Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13088 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 14/05/2021), n.13088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3364-2014 proposto da:

D.A.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G.

BELLI 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO ALLEGRO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE I

MILANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 70/2013 della COMM. TRIB. REG. della

Lombardia, Sezione di MILANO, depositata il 13/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

D.A.I. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 70/18/2013, depositata il 13.06.2013 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la quale, a conferma della sentenza di primo grado, erano rigettate le impugnazioni avverso le cartelle di pagamento, con cui Equitalia Nord aveva richiesto la riscossione degli importi accertati dall’Agenzia delle entrate ai fini Irpef per gli anni d’imposta 2003 e 2004.

Il ricorrente, che denunciava la mancata notifica degli atti prodromici, aveva censurato le cartelle per vizi propri e per vizi di notifica. Con riferimento invece agli avvisi di accertamento, premettendo di essere stato sottoposto a controllo valutario da militari della Guardia di finanza di Ponte Chiasso, che rinvenivano documentazione relativa a distinte di depositi esteri, alla cui titolarità aveva immediatamente dichiarato di essere estraneo, senza però poter rivelare l’identità dell’intestatario perché vincolato da segreto professionale nella qualità di investigatore privato, assumeva di non averne avuto notizia sino alla notifica delle cartelle esattoriali.

Nel successivo contenzioso, instaurato dal contribuente anche in riferimento alle contestazioni fiscali mosse dall’Agenzia delle entrate con gli atti prodromici, che aveva accertato un maggior reddito con metodo sintetico ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 4, sulla base degli indici di capacità contributiva, costituiti dall’acquisto e dal costo di gestione di cespiti immobiliari ed autovetture, nonché dalla capacità di accumulo di titoli finanziari, il ricorrente aveva contestato l’applicazione del redditometro, sollevando questioni di legittimità costituzionale della relativa disciplina per violazione degli artt. 3,23 e 53 Cost., in ogni caso insistendo sulla compatibilità dei propri redditi con quanto dichiarato. Quanto alla documentazione rinvenuta in suo possesso nel corso del controllo al confine svizzero aveva insistito sulla estraneità alla titolarità di quei titoli.

Con sentenza n. 126/22/11 la Commissione tributaria provinciale di Milano aveva rigettato il ricorso. La Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva rigettato l’appello con la sentenza ora impugnata. Con la decisione erano state rigettate le questioni afferenti le cartelle esattoriali ed erano state considerate infondate le questioni di legittimità costituzionale della disciplina sull’accertamento sintetico, ritenuto a sua volta fondato.

Il D. censura con cinque motivi la sentenza:

con il primo per nullità dell’atto impugnato per “vizi autonomi” e nello specifico per mancata sottoscrizione delle cartelle da parte del legale rappresentante dell’ente concessionario emittente e mancata prova della sottoscrizione del ruolo;

con il secondo per violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, per nullità o inesistenza della notifica della cartella, eseguita a mezzo del servizio postale senza altre formalità;

con il terzo per nullità della cartella di pagamento per omessa sottoscrizione del responsabile del procedimento;

con il quarto per nullità della notifica degli avvisi di accertamento, eseguiti presso un indirizzo diverso da quello conosciuto;

con il quinto per nullità degli avvisi di accertamento prodromici alle cartelle e per inapplicabilità del redditometro al caso di specie per obbligo al segreto professionale; inoltre per la violazione di una molteplicità di profili costituzionali della disciplina applicata;

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale provvedimento.

Non si é costituita l’Agenzia, cui risulta regolarmente notificato il ricorso, non notificato invece all’agente per la riscossione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Deve premettersi che l’omessa notifica del ricorso all’agente della riscossione non richiede alcuna integrazione del contraddittorio. Con il ricorso infatti il contribuente ha distinto le censure rivolte ai vizi “autonomi” della cartella (motivi primo, secondo e terzo) da quelli che attingono gli atti prodromici. Ne consegue che ci si trova di fronte a cause scindibili e indipendenti, le quali, anche nell’astratta ipotesi di trattazione in giudizi separati, non genererebbero neppure il pericolo di giudicati contrastanti. A tal proposito questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti confrontii di tutte le parti tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, ma a condizione che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti, ex art. 331 c.p.c. (cfr. Cass., 26 gennaio 2010, n. 1535; 8 novembre 2017, n. 26433; 29 marzo 2019, n. 8790). Nel caso di specie le critiche appuntate dal contribuente nei confronti delle cartelle sono state indirizzate a vizi autonomi di quegli atti, che in alcun modo coinvolgono l’Agenzia delle entrate in riferimento agli atti prodromici, cioè agli avvisi di accertamento. D’altronde in quest’ultima ipotesi giurisprudenza consolidata nega il litisconsorzio necessario tra ente impositore ed ente riscossore (tra le tante Cass., 2 febbraio 2012, n. 1532; 28 aprile 2017, n. 10528).

E’ pur vero che sempre questa Corte ha affermato che in materia di impugnazione della cartella esattoriale la tardività della sua notificazione non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio. La legittimazione passiva spetta pertanto all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se é fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non é configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (Cass., 14 maggio 2014, n. 10477; 24 aprile 2018, n. 10019). Ma, a parte che questo principio riguarda la specifica ipotesi di cartelle notificate a seguito di liquidazione dell’imposta ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, trattasi in ogni caso di fattispecie che esula dalle censure sollevate in questo giudizio.

Ne consegue che i primi tre motivi del ricorso sono inammissibili, per aver omesso il ricorrente di evocare in giudizio l’agente riscossore.

A margine, si tratta di motivi del tutto infondati, mancando qualunque prescrizione normativa che imponga la sottoscrizione della cartella da parte del legale rappresentante dell’ente, potendo compiersi ritualmente la notifica della cartella a mezzo del servizio postale, senza alcuna formalità, né richiedendosi la sottoscrizione del responsabile del procedimento (tra le più recenti, Cass., 4 dicembre 2019, n. 31605; 30 ottobre 2018, n. 27561, quest’ultima in tema di sottoscrizione del ruolo; 14 novembre 2019, n. 29642 in tema di notifica a mezzo di servizio postale). Sicché , anche in considerazione dei principi costituzionali sul giusto processo, e in particolare nello specifico perseguimento della sua ragionevole durata, sarebbe del tutto irragionevole disporre l’integrazione del contraddittorio. Va infatti ribadito il consolidato principio di diritto secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale é destinato a produrre i suoi effetti. Ne consegue che, in caso di ricorso per cassazione prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio ovvero per la rinnovazione di una notifica nulla o inesistente, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (cfr. Cass., Sez. U, 22 marzo 2010, n. 6826; 17 giugno 2013, n. 15106; 10 maggio 2018, n. 11287; 21 maggio 2018, n. 12515; 17 giugno 2019, n. 16141).

Esaminando ora il quarto motivo, con cui il D. si duole della nullità della notifica degli avvisi di accertamento, eseguiti presso un indirizzo diverso da quello conosciuto (deve sottintendersi dall’Agenzia delle entrate), esso é infondato. La sentenza del giudice d’appello ha evidenziato che “dalla scheda dei dati anagrafici depositata dall’Agenzia delle entrate in primo grado emerge che, come comunicato dal Comune, il contribuente aveva la propria residenza anagrafica in via (OMISSIS)…”, evidenziando inoltre che questo indirizzo era stato riportato dal contribuente nelle dichiarazioni relative agli anni d’imposta 2007 e 2008. Anzi l’unità immobiliare di via (OMISSIS) era stata assegnata alla moglie in occasione della separazione coniugale. Sempre nella sentenza si afferma che nel verbale di risposta al questionario, redatto il 14.10.2008, il D. aveva indicato la via (OMISSIS) quale suo luogo di residenza. A fronte di una motivazione così dettagliata e puntuale la difesa del contribuente insiste su un diverso domicilio fiscale, senza riscontri né indicazione di documentazione, depositata tempestivamente nel processo, atta a provare le proprie affermazioni.

Ne consegue che gli avvisi di accertamento furono ritualmente notificati presso la residenza e domicilio fiscale del D., senza essere tempestivamente impugnati, divenendo così definitivi.

Il rigetto del quarto motivo assorbe il quinto, per essere divenuti definitivi gli atti impositivi contestati.

In conclusione il ricorso va rigettato. Nulla va regolato in ordine alle spese processuali per la mancata costituzione dell’Agenzia delle entrate.

PQM

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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