Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13104 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. I, 14/05/2021, (ud. 22/10/2020, dep. 14/05/2021), n.13104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13099/2019 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in Roma L.go Somalia 53,

presso lo studio dell’avvocato Pinto Guglielmo, e rappresentato e

difeso dall’avvocato Tarchini Maria Cristina, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1577/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 10/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2020 dal Cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 1577/2018 depositata il 10-10-2018, la Corte d’appello di Brescia ha respinto l’appello di A.S., cittadino della (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia che, a seguito di rituale impugnazione da parte del cittadino straniero del provvedimento emesso dalla competente Commissione Territoriale, aveva respinto le sue domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. La Corte territoriale ha ritenuto, per ragioni diverse da quelle indicate dal Tribunale, non credibile il racconto del richiedente. Quest’ultimo aveva riferito di aver lasciato la Nigeria dopo che i suoi genitori erano rimasti uccisi per lo scoppio di una bomba mentre si trovavano al mercato di (OMISSIS), sobborgo di (OMISSIS), e dopo che sua sorella era stata rapita dall’Imam per essersi il richiedente rifiutato di disseppellire i suoi genitori, a cui aveva dato sepoltura in un terreno sito in una località vicina a (OMISSIS), che credeva di proprietà della sua famiglia e che invece era stato ceduto da suo zio all’Imam. Il richiedente riferiva, inoltre, di essersi rivolto alla Polizia di Marababa senza esito positivo e di essere fuggito dalla Nigeria per il timore di subire la stessa sorte di sua sorella, della quale non aveva più notizie. La Corte d’appello ha affermato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), ha escluso la sussistenza di rischio di danno grave, in relazione alla vicenda personale narrata, che era inverosimile, non risultando lo scoppio di una bomba nel villaggio di (OMISSIS). Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte d’appello ha evidenziato che il richiedente proveniva da una zona della Nigeria (Edo State), nella quale non vi erano allarmanti situazioni di conflitto armato interno, violenza indiscriminata ed instabilità politica, come da fonti di conoscenza indicate nella sentenza impugnata. I Giudici d’appello hanno ritenuto che neppure vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo allegati elementi di significativa fragilità o vulnerabilità soggettiva, anche considerando la reale situazione politico sociale dello Stato di provenienza, nonchè valutato che in Nigeria il richiedente aveva ancora la sua famiglia.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che si è costituito tardivamente, al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale, va dichiarata l’inammissibilità della costituzione dell’intimato Ministero dell’interno, tardivamente effettuata con un atto denominato “atto di costituzione”, non qualificabile come controricorso, sostanziandosi il relativo contenuto nella mera dichiarazione di costituirsi in giudizio “con il presente atto al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1”. Risulta, infatti, in tal modo, violato il combinato disposto di cui all’art. 370 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in base ai quali il controricorso deve, a pena di inammissibilità, contenere l’esposizione dei motivi di diritto su cui si fonda, costituendone requisito essenziale (v. Cass., 13/3/2006, n. 5400). Anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato – come nel caso di specie – un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa, pertanto, qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c. (cfr. Cass., 18/04/2019, n. 10813; Cass., 25/09/2012, n. 16261; Cass., 09/03/2011, n. 5586).

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Nel censurare il giudizio di non credibilità, deduce che i Giudici hanno dato rilievo a contraddizioni sul nome del luogo ove si sarebbe verificato l’attacco terroristico che causò la morte dei suoi genitori ((OMISSIS) in luogo di (OMISSIS)). Deduce che detta presunta contraddizione non rendeva non credibile il suo racconto, poichè si era trattato di un errore di trascrizione nel verbale delle dichiarazioni dallo stesso rese alla Commissione Territoriale, ed inoltre rimarca di aver indicato il nome della regione (Nasarawa), così consentendo l’esatta individuazione della località. Lamenta, pertanto, che la Corte territoriale abbia espresso una valutazione negativa di credibilità basata su opinioni personali, senza esercitare un ruolo attivo nell’istruzione della domanda.

3. Con il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria. Ad avviso del ricorrente, la Corte d’appello ha mancato di esaminare o ha fatto cattiva applicazione del citato articolo, senza fare riferimento ad informazioni esaurienti ed aggiornate, essendo stato richiamato dalla Corte d’appello un unico report risalente nel tempo.

4. Con il terzo motivo si duole della violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e deduce che la Corte territoriale, nel negare la protezione umanitaria, non ha considerato la condizione personale di vulnerabilità del ricorrente, costretto a fuggire dal suo Paese per timore di essere ucciso come tutti i suoi familiari, e non ha effettuato la comparazione tra la situazione in cui si trova in Italia e quella in cui si troverebbe in caso di rimpatrio, senza garanzie minime di una vita dignitosa.

4. La doglianza espressa con il primo motivo non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata ed è pertanto inammissibile. La Corte d’appello non ha affatto posto a base del proprio convincimento di non credibilità la contraddizione sul nome del luogo dell’attentato, ma ha, invece, ritenuto che fosse vero e attendibile il nome del villaggio indicato più volte dal ricorrente nel corso dell’audizione ((OMISSIS)), rimarcando, tuttavia, che in detto villaggio non si era verificato alcun attentato e che, di conseguenza, era inverosimile il racconto. Il ricorrente non censura affatto detto percorso argomentativo, sul quale solo è basato il convincimento della Corte d’appello, e si limita ad affermare che si era trattato di un mero errore di indicazione del luogo, ossia svolge argomentazioni inconferenti rispetto al decisum, neppure richiamando le vicende successive allegate in primo grado (sepoltura dei genitori, rapimento della sorella e minacce dall’Imam).

5. Anche la censura di cui al secondo motivo è inammissibile, dal momento che la Corte territoriale ha richiamato quale fonte di conoscenza il rapporto Coi Nigeria del maggio 2018 (la decisione è stata assunta a settembre 2018), e non un report “risalente nel tempo”, non meglio precisato in ricorso, sicchè la doglianza non ha attinenza al decisum.

6. Ugualmente inammissibile è il terzo motivo.

6.1. Occorre premettere, con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

6.2. Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, richiama la normativa di riferimento, nonchè deduce di essere soggetto vulnerabile a causa delle minacce di morte ricevute nel suo paese ed in relazione al pericolo di essere ucciso come i suoi familiari, ossia in ragione della sua vicenda personale ritenuta non credibile dalla Corte di merito, senza dedurre in ricorso di aver allegato nel giudizio di merito ulteriori elementi di vulnerabilità, anche quanto all’inserimento nella realtà sociale italiana, oppure fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019).

Inoltre la situazione del Paese di origine, in termini generali ed astratti, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

6.3. Circa la denunciata violazione dell’art. 10 Cost., secondo il costante orientamento di questa Corte, a cui il Collegio intende dare continuità, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3 (tra le tante Cass. n. 16362/2016 e Cass. n. 11110/2019). La tutela complessivamente risultante dai tre istituti suindicati, non trovando applicazione nella specie la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, per quanto si è detto, è idonea a garantire la protezione di ogni condizione di vulnerabilità rilevante in base ad obblighi costituzionali o internazionali.

7. Nulla si dispone circa le spese del giudizio di legittimità, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

8. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 22 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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