Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13080 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 13080 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge,

dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di
questa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente contro
CATALINI Giuseppe, NOTARISTEFANO Carmine, SANTORO Salvatore,
CARACCIOLO Pietro, rappresentati e difesi, in forza di procura
speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Salvatore Coronas e Umberto Coronas, con domicilio eletto presso lo studio
di questi ultimi in Roma, via Giuseppe Ferrari, n. 4;
– controri correnti –

Data pubblicazione: 10/06/2014

e sul ricorso proposto da:
CATALINI Giuseppe, NOTARISTEFANO Carmine, SANTORO Salvatore,
CARACCIOLO Pietro, rappresentati e difesi, in forza di procura
speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Salvatore Coro-

di questi ultimi in Roma, via Giuseppe Ferrari, n. 4;

– ricorrenti in via incidentale contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro tem-

pore;
– intimato avverso il decreto della Corte d’appello di Perugia in data 18
giugno-29 novembre 2012.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’il aprile 2014 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito l’Avv. Salvatore Coronas.

Ritenuto che la Corte d’appello di Perugia, con decreto in
data 29 novembre 2012, ha condannato il Ministero
dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore di Giuseppe Catalini e degli altri istanti indicati in epigrafe,
della somma di euro 10.500 ciascuno, oltre accessori, a titolo
di equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n.
89, per la durata eccessiva di un processo amministrativo

nas e Umberto Coronas, con domicilio eletto presso lo studio

svoltosi dinanzi al TAR del Lazio per inquadramento professionale, durato circa quattordici anni e quattro mesi;
che la Corte d’appello – esclusa la ricorrenza di circostanze particolari per non riconoscere il danno non patrimo-

per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e di euro 1.000 per
ciascuno degli anni successivi;
che la Corte d’appello ha compensato le spese processuali
per metà (stante la differenza tra quanto richiesto e quanto
liquidato), quantificandole, nell’intero, in

euro

64,86

per

spese ed euro 370 per diritti ed onorari;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello il
Ministero ha proposto ricorso, con atto notificato il 29 maggio 2013, sulla base di quattro motivi;
che gli intimati hanno resistito con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale, affidato a tre motivi, illustrati con memoria.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una
motivazione in forma semplificata;
che il primo motivo del ricorso principale (violazione e
falsa applicazione degli artt. 117, primo comma, Cost., 1126,
2056, 2697 cod. civ., 2 della legge n. 89 del 2001 e 6, par.
l, della CEDU) lamenta che non sia stato escluso il danno non
patrimoniale, essendo le parti private risultate soccombenti
nel giudizio amministrativo presupposto alla luce di un pro-

niale – ha quantificato l’indennizzo sulla base di euro 750

nunciamento della Corte costituzionale sulla specifica problematica (le sentenze n. 151 del 1999 e n. 296 del 2000) sopravvenuto poco dopo l’instaurazione del giudizio e vincolante per
il giudice di merito;

sivo per il giudizio) si sostiene che la manifesta e conclamata infondatezza della pretesa azionata nel giudizio presupposto escludeva la possibilità di ritenere, comunque, un danno
non patrimoniale suscettibile di ristoro;
che i due motivi – i quali, attesa la loro connessione,
possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;
che, infatti, in caso di violazione del termine di durata
ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di
cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 spetta a tutti i
soggetti che ne siano parti, indipendentemente dal fatto che
essi siano risultati vittoriosi o soccombenti, costituendo
l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni coinvolte nel processo, ad eccezione del caso in cui il
soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio in difetto di una condizione soggettiva di incertezza; dell’esistenza di queste situazioni,
costituenti abuso del processo, deve dare prova puntuale
l’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte poteva dirsi infondata per

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che con il secondo mezzo (omesso esame circa un fatto deci-

effetto di una sentenza della Corte costituzionale (Cass.,
Sez. I, 26 aprile 2010, n. 9938; Cass., Sez. VI-1, 23 dicembre
2011, n. 28592);
che il terzo ed il quarto motivo lamentano, rispettivamente

di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, l’eccessiva quantificazione del danno, che non avrebbe
tenuto conto della posta in gioco;
che entrambe le censure sono infondate, perché la Corte di
appello, riconoscendo a ciascun ricorrente la somma di euro
10.500 complessivi per circa undici anni di ritardo, non si è
affatto discostata in maniera irragionevole dai parametri normalmente adottati dalla Corte europea in casi analoghi, ma ha
validamente esercitato la sua discrezionalità nella determinazione dell’indennizzo nel sostanziale rispetto di quei parametri, fornendo al riguardo congrua motivazione;
che, in particolare, la Corte d’appello non irragionevolmente si è attenuta allo standard,

applicato dalla giurispru-

denza di questa Corte (Sez. VI-1, 28 maggio 2012, n. 8471), di
euro 750 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e di euro 1.000 per ciascun anno successivo;
che, lamentando la mancata applicazione di un parametro indennitario più basso, il ricorrente Ministero chiede a questa
Corte di esercitare un sindacato di merito su una questione di

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sotto il profilo del vizio di violazione e falsa applicazione

fatto rimessa alla ponderata valutazione della Corte
d’appello;
che, passando all’esame del ricorso incidentale, è fondato,
nei termini di seguito precisati, il primo motivo, perché la

370 complessivi, viola i minimi tariffari, essendo inferiore
alla liquidazione effettuata in casi analoghi da questa Corte
quando emette una pronuncia nel merito, giacché quella liquidazione, tenendo conto della tariffa ratione temporls applicabile, avrebbe dovuto essere di euro 1.090 (di cui euro 600 per
onorari e 490 per diritti);
che sono altresì fondati il secondo ed il terzo motivo del
ricorso incidentale, con cui si lamenta la compensazione per
metà delle spese processuali;
che non v’è dubbio che la nozione di soccombenza reciproca,
che consente la compensazione parziale o totale tra le parti
delle spese processuali (art. 92, secondo comma, cod. proc.
civ.), comprende anche raccoglimento parziale dell’unica domanda proposta, quando la parzialità dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un
unico capo (Cass., Sez. III, 21 ottobre 2009, n. 22381);
che, tuttavia, la motivazione alla base della disposta compensazione per 1/2 delle spese di lite si appalesa priva di
logica ragionevolezza, posto che nella specie non vi è stato
alcun rilevante scarto (Cass., Sez. VI-1, 17 giugno 2012, n.

liquidazione dei diritti e degli onorari, nell’intero, in euro

617) tra l’importo richiesto dalle parti istanti (comunque
conforme ai parametri CEDU) e quello riconosciuto dalla Corte
territoriale;
che, inoltre, l’ampiezza della dichiarata compensazione –

sussistente tra l’indennizzo domandato e quello liquidato finisce con il risolversi nella sostanziale vanificazione della soccombenza dell’Amministrazione convenuta, che, invece,
deve essere adeguatamente riconosciuta anche sotto il profilo
della suddivisione del carico delle spese per non rendere vuota la tutela accordata;
che il decreto impugnato è quindi cassato limitatamente al
capo delle spese;
che la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, con la condanna del
Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento, per
l’intero, delle spese processuali sostenute dai ricorrenti nel
giudizio di merito, liquidate in euro 1.154,86;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza;
che anche le spese del giudizio di cassazione devono essere
distratte in favore dei difensori delle parti private, dichiaratisi antistatari;
che, risultando dagli atti che il procedimento in esame è
considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non

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tra l’altro di gran lunga eccedente il divario percentuale

si deve far luogo – assorbita ogni ulteriore considerazione
sulla qualità della parte soccombente – alla dichiarazione di
cui al comma 1-quater all’art. 13 del testo unico approvato
con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1,

per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato – Legge di stabilità 2013).
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale e accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso incidentale,

cassa il de-

creto impugnato limitatamente al capo delle spese e,
nel merito,

decidendo

condanna il Ministero dell’economia e delle finan-

ze al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese processuali del giudizio dinanzi alla Corte d’appello per l’intero,
nell’importo di euro 1.154,86, di cui euro 1.090 per diritti
ed onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, con
distrazione in favore degli Avv. Salvatore Coronas e Umberto
Coronas, dichiaratisi antistatari;

condanna il Ministero alla

rifusione delle spese, altresì, del giudizio di cassazione,
spese liquidate in euro 1.000, di cui euro 100 per esborsi ed
euro 900 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori
di legge, con distrazione delle stesse in favore dei difensori
antistatari dei controricorrenti e ricorrenti incidentali,
Avv. Salvatore Coronas e Umberto Coronas.

comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, 1’11 aprile

2014.

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