Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13091 del 15/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 15/06/2011), n.13091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. est. Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IRMA SERVICE S.p.A.. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via degli Scipioni n.

281/283, presso lo studio dell’Avv. Persiani Mattia, che la

rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente, con l’Avv. Marco

Papaleoni per procura a margine calce del ricorso;

– ricorrente –

Contro

R.V., elettivamente domiciliata in Roma, Via Friggeri

n. 106, presso lo studio dell’Avv. Tamponi Michele, rappresentata e

difesa dall’Avv. Cesaroni Massimo del foro di Firenze come da procura

a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 337/07 della Corte di Appello di

Firenze del 13.03.2007/31.03.2007 nella causa iscritta al n. 1201

R.G. dell’anno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31.05.2011 dal Pres. Dott. Alessandro De Renzis;

udito l’Avv. Mattia Persiani per la ricorrente;

sentito i P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. BASILE Tommaso,

che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 1157 del 2005 il Tribunale di Firenze accoglieva le domande proposte da R.V. dichiarando l’illegittimità dei tre licenziamenti a lei intimati dalla datrice di lavoro IRMA SERVICE S.p.A., con le conseguenti statuizioni di ordine reintegratorio e risarcitorio.

2. Tale decisione veniva appellata dalla datrice di lavoro, che contestava la valutazione del primo giudice circa l’esistenza di una campagna accusatoria nei confronti della dipendente e ribadiva le distinte giuste cause di risoluzione del rapporto.

La Corte di Appello di Firenze con sentenza n. 337 del 2007 ha rigettato l’appello e ha confermato la decisione di primo grado. La Corte territoriale ha ritenuto che la vicenda fosse da collocare nell’ambito dei rapporti tra le parti e la reiterazione delle incolpazioni fosse mirata a rendere “isolati” i singoli episodi e a dettare per ciascuno di essi la massima reazione della datrice di lavoro. In particolare la Corte fiorentina ha considerato insussistenti gli addebiti mossi alla lavoratrice sulla base delle seguenti considerazioni.

Quanto al primo licenziamento, la cui giusta causa era ricondotta alla grave negligenza nella gestione delle risorse umane, nel mancato intervento verso l’uso disinvolto dei c.d. badges da parte di alcuni dipendenti, nel riconoscimento di ore di straordinario non controllabili, senza che potesse riconoscersi l’esistenza di una prassi aziendale, la Corte ha osservato che:

-il sistema della rilevazione delle presenze del personale avveniva attraverso il supporto cartaceo, pur dopo l’installazione delle apparecchiature “marca-tempo”; -costituiva pratica conosciuta dalla presidenza la possibilità per alcuni dipendenti di portarsi il lavoro a casa; -le contestazioni, relative all’utilizzo dei sistemi di controllo della contabilità aziendale, erano generiche.

Quanto al secondo licenziamento, ricollegato alla condotta della dipendente per avere delegato- senza alcuna autorizzazione dell’amministratore – ad una semplice impiegata dell’Ufficio del personale la sottoscrizione di contratto di assunzione e di altri atti aventi rilevanza esterna, la Corte ha rilevato che la R. aveva semplicemente autorizzato una dipendente a siglare e/o firmare determinati documenti in relazione ad una prassi interna della società, senza alcun danno per l’azienda.

Quanto al terzo licenziamento, che veniva ricondotto al tentativo della dipendente di spodestare – insieme con l’altro dipendente (direttore tecnico S.) – l’Amministratore Unico con potenziale condotta concorrenziale e conseguente irrimediabile lesione dell’elemento fiduciario, la Corte ha precisato che i fatti addebitati erano insussistenti, come peraltro accertato in altro giudizio definito dallo stesso giudice di appello (sentenza n. 1277 del 2005).

La IRMA SERVICE S.p.A. ricorre per cassazione con sette motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste la R. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè vizio di motivazione, con particolare riguardo al requisito dell’immediatezza e specificità, in presenza di una pluralità di addebiti, emersi in periodi concatenati, ma distinti (in tal senso è formulato il relativo quesito a pag. 8 del ricorso).

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2119 c.c., e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè vizio di motivazione, relativamente alla ricorrenza della giusta causa del recesso e al criterio di proporzionalità della reazione della datrice di lavoro, in presenza di una pluralità di addebiti, emersi in periodi concatenati, ma distinti (in tal senso è formulato il relativo quesito a pag. 12 del ricorso).

Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2119 c.c., nonchè vizio di motivazione, con riguardo all’esclusione della rilevanza del comportamento contestato ad integrare gli estremi della giusta causa e alla ritenuta inidoneità del comportamento contestato a giustificare il recesso (in tal senso è formulato il relativo quesito a pag. 22 del ricorso).

Con il quarto motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, per avere ritenuto rilevante il giudice di appello la deposizione della teste R.V. e per avere disposto l’ammissione ed escussione testimoniale del dell’altro dipendente S., nonostante il loro evidente interesse in causa.

Con il quinto motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 2105 e 2119 c.c., e della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè vizio di motivazione, relativamente all’avvenuta contestazione nei confronti della lavoratrice di avere partecipato alla creazione di una squadra concorrente con l’azienda datrice di lavoro (in tal senso è formulato il relativo quesito a pag. 30 del ricorso).

Con il sesto motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2119 c.c., nonchè vizio di motivazione, con riferimento alla concorrente autoattribuzione di posizione decisionale nell’ambito aziendale da parte del S..

Con il settimo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e dell’art. 1424 c.c., nonchè vizio di motivazione, con riguardo all’omessa verifica da parte del giudice di appello della conversione del licenziamento da giusta causa in giustificato motivo (in tal senso è formulato il relativo quesito a pag. 35 del ricorso).

2. Ciò premesso sul contenuto e la portata dei singoli motivi, le censure possono essere ricondotte in tre gruppi, e precisamente nel primo gruppo vanno collocati il primo, il secondo, il terzo, il quinto, il sesto motivo; nel secondo gruppo va collocato il quarto motivo; nel terzo gruppo va posto il settimo motivo.

a) Orbene le doglianze relative al primo gruppo consistono in un diverso e non consentito apprezzamento della vicenda, sviluppatasi in una pluralità di addebiti e culminata nella reazione della datrice di lavoro con l’adozione di distinti provvedimenti di licenziamento, rispetto alla valutazione del giudice di appello, che ha proceduto ad una lettura complessiva ed unitaria dei comportamenti delle parti alla luce del materiale probatorio, e ciò sulla base di motivazione immune da vizi logici- giuridici. In questo quadro d’insieme non hanno consistenza i rilievi mossi per le seguenti considerazioni.

Con riguardo al primo motivo ciò che assume decisiva rilevanza è la verifica computa in relazione all’insussistenza – dei fatti addebitati – posti a fondamento dei singoli licenziamenti – e non tanto il riferimento al requisito dell’immediatezza e specificità della reazione della datrice di lavoro.

Con riferimento al secondo e terzo motivo il giudice di appello ha escluso, come già detto, che la reazione della datrice di lavoro fosse proporzionata agli addebiti mossi, attraverso una analisi dettagliata delle singole condotte tenute dalla R., ritenute tali da non giustificare, pur con talune manchevolezze, la sanzione del licenziamento; Con riferimento al quinto motivo il giudice di appello ha escluso che il comportamento della R., in una con il direttore tecnico S., mirasse allo “spodestamento” dell’amministratore unico della società datrice di lavoro (al riguardo viene richiamata la sentenza n. 1277 del 2005 della stessa Corte di Appello di Firenze che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al S. per gli stessi fatti);

Con riferimento al sesto motivo, riguardante la concorrente autoattribuzione di posizione decisionale nell’ambito aziendale da parte del S., si richiama quanto argomentato con riguardo al precedente sesto motivo e si precisa che s la sentenza impugnata ha esaminato in modo adeguato e dettagliato il ruolo della R. e del S. in relazione al c.d. autoincensamento, consistito semplicemente ” nell’esaltazione professionale dei vertici aziendali, tra cui il S..

b) Sono prive di pregio e vanno disattese anche le doglianze contenute nel quarto motivo, in quanto la parte ricorrente non ha precisato di avere sollevato la nullità delle deposizioni testimoniali per incapacità ex art. 246 c.p.c. del teste escusso nel giudizio di primo e di averla riproposta nel secondo grado, sicchè tale questione non può formare oggetto di ricorso per cassazione (cfr Cass. n. 7688 del 19 luglio 1999).

c) Non hanno infine decisiva rilevanza infine le censure di cui al settimo motivo del ricorso, riguardanti l’omessa verifica da parte del giudice di appello della conversione del licenziamento da giusta causa in giustificato motivo, proprio in relazione alla ricostruzione operata dal giudice di appello, che ha accolto la domanda della lavoratrice per insussistenza dei fatti addebitati, sicchè, a fronte di comportamenti della stessa lavoratrice ritenuti non idonei a giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro, non si poneva il problema della richiamata conversione.

3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 50,00 oltre Euro 3000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2011

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