Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13093 del 24/06/2016


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Cassazione civile sez. trib., 24/06/2016, (ud. 10/06/2015, dep. 24/06/2016), n.13093

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

CLARA 89 Srl in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 151/29/07, depositata il 9 aprile 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

giugno 2015 dal Relatore Dott. Antonio Greco;

udita l’avvocato dello Stato Barbara Tidore per la ricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostitute Procuratore Dott. DEL CORE

Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, con tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, accogliendo l’appello della Clara 89 srl in liquidazione, ha annullato due avvisi di accertamento ai fini dell’IRPEG ed ILOR per il 1995 e 1996 e la cartella di pagamento relativa al primo avviso nonchè ad IVA per il 1996.

All’esito di una verifica avente ad oggetto l’attività delle imprese facenti capo alla famiglia R. – alle quali era stata contestata la fittizietà delle operazioni asseritamente poste in essere, riferite “a numerosissimi contratti preliminari di acquisto di immobili stipulati con società dello stesso gruppo, che sistematicamente non avevano seguito con la stipula del contratto definitivo per il mancato avverarsi di una condizione risolutiva, con il conseguente storno dell’IVA asseritamente versata” -, era stata infatti negata alla contribuente la deducibilità degli interessi, portati come componenti negative, corrisposti alla spa Aura, appartenente allo stesso gruppo – la quale riportava quegli interessi in bilancio come componenti positivi -, in relazione a finanziamenti per gli acquisti di immobili, ritenuti operazioni inesistenti perchè fittizie erano state ritenute le attività operative dichiarate dalla Clara 89 srl..

Il giudice d’appello, premesso che non era stato provato dall’ufficio il carattere fittizio delle operazioni, ha escluso “un intento elusivo nel comportamento finanziario della società” contribuente sul rilievo che “quegli stessi interessi passivi che essa ha portato in detrazione hanno costituito un’entrata, quali interessi attivi, per la spa Aura facente capo allo stesso gruppo, per cui il vantaggio fiscale della società contribuente ha trovato immediata compensazione nel corrispondente onere dell’altra società”.

La Clara 89 srl in liquidazione non ha svolto attività nella presente sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando “violazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, l’amministrazione ricorrente assume che le norme in rubrica – secondo cui, qualora con l’avviso di accertamento sia contestata l’illegittima deduzione, ai fini del reddito d’impresa imponibile, di un costo ritenuto, sulla base di elementi specificamente indicati, come afferente ad un’operazione oggettivamente inesistente, graverebbe sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettività e la veridicità dell’operazione -, sarebbero state violate dalla sentenza impugnata per avere accolto l’appello avverso la decisione di primo grado che aveva confermato la legittimità degli avvisi contenuti la contestazione dell’effettiva corresponsione degli interessi passivi relativi ad un finanziamento concesso da una società, facente parte dello stesso gruppo societario, per l’acquisto ci un immobile da un’ulteriore società del medesimo gruppo, affermando essere onere dell’ufficio dimostrare l’inesistenza dell’operazione cui si riferisce il costo contestato.

Con il secondo motivo, denunciando la “violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 63 (ora art. 61) e art. 75 (ora art. 109)”, secondo cui la deduzione degli interessi passivi sarebbe condizionata all’effettivo svolgimento dell’attività d’impresa in funzione della quale l’operazione di finanziamento è stata conclusa, censura la sentenza impugnata per aver accolto l’appello – avverso la sentenza di primo grado di conferma della legittimità degli avvisi contenenti la contestazione dell’effettiva corresponsione degli interessi passivi relativi ad un finanziamento concesso da una società, facente parte dello stesso gruppo societario, per l’acquisto di un immobile da un’ulteriore società del medesimo gruppo -, affermando che il thema decidendum era costituito esclusivamente dall’accertamento dell’effettività corresponsione degli interessi da parte dell’appellante alle società finanziarie.

Con il terzo motivo, denunciando “violazione dell’art. 53 Cost., del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86 (ora art. 72), art. 87 (ora art. 73) e art. 89 (ora art. 75)”, secondo cui, ai fini della qualificazione di un’operazione come elusiva dovrebbe essere considerato esclusivamente il vantaggio della società di capitali cui sia stata contestata l’elusione, censura la sentenza impugnata per aver accolto l’appello – avverso la sentenza di primo grado di conferma della legittimità degli avvisi contenenti la contestazione dell’effettiva corresponsione degli interessi passivi relativi ad un finanziamento concesso da una società, facente parte dello stesso gruppo societario, per l’acquisto di un immobile da un’ulteriore società del medesimo gruppo -, affermando non potersi considerare elusiva l’operazione posta in essere dall’appellante dal momento che le minori imposte da questa non versate, per effetto della dedizione degli interessi passiva sarebbero state compensate dalle maggiori imposte corrisposte dalla società finanziatrice in ragione degli interessi attivi incassati.

I primi due motivi, da scrutinare congiuntamente in quanto legati, seno fondati nei termini di seguito indicati.

Osserva anzitutto – il Collegio come “in tema di determinazione del reddito d’impresa, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, comma 5, con disposizione innovativa rispetto a quella dettata dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 74, prevede una deducibilità integrale di spese ed altri componenti negativi (salvo eccezioni ivi elencate) se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito; una deducibilità, invece, proporzionale – nella misura di cui del medesimo D.P.R. n. 917 del 1986, art. 63, commi 1, 2 e 3 – se tali spese e componenti negativi si riferiscono indistintamente ad attività o beni, produttivi di proventi computabili, e ad attività o beni, produttivi di proventi non computabili nella determinazione del reddito. Pertanto, nel caso di costi od oneri indicati come non suscettibili di imputazione specifica, il giudice tributario deve necessariamente procedere all’accertamento dell’esatta natura dei costi medesimi al fine di stabilirne la percentuale di deducibilità” (Cass. n. 520 del 2002).

Ciò posto, “quando si controverta in materia di imposte sui redditi, l’amministrazione finanziaria ha il solo onere di provare l’esistenza di un reddito imponibile e la qualità di debitore del contribuente, mentre è onere di quest’ultimo provare la sussistenza dei presupposti di eventuali esenzioni d’imposta o di componenti negativi del reddito. Ne consegue che è del tutto irrilevante, ai fini delle conseguenze del mancato assolvimento dell’onere della prova, la circostanza che l’erario abbia in giudizio svolto deduzioni ed argomentazione per dimostrare l’insussistenza di una componente negativa del reddito, in quanto tale iniziativa non vale a sollevare il contribuente dall’onere di provarne l’esistenza” (Cass. n. 16115 del 2007 e n. 16161 del 2013).

Il terzo motivo e fondato.

E’ appena il caso, in proposito, di richiedere il principio tradibile dall’affermazione di questa Corte secondo cui “gli interessi attivi (e passivi) costituiscono entrate (o uscite) di ciascun contribuente e debbono essere specificamente conteggiati, in virtù dei principi di trasparenza, codificati nell’art. 2423 c.c., senza che emersa alcun rilievo il fatto che i rapporti di credito e debito, fonte degli interessi in questione, intercorrano fra società del medesimo gruppo, di guisa che agli effetti del gruppo si determini una mera partiva di giro” (Cass. n. 21157 del 2008, n. 11154 del 2010).

Il ricorso va pertanto accolto nei termini precisati, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2015.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2016

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