore, rappresentata e difesa

dall’Avv. Stefania Iasonna, con studio in Roma, ove elettivamente

domiciliata, giusta procura in margine al ricorso introduttivo del

presente procedimento;

– ricorrente –

contro

il Comune di Salerno, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

e

l'”Equitalia Sud S.p.A.” (già “Equitalia Polis S.p.A.”), con sede in

Roma, in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro

tempore, in qualità di agente della riscossione;

– intimata –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale

di Napoli – Sezione Staccata di Salerno il 2 luglio 2014 n.

6619/09/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

febbraio 2020 dal Dott. Lo Sardo Giuseppe;

rilevato che gli intimati non si sono costituiti nel presente

procedimento;

rilevato che nessuno è comparso per la ricorrente;

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale,

Dott. Giovanni Giacalone che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 2 luglio 2014 n. 6619/09/2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli – Sezione Staccata di Salerno accoglieva l’appello proposto dal Comune di Salerno nei confronti della “Baia Hotel S.r.l.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno l’11 maggio 2012 n. 363/15/2012, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento con la quale l'”Equitalia Polis S.p.A.” (ora “Equitalia Sud S.p.A.”), nella qualità di concessionaria per la riscossione del Comune di Salerno, aveva ingiunto alla “Baia Hotel S.r.l.” il pagamento della T.A.R.S.U. per l’anno 2009; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso della contribuente sul rilievo dell’equiparazione degli immobili con destinazione alberghiera agli immobili con destinazione abitativa in ragione dell’omogenea potenzialità di produrre rifiuti. La Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, rilevando che gli immobili con destinazione alberghiera denotano una maggiore potenzialità di produrre rifiuti secondo un dato di comune esperienza.

2. Avverso la sentenza di appello, la “Baia Hotel S.r.l.” proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 17 febbraio 2015 ed affidato a quattro motivi; il Comune di Salerno e rEquitalia Sud S.p.A.” (già “Equitalia Polis S.p.A.”) non si costituivano in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente ritenuto che gli immobili con destinazione alberghiera e gli immobili con destinazione abitativa siano equiparabili sul piano della potenzialità di produrre rifiuti e debbano, perciò, essere assoggettabili a T.A.R.S.U. in modo uniforme.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia (implicitamente) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè difetto di istruttoria e di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver valutato che l’adozione di tariffe più elevate per gli immobili con destinazione alberghiera debba essere adeguatamente motivata dall’ente impositore con riguardo ai presupposti di fatto e di diritto in relazione alla maggiore potenzialità di produrre rifiuti rispetto agli immobili con destinazione abitativa.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 67, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto della “stagionalità” caratterizzante l’attività alberghiera, conseguendone una estrema variabilità della potenzialità di produrre rifiuti in relazione al diverso andamento delle presenze nel corso dei vari periodi dell’anno.

4. Con il quarto ed ultimo motivo, la ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver omesso di motivare in ordine alla disapplicazione del regolamento comunale nella parte relativa alla diversificazione della tassazione tra gli immobili con destinazione alberghiera e gli immobili con destinazione abitativa.

5. I motivi sono suscettibili di trattazione congiunta in ragione della stretta connessione delle questioni prospettate. Non senza rilevare un’impropria commistione, in sede di esposizione, tra le censure aventi ad oggetto violazione o falsa applicazione di norme di legge ed incongruità della motivazione, che, comunque, non impedisce l’esame separato dei distinti ed autonomi profili di doglianza, escludendone la valutazione preclusiva di inammissibilità.

5.1 Deve, innanzitutto, osservarsi che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 68, lascia ai Comuni un ampio spazio di discrezionalità nell’esercizio della potestà regolamentare in materia di TA.R.S.U., limitandosi a prevedere che, ai fini della classificazione in categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti tassabili con la medesima misura tariffaria, i Comuni tengono conto “in via di massima” di gruppi di attività e tra questi gli esercizi alberghieri sono inseriti nello stesso gruppo delle abitazioni per nuclei familiari (lett. c). Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ciò non significa che la classificazione debba necessariamente essere omogenea per abitazioni ed alberghi e, comunque, la previsione regolamentare di una tariffa T.A.R.S.U. per gli alberghi anche di molto superiore a quella applicata alle case di civile abitazione deve ritenersi del tutto legittima, posto che la maggior capacità produttiva di rifiuti di uno stabile alberghiero, rispetto ad uno di civile abitazione, costituisce dato di comune esperienza (ex plurimis: Cass., Sez. 5″, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5″, 12 gennaio 2010, n. 302; Cass., Sez. 5″, 7 dicembre 2016, n. 25214; Cass., Sez. 5″, 4 aprile 2018, n. 8308; Cass., Sez. 5″, 3 dicembre 2019, n. 31462; Cass., Sez. 5″, 15 gennaio 2020, n. 570).

Peraltro, i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica (Cass., Sez. 5″, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5″, 7 dicembre 2016, n. 25214; Cass., Sez. 5″, 15 gennaio 2020, n. 570).

5.2 Tale principio è pienamente coerente con la giurisprudenza comunitaria, come questa Corte ha già avuto modo di, ribadire, rilevando che, in tema di T.A.R.S.U., la disciplina contenuta nel D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507 sull’individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perchè è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perchè la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni (Cass., Sez. 5, 31 gennaio 2011, n. 2202; Cass., Sez. 5, 9 novembre 2018, n. 28676). Tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 24 giugno 2008 in causa C-188/07 e del 16 luglio 2009 in causa C-254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al T.A.R. della Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della Direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla T.A.R.S.U., nonchè delle norme del regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati). Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale al principio evincibile dall’art. 15 lett. a, della Direttiva 2006/12/CE (già desumibile dall’art. 11 della Direttiva 1975/442/CE), i giudici comunitari hanno affermato che: “è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonchè della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini 3 del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; – nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purchè non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”. Sicchè, in definitiva, “il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sè, contrario al principio “chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442″.

5.3 Quanto all’onere motivazionale posto a carico del Comune, del quale la ricorrente lamenta l’inosservanza, secondo l’orientamento di questa Corte, cui si intende dare continuità, in tema di T.A.R.S.U., non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, poichè la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (Cass., Sez. 5, 23 marzo 2006, n. 22804; Cass., Sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass., Sez. 6, 19 giugno 2018, n. 16165; Cass., Sez. 5, 15 marzo 2019, n. 7437; Cass., Sez. 5, 3 dicembre 2019, n. 31462). 5.4 Va anche richiamata la giurisprudenza di questa Corte che, ribadendo il principio secondo cui non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, ha anche affermato che il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere), per cui la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei Comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico-amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria (in termini: Cass., Sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044).

5.5 Del pari, neppure rileva la richiamata stagionalità dell’attività alberghiera, la quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore (Cass., Sez. 5, 12 marzo 2007, n. 5722; Cass., Sez. 5, 3 agosto 2016, n. 16175; Cass., Sez. 5, Cass., Sez. 5, 15 gennaio 2020, n. 570).

5.6 La decisione del giudice di appello è pienamente aderente ai principi enunciati da questa Corte (che, non a caso, sono stati correttamente e puntualmente richiamati a giustificazione delle ragioni sottese), evidenziando la legittimità del regolamento comunale con riguardo alla tassazione differenziata tra alberghi ed abitazioni in relazione alla eterogenea potenzialità di produzione di rifiuti.

6. Pertanto, stante l’infondatezza dei motivi addotti, il ricorso deve essere rigettato.

7. Nulla per le spese del giudizio di legittimità, non essendosi costituiti gli intimati nel presente procedimento.

8. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese giudiziali; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2020.

Depositato in cancelleria il 30 giugno 2020

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