Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13085 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 30/06/2020), n.13085

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5301/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, n.

12;

– ricorrente –

contro

RESILIA s.r.l. a socio unico, con sede in Samarate, via Milano 201 e

ARKEMA s.r.l. a socio unico, con sede in Rho, via Pregnana 63,

rappresentate e difese, dall’avv. Bariè Margherita del Foro di

Milano e dall’avv. Giacchetti Alessandro del Foro di Roma, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via

Costantino Morin, n. 45;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 80/27/12, pronunciata il 2.12.2011 e depositata il

29.6.2012

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’8.11.2019 dal Consigliere Saieva Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso affidato a due motivi contro la RESILIA s.r.l. e l’ARKEMA s.r.l. per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 80/27/12, pronunciata il 2.12.2011 e depositata il 29.6.2012, concernente l’impugnativa da parte delle anzidetta società degli avvisi di accertamento relativi ai redditi recuperati a tassazione per l’anno 2004, per IVA, IRPEG ed IRAP notificati loro dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Gallarate.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. anzidetta aveva confermato la decisione con cui la C.T.P. di Varese aveva accolto il ricorso delle contribuenti, disattendendo i rilievi dell’Ufficio che aveva contestato la deducibilità di costi per complessivi 457.470,00 Euro, ritenuti non documentanti e/o non inerenti.

3. Entrambe le società resistono con controricorso.

4. Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio dell’8 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., ultimo comma, e art. 380-bis.1, c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con due distinti motivi l’Agenzia deduce un medesimo vizio di “motivazione insufficiente su fatto decisivo e controverso in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).”.

1.1 Con il primo motivo lamenta che la C.T.R. avrebbe trascurato di analizzare le prestazioni concretamente fatturate e, soprattutto, la rilevanza delle prove documentali, omettendo di motivare adeguatamente sulle ragioni della fondatezza e della rilevanza delle prove sull’inerenza dei costi dedotti da Resilia s.r.l., confermando e non contestando invece l’astratta ammissibilità del criterio di riparto dei costi infragruppo basato sul fatturato di ciascuna società e la concreta applicazione del medesimo criterio.

1.3. Con il secondo motivo lamenta la carenza motivazionale in ordine alla indeducibilità dei costi addebitati a Resilia s.r.l. per manutenzione software, rilevando che la C.T.R., pur tenendo conto dell’effettività delpagamento dei costi da parte della capogruppo, avrebbe omesso di analizzare i benefici per i quali Resilia s.r.l. sosteneva costi notevoli oltre a quelli di manutenzione già a suo carico.

3. Entrambi i motivi, suscettibili di esame congiunto per evidente connessione, appaiono meritevoli di accoglimento.

3.1. Va preliminarmente evidenziato che nella specie l’ufficio finanziario aveva contestato la deducibilità dei costi sostenuti dalla soc. Resilia per Euro 398.000,00 relativi a prestazioni di servizio rese e/o acquisite presso terzi dalla capogruppo Arkema France (già Atofina S.A.) e fatturate e/o riaddebitate alla società italiana. Detti servizi, forniti o acquisiti nell’interesse complessivo del gruppo, risultavano ripartiti tra le varie consociate in proporzione del fatturato di ciascuna di esse, ma dalla documentazione esibita della società non era possibile evincere nè quali fossero state, in concreto, le prestazioni, nè l’effettiva inerenza di esse rispetto all’attività esercitata dell’impresa italiana.

3.2. La C.T.R. ha ritenuto viceversa che dalla lettura del contratto, dai reports mensili di sintesi delle attività svolte, dalle schede di rendiconto dei costi complessivi ripartiti tra le società partecipanti emergeva che le società del gruppo, pur non avendo autonome strutture amministrative, producevano ricavi e risultavano attive, talchè le società appellanti avevano assolto all’onere di documentare la misura dell’inerenza dei costi, con riferimento all’attività svolta. La C.T.R. ha poi ritenuto che risultavano indicati i criteri di ripartizione dei costi generali riaddebitati e che comunque detti costì avevano comportato un vantaggio o un beneficio non occasionale in capo alla collegata, così che gli adempimenti indicati nel contratto risultavano correlati e necessari all’esercizio dell’attività della società e, pertanto, deducibili in quanto costi effettivamente dovuti in base al contratto. I giudici di appello hanno in sostanza ritenuto che detti costi presentavano i requisiti dell’inerenza, della certezza e della determinabilità, avendo la contribuente prodotto le fatture della società di manutenzione ed allegato il criterio di ripartizione.

3.3. Orbene, costituisce ius receptum il principio secondo cui – qualora la società capofila di un gruppo d’imprese, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e di ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala, fornisca servizi e curi direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo ripartendone i costi fra le affiliate – l’onere della prova in ordine all’esistenza ed all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio e, affinchè il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile ai fini delle imposte dirette e l’IVA contestualmente assolta sia detraibile, occorre che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata (cfr. Cass. n. 31405/18; n. 23164/17; n. 16480/14; n. 26851/09).

1.4. In quest’ottica, è possibile affermare che spetta al contribuente, secondo i criteri generali, fornire tutti gli elementi atti a supportare la deducibilità dei costi sostenuti per ottenere i servizi prestati dalla controllante, tra i quali l’effettiva utilità dei costi stessi per la controllata, anche se a quei costi non corrispondano direttamente ricavi in senso stretto (cfr. Cass. n. 32422/18; n. 23164/17; n. 8808/12; n. 14016/99).

1.5. Va precisato che ciò che rileva al riguardo non è tanto la forfetizzazione percentuale dei costi riaddebitati dalla capogruppo alle controllate, ma il metodo di imputazione tra costi e servizi che qualora risulti poco chiaro può rendere difficile la valutazione del beneficio ottenuto.

1.6. Ne deriva la legittimità della prassi amministrativa (Circ.Mef. n. 32/9/2267 del 22 settembre 1980) che fondatamente subordina la deducibilità dei costi derivanti accordi contrattuali sui servizi prestati dalla controllante (cost sharing agreements) all’effettività e all’inerenza della spesa all’attività d’impresa esercitata dalla controllata e al reale vantaggio che deriva a quest’ultima, senza che rilevino in proposito quelle esigenze di controllo della capogruppo, peculiari della sua funzione di shareholder (Cass. n. 31405/18).

1.7. In siffatta prospettiva non è sufficiente l’esibizione del contratto riguardante le prestazioni di servizi fornite dalla controllante alle controllate e la fatturazione dei corrispettivi, dovendo emergere specificamente quegli elementi necessari per determinare l’utilità effettiva o potenziale conseguita dalla consociata che riceve il servizio.

1.8. Nella specie, con riguardo ai servizi concretamente forniti alla società contribuente dalla consociata estera, manca una specifica selezione e disamina dei documenti prodotti dalla contribuente, ritenuti rilevanti ai fini del decidere, essendosi limitata, la C.T.R. ad attribuire rilevanza al solo contratto relativo ai servizi infragruppo ed alla documentazione che sarebbe stata prodotta dalla contribuente, senza alcun approfondimento al riguardo idoneo a superare la genericità delle fatture, non indicanti specificamente la prestazione dei servizi a fronte dei quali la erogazione sarebbe avvenuta.

1.9. La C.T.R. non ha quindi dato corretta applicazione ai principi dianzi illustrati, poichè non ha indicato gli elementi probatori, che dovevano essere forniti dalla contribuente, a dimostrazione dell’inerenza e della utilità economica dei costi in contestazione, limitandosi a considerazioni, del tutto sganciate dai complessi criteri di valutazione che le contestazioni sui “costi infragruppo”. Inoltre, avendo riconosciuto la deducibilità dei suddetti costi sulla base della sola documentazione del contratto infra-gruppo (quanto mai generico), senza alcuna valutazione del reale vantaggio conseguito dalla controllata dell’effettiva utilità tratta dalla medesima oltre che in assenza di adeguata documentazione o di informazioni complementari fornite dalla contribuente, non si è dunque conformata ai principi dianzi illustrati (cfr. Cass. 21446/14 e n. 22940/18).

Il ricorso va pertanto accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio degli atti al giudice a quo, in diversa composizione, per nuovo esame della vicenda e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia gli atti alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di giudizio.

Cosi deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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