Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1310 del 26/01/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 1310 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA
sul ricorso 24847-2013 proposto da:
MERIDIANA FLY SPA 03184630964 in persona dell’amministratore
delegato e MERIDIANA SPA in persona del Presidente del Consiglio
di Amministrazione, elettivamente domiciliate in ROMA, -VIALE
GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio degli avvocati CARLO
BOURSIER NIUTTA, ANTONIO ARMENTANO, MARCELLO
DE LUCA TAMAJO, che le rappresentano e difendono giusti mandati
a margine della prima e della seconda pagina del ricorso;
– ricorrenti contro

3G09.,

7g

Data pubblicazione: 26/01/2015

ATZ ORI BARBARA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato CARLO
BALDASSARI, rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSANDRO
MELONI, LUIGI PAU, giusta procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 138/2013 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI – Sezione Distaccata di SASSARI del 24.4.2013, depositata
il 06/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA. GARRI;
uditi per le ricorrenti gli Avvocati Carlo Bousier Niutta e Antonio
Armentano che si riportano ai motivi del ricorso;
uditi per la controricorrente gli Avvocati Vincenzo De Michele e
Sergio Galleano (per delega avv. Luigi Pau) che si riportano agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Tempio, in parziale accoglimento della domanda
proposta da Barbara Atzori nei confronti di Meridiana S.p.A. e di
Meridiana Fly S.p.A. (cui medio tempore era stato ceduto il ramo di azienda
comprendente tutte le attività connesse al volo), accertava la nullità del
termine apposto ai contratti stipulati dalla ricorrente con Meridiana dal
1998 al 2006 e dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto a
tempo indeterminato sin dal primo contratto condannando dette società
al pagamento di sei mensilità globali di fatto. Escludeva la sussistenza
del diritto alle retribuzioni per i periodi non lavorati e non si
pronunciava sulla domanda diretta ad ottenere la ricostruzione della
carriera ed il pagamento delle conseguenti differenze retributive
connesse all’anzianità man mano maturata durante i vari rapporti a

Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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– controricorrente –

termine, dunque in costanza di questi. Avverso tale decisione proponeva
appello la Atzori.
La Corte di appello di Cagliari – sez. distaccata di Sassari -, per quello
che in questa sede ancora rileva, accoglieva, in parte, il gravame della
lavoratrice e riconosceva il suo diritto al conseguimento di qualunque

lavorativa per tutti i periodi dei contratti a termine effettivamente
lavorati, ma non anche di quelli non lavorali (nei quali il rapporto era
stato consensualmente quiescente). Seguiva la condanna delle società
alla corresponsione delle relative maggiorazioni, con interessi e
rivalutazione.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso Meridiana Fly
S.p.A. e Meridiana S.p.A. affidato ad un motivo poi ulteriormente
illustrato con memoria ex art. 380 cod. proc. dv..
La Atzori resiste con controricorso egualmente illustrato da
memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art.
32, comma 5, della 1. n. 183/2010, così come chiarito ed interpretato
dall’art. 1, comma 13, della 1. n. 92/2012, in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ., rilevando che l’indennità de qua va integralmente a
sostituirsi ad ogni conseguenza economica connessa e derivante dalla
dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro e che
pertanto la stessa assorbe, ricotnprendendola, qualsiasi differenza
retributiva e contributiva connessa al riconoscimento dell’esistenza del
rapporto a tempo indeterminato, ivi compreso ogni incremento legato
all’anzianità e/o alla progressione di carriera, nonché ogni compenso
successivo al termine del rapporto ovvero alla messa in mora del datore.
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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effetto (in termini di maggiorazioni contrattuali) derivante dall’anzianità

Chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha dichiarato che la
somma dei periodi di servizio dall’inizio del primo contratto deve essere
computata ai fini dell’anzianità di servizio e dei relativi trattamenti
economici.
Il motivo è infondato.

tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo.
Il precedente assetto era così organizzato: nel caso in cui si
accertasse l’illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la
riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a
percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non
consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima fondamentale
conseguenza è rimasta immutata. Anche dopo la legge n. 183 del 2010 e
la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l’illegittimità
del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da
quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto
se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie (Cass. 11. aprile
2013, n. 8851; Corte cost 30 luglio 2014, n. 226).
Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il
quadro è parzialmente cambiato.
Nel regime previgente mancava una norma che regolasse
specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in
base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale fu la
sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il
contrasto tra due orientamenti: quello che riteneva che al lavoratore
spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva
che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a

Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – uci. 20-11-2014
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L’art. 32 della legge n. 183 del 2010 ha modificato il regime della

decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di
lavoro le sue energie lavorative. ,
È bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il
diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto a
termine e l’altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre

per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine.
Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi
“non lavorati”, non trovasse soluzione in una norma specifica, come
invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti
illegittimi con l’art. 18 St. lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai
principi generali dell’ordinamento. Affermarono che il principio
regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di
lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che
non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa.
Per questa ragione ritennero non fondato l’orientamento che
riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorali, ed
invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far
tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie
lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la
giurisprudenza dei decenni successivi.
Le Sezioni unite si espressero anche sui “periodi lavorati” e
precisarono che l’unificazione del rapporto di lavoro “comporta, a
prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli
non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta
considerati inseriti nell’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad
esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la
misura del periodo di preavviso, e determina comunque sicuri vantaggi
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione

o
per il lavoratore …. quali l’acquisizione dell2 corrispondente anzianità,
quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati”.
Il quadro regolativo è cambiato con la legge n. 183 del 2010, ma
come si vedrà, il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati.
L’art. 32, quinto comma, così si esprime: “nei casi di conversione del

al risarcimento del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva
nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
L’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ha sancito che detta
norma “si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per
intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza
del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice
abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.
Dalla norma si desume che l’indennità è volta al “risarcimento” del
lavoratore. Quindi concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il
danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a
termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.
La norma di interpretazione autentica afferma che l’indennità
“ristora un pregiudizio” ribadendo, ancor più esplicitamente, che è
conciata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro
e che essa onnicomprensiva perché ristora per intero le “conseguenze”
retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro. Quindi tutti
i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè
sono legati da un nesso di causalità con la perdita del lavoro.
Se l’indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e
contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro

considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed
infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che
è periodo di lavoro, in cui A lavoratore è stato retribuito e quindi non ha
subito, né può subite conseguenze negative sul piano retributivo o
contributivo. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo si

di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti gli effetti.
Rileva persino per la quantificazione della indennità volta a risarcire il
danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei criteri indicati
dall’art. 8 della legge 604 del 1966, richiamati dall’art. 32, quinto comma,
della legge n. 183 dd 2010.
Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che
il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto a
termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha
espressamente considerato questo caso, ma l’interpretazione logicosistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al
risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i
periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato.
Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non
spetti e sia assorbita nella indennità, ma è parimenti contrario alla logica
della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non fossero
stati effettuati e non rilevino ai fini dell’anzianità di servizio e delle sue
implicazioni economiche. Questi periodi non possono non avere lo
stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo contratto
a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno
determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal
legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel
pregiudizio. Il risarcimento riguarderà solo i periodi di “non lavoro”.

Ric, 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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computa ai fini degli effetti riflessi e dell’anzianità di servizio. L’anzianità

Solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da
ristorare.
Pertanto l’indennità prevista dall’art. 32, risarcisce il danno subito
per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze
retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non

di lavoro (in caso di più contratti a termine). I diritti relativi a questi
periodi non possono essere intaccati e inglobati nell’indennizzo
forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi
è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in
una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti
legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa
effettuata.
Questa ricostruzione è in continuità con quanto affermato nelle
prime sentenze sull’art. 32, come interpretato dalla legge n. 92 del 2012.
In particolare, Cass. n. 15265 del 12 settembre 2012, nell’enudeare il
principio di diritto parla di “indennità forfetizzata ed onnicomprensiva
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo considerato
intermedio”. Forfetizzazione dei danni determinatisi “nel” periodo
intermedio, significa che l’indennizzo non incide sui diritti maturati in
quel periodo nella parte del rapporto che non ha determinato danni:
non tocca le retribuzioni per i periodi lavorati e gli effetti riflessi di tali
retribuzioni, né tocca l’anzianità lavorativa maturata in tale o in tali
periodi.
La medesima pronuncia afferma: “legittimamente la sentenza
impugnata ha considerato nell’anzianità lavorativa e retributiva tutti i
periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla
formale assunzione a tempo indeterminato, in ragione del principio
ripetutamente affermato da questa Corte (Cass., sez. un., 5 marzo 1991,
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML
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ud. 20-11-2014

riguarda il periodo (in caso di un unico contratto a termine) o i periodi

n. 2334 e succ.)”. L’affermazione è netta ed è esplicito il richiamo alla
sentenza delle Sezioni unite che, come si è visto, affermò che nel caso di
trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di
più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto

fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di
continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad
effettuarla, non implicano il diritto alla retribuzione … e nemmeno sono
computabili come periodi di servizio”, mentre i “periodi lavorati” danno
diritto alla retribuzione e sono rilevanti ai fini della maturazione degli
scatti di anzianità. Quest’ultimo profilo dell’assetto dato dalle Sezioni
unite del ’91 alla materia – sottolinea la sentenza del 2012 – va oggi
pienamente riaffermato non essendo stato scalfito minimamente dallo
ius superveniens costituito dalla legge n. 183 del 2010.
Le più recenti Cass. 16 giugno 2014, n. 13630 e Cass. 17 giugno
2014, n. 13732 hanno fissato il seguente principio di diritto: “L’art. 32,
quinto comma, legge n. 183 del 2010 commisura l’indennità, dovuta nei
casi di conversione, all’ultima retribuzione globale di fatto, così
riferendosi al danno subito dal lavoratore, ossia alla perdita della
retribuzione (ed accessori) per essere stato allontanato dal proprio posto
di lavoro nel periodo compreso tra l’allontanamento e la sentenza di
merito. L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore con
riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a
quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una
volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico
rapporto a tempo indeterminato”.
In questo principio di diritto è detto chiaramente che l’indennizzo
onnicomprensivo copre soltanto il danno derivante dall’allontanamento
dal lavoro e quindi il danno subito per il “non lavoro” nel periodo o nei
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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dell’illegittimità dell’apposizione del termine, gli “intervalli non lavorati”

periodi “non lavorati”. Il che ancora una volta conferma che i diritti per
i periodi in cui si è prestato lavoro non vanno ricompresi nell’indennità
risarcitoria perché non sono stati danne» ti, sono fuori dal perimetro
del danno e quindi del risarcimento.
Quanto alle conseguenze giuridiche di tale assetto sull’anzianità, la

chiara, che: “L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore
con riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e
non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della
carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un
unico rapporto a tempo determinato”.
In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto che
probabilmente il legislatore ha configurato l’indennità avendo presente il
caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un unico
contratto a termine, deve affermarsi che l’indennità prevista dall’art. 32
legge n. 183 del 2010 ristora in generale il danno subìto dal lavoratore
per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto
se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il
lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a decorrere da112
messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato,
oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12
mensilità.
Al contrario, per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di
sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha
diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della
anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Questa interpret27ione del quinto comma dell’art. 32 L n. 183 del
2010 è la più coerente sul piano logico sistematico. Si coordina con i
tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si è visto e
Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
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Corte in queste ultime sentenze aggiunge, e non potrebbe essere più

come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo
rimangono fermi, ed è in continuità con i primi interventi di questa
Corte successivi alla modifica legislativa. È coerente con i principi
espressi dall’art. 5 della legge n. 230 del 1962 e dall’art. 6 del decreto
legislativo a 368 del 2001, nonché con i principi costituzionali e del

discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo
indeterminato, anche e specificamente in ordine all’anzianità di servizio,
affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno
1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in base
a quanto previsto dal d.m. a 55 del 10 marzo 2014 (art 28), devono
essere poste a carico della parte soccombente.

Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di
‘entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, coma 17 della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà atto nel
provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo
precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito
dello stesso”.

Ric. 2013 n. 24847 sez. ML – ud. 20-11-2014
-11-

diritto dell’Unione europea: in particolare con il principio di non

Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente
impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in
conformità.

P.Q.M.

pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in curo 100,00 per esborsi, nonché in
curo 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di leze e
rimborso forfettario in misura del 15%, con distrazione in favore dei
procuratori antistatati.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle
ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2014.

La Corte rigetta il ricorso; condanna le società ricorrenti, in solido, al

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