Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13091 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. I, 28/05/2010, (ud. 23/03/2010, dep. 28/05/2010), n.13091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27000-2008 proposto da:

C.G. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA F. CORRIDONI 23, presso l’avvocato ANTONUCCI

ENZO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANIA depositato il

09/01/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/03/2010 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ENZO A. ANTONUCCI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 9 gennaio 2008 la Corte d’appello di Catania condannava il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare la somma di Euro 1.000,00, oltre gli interessi e le spese processuali, in favore del sig. C.G., a titolo di equa riparazione, ex art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per il danno da violazione del termine ragionevole del processo da lui promosso con ricorso depositato in data 22 aprile 1999 dinanzi al T.a.r. di Sicilia – sezione distaccata di Catania nei confronti dell’Azienda ospedaliera (OMISSIS), della quale era dipendente, in qualità di medico, per ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione di somme dovute per prestazioni extra orario.

Motivava che il processo era tuttora pendente, con un ritardo di anni 5 rispetto alla durata ragionevole triennale e che l’assenza di alcun elemento di prova sull’oggetto e valore della causa presupposta giustificava la liquidazione dell’equo indennizzo in Euro 200,00 per ogni anno di ritardo.

Avverso il provvedimento proponeva ricorso per cassazione il dr. C. con atto notificato il 13 novembre 2008.

Deduceva la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6, paragrafo uno della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nella liquidazione troppo riduttiva dell’equo indennizzo, difforme dai parametri consolidati della giurisprudenza della Corte europea.

Resisteva con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

All’udienza del 23 marzo 2010 il Procuratore generale ed il difensore del ricorrente precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Premesso che non è stato contestato l’accertamento della violazione del termine ragionevole per anni cinque, appare fondata la censura riguardante il quantum debeatur.

Questa Corte ha più volte precisato (Cass, sez. 1, 1 Marzo 2007, n. 4845; Cass., sez. un., 26 Gennaio 2004, n. 1340; Cass., sez. 1, 23 Aprile 2005, n. 8568) che, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’ambito della valutazione equitativa affidata al giudice del merito è segnato dal rispetto della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, per come essa vive nelle decisioni, da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, di casi simili a quello portato all’esame del giudice nazionale: di tal che è configurabile, in capo al giudice del merito, un obbligo di tener conto dei criteri di determinazione della riparazione applicati dalla Corte Europea, pur conservando egli un margine di valutazione che gli consente di discostarsi, purchè in misura ragionevole, dalle liquidazioni effettuate da quella Corte in casi simili.

Tale regola di conformazione, inerendo ai rapporti tra la citata legge e la Convenzione, quale espressione dell’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno per quanto possibile – conformemente alla Convenzione e alla giurisprudenza di Strasburgo, ha natura giuridica; con la conseguenza che il mancato rispetto di essa da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Corte Europea (con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 Novembre 2004) ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione di tale indennizzo. Il suddetto parametro ordinano può subire, peraltro, una riduzione contenuta quando la posta in giuoco sia modesta ed il ritardo non superiore al triennio.

Alla luce dei predetti principi, si deve ritenere effettivamente illegittima, nel caso in esame, la liquidazione in Euro 200,00 per anno di ritardo; onde il decreto della Corte d’appello di Catania va annullato sul punto.

In carenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, tenuto conto che la stessa corte territoriale ha determinato in anni cinque il ritardo nello svolgimento del processo presupposto, si può procedere alla decisione nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2) e liquidare l’indennizzo dovuto in Euro 4.250,00, con gli interessi legali dalla domanda.

Appare infatti giustificata, in forza dei criteri suesposti, la liquidazione di un indennizzo unitario annuo di Euro 750,00 per il primo triennio e di Euro 1.000,00 per il ritardo successivo, tenuto conto del progressivo intensificarsi del patema d’animo, secondo l’id quod plerumque accidit, col trascorrere del tempo di pendenza del processo.

Le spese dei due gradi di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, sulla base del valore ritenuto in sentenza e del numero e complessità delle questioni svolte.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di C.G. della somma di Euro 4.250,00, con gli interessi legali dalla domanda;

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.028,00, di cui Euro 378,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, e delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre le spese generali e gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 Marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

 

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