Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13090 del 15/06/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/06/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 15/06/2011), n.13090

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. est. Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E.E.T: S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Piazza del Popolo n. 18, presso lo

studio dell’Avv. Nunzio Rizzo, che la rappresenta e difende per

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

O.G., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso l’Avv. Rocco Bruno

del foro di Avellino come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 4924/08 della Corte di Appello di

Napoli del 27.06.2008/10.07.2008 nella causa iscritta al n. 102 R.G.

dell’anno 2003;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31.05.2011 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. BASILE

Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso, depositato il 16.07.1997, O.G. esponeva:

– di avere lavorato alle dipendenze della CEET S.p.A. come impiegato di 3 livello;

-di essere stato licenziato in data 28.04.1997 per giusta causa;

-che tale licenziamento doveva considerarsi illegittimo per mancata affissione di codice disciplinare in luogo accessibile ai dipendenti, per mancata contestazione degli addebiti e per l’insussistenza della giusta causa o del giustificato motivo.

Ciò premesso, chiedeva la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con la condanna della convenuta al pagamento di tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento alla reintegra.

La CEET nel costituirsi chiedeva il rigetto delle domande proposte dall’ O. e proponeva domanda riconvenzionale per il risarcimento dei danni provocati dal ricorrente per violazione degli obblighi di cui all’art. 2105 c.c.. All’esito il Tribunale di S. Maria Capua Vetere con sentenza non definitiva del 25.10.2002 dichiarava l’illegittimità del licenziamento, con le conseguenti statuizioni di ordine reintegratorio e risarcitorio.

2. Proposto appello da parte della CEET, che lamentava, tra l’altro, omessa pronuncia sul successivo licenziamento rinnovato al dipendente in data 2 5.09.1997, nonchè erronea valutazione dei presupposti del secondo licenziamento ed erronea determinazione dell’indennità di licenziamento, la Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 4924 del 2008 ha rigettato il gravame e ha confermato la decisione di primo grado.

La Corte territoriale in particolare ha osservato che la lettera 25.09.1997, qualificata dall’appellante come “secondo licenziamento”, non era altro che una comunicazione dei motivi del licenziamento e tardiva comunicazione, atta, se del caso, a procrastinare gli effetti del licenziamento stesso.

La stessa Corte ha ritenuto, in ordine alla sussistenza della giusta causa del licenziamento, sulla base di testi escussi (e in particolare teste C.), che non fosse stata provata una sleale attività di concorrenza dell’ O., attività che non poteva desumersi semplicemente dall’esistenza di una ditta Loffredo della moglie del lavoratore.

La CEET S.p.A. ricorre per cassazione con due motivi. Resiste l’ O. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso la ricorrente lamenta violazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18, dell’art. 1418 cod. civ., degli artt. 112 e 418 c.p.c., nonchè vizio di motivazione.

La ricorrente rileva che la sentenza impugnata è erronea per non avere ritenuto ammissibile la reiterazione del licenziamento in base agli stessi motivi determinativi del primo recesso.

La ricorrente osserva altresì che del tutto apodittica è l’affermazione contenuta nella stessa sentenza secondo cui la contestazione di addebiti in data 25.9.1997 costituirebbe una tardiva e rituale comunicazione dei motivi di recesso.

Il motivo è infondato.

Al riguardo va precisato che questa Corte più volte ha affermato che al fine di poter considerare il licenziamento disciplinare, intimato senza il rispetto delle garanzie procedimentali di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 come revocato ed il rapporto ricostituito, non è sufficiente il mero invito a riprendere servizio rivolto dal datore di lavoro, essendo necessario un accordo, che presuppone corrispondenza tra proposta ed accettazione (Cass. n. 11644 del 18 maggio 2006; Cass. n. 9717 del 10 maggio 2005). Orbene il giudice di appello, in applicazione dell’esposto orientamento giurisprudenziale, ha posto in evidenza, con valutazione, adeguatamente motivata e coerente, che un successivo licenziamento presuppone l’effettiva ripresa di rapporto di lavoro, circostanza esclusa nel caso in esame.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2687 e 2729 cod. civ. degli artt. 112, 414, 416, 420 c.p.c. nonchè vizio di motivazione Sostiene al riguardo che il giudice di appello, pur considerando inammissibile il secondo licenziamento, ha dato corso all’istruttoria testimoniale, da cui è emerso lo svolgimento di attività concorrenziale del dipendente, la cui moglie era titolare di impresa, operante in parte nello stesso settore di manutenzione di impianti elettrici di cui si occupava la società CEET. Anche questo motivo è privo di pregio e va disatteso, in quanto la parte ricorrente propone una diversa valutazione rispetto all’apprezzamento del materiale probatorio, seguito dal giudice di appello con motivazione immune da vizi logici – giuridici;

valutazione non consentita in sede di legittimità.

3. In conclusione il ricorso è destituito do fondamento e va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in Euro 13,00 oltre Euro 2000,00 per onorari ed oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 giugno 2011

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