Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13078 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 30/06/2020), n.13078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PEPE Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8047-2013 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA,

presso l0 studio dell’avvocato DI LOTTI MARCO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Z.Z., giusta procura in

calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA CAPITALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 154/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 28/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.A. ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 154/10/2012, in controversia riguardante l’impugnazione di tre avvisi di accertamento per ICI (anni di imposta del 2001 al 2003), sostenendo l’illegittimità della pretesa per avvenuto pagamento delle imposte. L’adita Commissione ha rigettato l’appello della contribuente, accogliendo l’appello incidentale del Comune di Roma, concludendo per la legittimità della pretesa impositiva. La ricorrente censura con cinque motivi la sentenza impugnata, denunciando, inter alla, la tardività e l’infondatezza dell’appello incidentale proposto dal Comune di Roma, ed omessa motivazione in ordine alla compensazione delle spese di lite disposta dalla Commissione Tributaria Provinciale. Il Comune di Roma – Roma Capitale non ha svolto difese. All’udienza del 4 aprile 2019, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio non presente in atti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla compensazione delle spese di primo grado, nonchè violazione ed errata applicazione delle norme del codice di rito inerenti alla liquidazione delle spese di lite ex art. 92 c.p.c., atteso che la Commissione Tributaria Regionale” senza fornire alcuna motivazione, ha ritenuto che il criterio della soccombenza non precludesse l’ipotesi della compensazione, in tutto o in parte, delle spese processuali, in presenza di giusti motivi. Parte ricorrente deduce che nella fattispecie, mancando del tutto le motivazioni alla compensazione delle spese cli lite di primo grado, neppure il giudice di appello, interpellato a giudicare sul punto, avrebbe fornito una motivazione sulla conferma della sentenza di primo grado.

2. Con il secondo motivo si denuncia omessa insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’ammissione dell’appello incidentale formulato dalla controparte, nonchè violazione ed errata e/o falsa applicazione delle norme del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 23 e 54, eccependo la tardività ed inammissibilità dell’appello incidentale. La ricorrente precisa che il ricorso in appello sarebbe stato notificato alla controparte in data 11.5.2011 e ricevuto dalla stessa in data 16.5.2011, con la conseguenza che il Comune si sarebbe costituito tardivamente in data 22.9.2011, sicchè non poteva essere ammessa alcuna domanda incidentale.

3. Con il terzo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonchè violazione ed errata e/o falsa applicazione delle norme di diritto relative all’onere della prova, atteso che il Comune di Roma, per giustificare la legittimità dell’atto di irrogazione della sanzione, ha fatto riferimento a delibere comunali che non sono state depositate in giudizio, ma di cui i giudici di appello avrebbero tenuto conto senza verificarne il contenuto nè la veridicità.

4. Con il quarto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonchè violazione ed errata e/o falsa applicazione delle disposizioni regolamentari inerenti l’ICI, in quanto gli atti impositivi notificati sarebbero viziati ab origine perchè imporrebbero pagamenti di somme assolutamente non dovute, sia perchè prescritti, sia perchè illegittimi nel quantum.

5. Con il quinto motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine all’ammissione dell’appello incidentale formulato dalla controparte, nonchè violazione ed errata e/o falsa applicazione delle norme del codice di rito inerenti la liquidazione delle spese al funzionario, non abilitato all’esercizio dello ius postulandi, non trattandosi di difesa tecnica, atteso che in tale contesto il giudicante avrebbe potuto liquidare le spese solo se fatturate.

6. Per ragioni di priorità logica, va esaminato il secondo motivo e la prima parte del quinto motivo di ricorso, con cui si denuncia l’inammissibilità dell’appello incidentale.

Le censure sono fondate nei termini di seguito enunciati.

6.1.L’avvenuta impugnazione della sentenza comporta la necessità che tutte le impugnazioni avverso la medesima decisione siano proposte in via incidentale nello stesso giudizio entro il termine di cui all’art. 343 c.p.c., sicchè l’impugnazione incidentale proposta oltre tale termine è inammissibile, ancorc:hè non siano decorsi i termini generali di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c., che conservano rilevanza solo per l’operatività delle conseguenze previste dall’art. 334 c.p.c., comma 2 (Cass. n. 12724 del 2015). Con riferimento al processo tributario, questa Corte ha precisato che l’appello incidentale ceve essere proposto, a pena di inammissibilità, entro sessanta giorni dalla notificazione del gravame, e l’intempestività di esso è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. n. 16285 del 2007). Tanto si evince chiaramente dalla formulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54 che, dopo aver fatto rinvio all’art. 23 per il termine di deposito dell’atto di controdeduzioni (contenente l’appello incidentale) prevede espressamente la sanzione dell’inammissibilità per la proposizione del detto appello incidentale in violazione del termine predetto. Il citato D.Lgs., art. 54, comma 2, prevede che l’appello incidentale può essere proposto, a pena di inammissibilità, nei modi e nei termini di cui al citato D.Lgs., art. 23, ovvero nel termine di 60 giorni dal giorno in cui il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale. Al di là del dato letterale della norma che prevede espressamente l’inammissibilità dell’appello incidentale in caso di tardività nella proposzione dello stesso (cfr. Cass. n. 11809 del 2006, Cass. n. 26291 del 2005), l’inammissibilità discende dalle categorie proprie del giudizio di impugnazione che prevedono la perentorietà dei termini per la proposizione dei mezzi di gravame. L’eccezione di intempestività della impugnazione attiene all’esistenza di un presupposto processuale dell’azione, il cui difetto il giudice è tenuto in ogni caso a rilevare anche d’ufficio, in ogni stato o grado del giudizio. Al riguardo è univoca la giurisprudenza di questa Corte. I termini per l’impugnazione della sentenza qualificati “perentori” dall’art. 326 c.p.c., inquadrandosi nell’istituto generale della decadenza, decorrono per il solo fatto materiale del passare del tempo, senza alcuna possibilità di proroga, sospensione o interruzione, se non nei casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge. (Cass. n. 13524 del 2003; Cass. n. 4505 del 1996). L’inammissibilità dell’impugnazione derivante dall’inosservanza dei termini all’uopo stabiliti a pena di decadenza è correlata alla tutela di interessi ch carattere generale e, come tale, è insanabile, oltre che rilevabile d’ufficio (Cass. n. 6983 del 2005). Detti principi debbono ritenersi applicabili nel processo tributario, sia perchè consequenziale espressione delle categorie giuridiche proprie del giudizio di impugnazione, sia per il richiamo espresso operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2.

6.2. Parte ricorrente deduce che il ricorso in appello è stato notificato in data 11 maggio 2011 e ricevuto dall’ente comunale in data 16 maggio 2011, il quale si sarebbe costituito in giudizio il 22 settembre 2011. Nel processo tributario, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 54, solo l’appello principale, che è l’impugnazione proposta per prima, va notificato alle altre parti per poi essere depositato presso la segreteria della commissione tributaria adita nei trenta giorni successivi, mentre l’appello incidentale, vale a dire l’impugnazione proposta successivamente, va solo depositato insieme alle controdeduzioni. (Cass. n. 22023 del 2006; Cass. n. 9757 del 2017).

La costituzione in giudizio della parte resistente può avvenire, entro sessanta giorni dalla avvenuta notifica del ricorso (nella specie avvenuta il 11 maggio 2011) mediante il deposito, presso la segreteria della Commissione Tributaria adita, del fascicolo contenente le controdeduzioni, D.Lgs. n. 54 del 1992, ex art. 54, comma 1.

La Corte rileva dall’esame degli atti del fascicolo d’ufficio, che l’appello di P.A. è stato depositato il 12.5.2011 (v. frontespizio della sentenza della C.T.R.), e notificato al Comune di Roma in data 11.5.2011 (v. accettazione raccomandata A.R.), il quale si è costituito con controdeduzioni, proponendo appello incidentale, in data 22.9.2011. (v. pag. 2 sentenza impugnata) oltre il termine di sessanta giorni dalla avvenuta notifica. Ne consegue l’inammissibilità delle dedotte censure per tardività.

7. Il terzo, il quarto motivo di ricorso, vanno esaminati congiuntamente per ragioni d1 connessione logica.

Le censure dedotte sono inammissibili per carenza di autosufficienza e per difetto di decisività. Questa Corte ha costantemente affermato che: “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazioni nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio” (Cass. n. 20694 del 2018). Si è, altresì, precisato che: “Qualora una questione giuridica implicante un accertamento in fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata – il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nella inammissibilità per la novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa” (Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 28480 del 2005).

Parte ricorrente non ha ottemperato a tale onere processuale, omettendo di indicare in ricorso il contenuto delle delibere che si assume essere state valutate dal giudice del merito, nonostante l’omessa allegazione da parte dell’ente impositore (in violazione del regime probatorio), nè ha riportato in ricorso alcun riferimento alle fasi del giudizio di merito o agli atti di causa in cui si sia eccepito e dimostrato il pagamento dell’imposta dovuta o dedotto il decorso del termine di prescrizione della pretesa tributaria. Da ciò consegue l’inammissibilità dei motivi.

8. Anche la censura proposta con la seconda parte del quinto motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione di legge con riferimento alla liquidazione delle spese a favore del funzionario del Comune di Roma, in quanto non abilitato allo ius postulandi, è infondata. Nè può essere condivisa la denuncia secondo cui il giudice del merito può liquidare le spese solo se fatturate dal funzionario comunale.

8.1. Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, consente che l’Ufficio del Ministero delle Finanze possa farsi assistere nel processo tributario da funzionari dell’Amministrazione.

In ordine ai compensi professionali riconosciuti a dipendenti della pubblica amministrazione privi della “qualità” di avvocato, la legge di stabilità 2012, ed in particolare la L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 42, recante titolo ” Liquidazione di spese processuali”, ha introdotto l’art. 152-bis disp. att. c.p.c. il quale prevede che: “Nella liquidazione delle spese di cui al D.Lgs. 30 marzo 2011, n. 165, art. 91, comma 2, e successive modificazioni, se assistite da propri dipendenti ai sensi dell’art. 417 bis c.p.c. si applica la tariffa vigente per gli avvocati, con la riduzione del 20 per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600″.

Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2-bis, dispone, altresì, che: ” Nella liquidazione delle spese a favore dell’Ufficio del Ministero delle Finanze, se assistito da funzionari dell’Amministrazione, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del 20% degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza”.

Questa Corte ha, infatti, affermato, con orientamento condiviso, che:

“In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15, comma 2-bis, stabilisce che, nella liquidazione delle spese a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onerari di avvocato ivi previsti. Lo specifico riferimento alle spese processuali ed alla riduzione percentuale dei soli onorari di avvocato chiarisce il

diritto dell’ente alla rifusione sia dei costi affrontati, sia dei compensi spettanti per l’assistenza tecnica fornita in giudizio dai dipendenti, tra i quali la tariffa forense- approvata con DM 5 ottobre 1994, n. 585, comprende, oltre gli onorari, anche i diritti di procuratore (che rappresentano il compenso analitico per l’attività eminentemente formale che il professionista è legittimato a svolgere nel processo), e, ai sensi dell’art. 15 della Tariffa medesima, un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del dieci per cento sull’importo degli onorari e dei diritti” (Cass. n. 15858 del 2001; Cass. n. 15546 del 2004; Cass. n. 5957 del 2007).

Ne consegue che il funzionario del Comune di Roma era abilitato a rappresentare in giudizio l’ente comunale.

Le spese processuali, inoltre, vanno liquidate in ogni caso, purchè in ricorso (del contribuente) e nelle controdeduzioni (dell’Ufficio) sia formulata domanda in tal senso. Nella fattispecie, la ricorrente non ha dedotto che sia stata omessa da parte dell’ente comunale la richiesta di pagamento delle spese.

La nota spese non costituisce, infatti, presupposto della liquidazione, ma semplice esposizione delle prestazioni svolte, tanto che la L. 22 gennaio 1934, n. 36, art. 59 (ordinamento forense) stabilisce che quanto a tale obbligo non si sia provveduto si procede comunque alla tassazione delle spese (con condanna del legale inadempiente a pagare all’erario una somma di denaro ancorchè simbolica).

9. Il primo motivo di ricorso, esaminato per ultimo in ordine inverso, inammissibile per carenza di autosufficienza è, altresì, infondato.

9.1. La sentenza di primo grado, oggetto di impugnazione da parte del contribuente, è stata resa nel vigore dell’art. 92 c.p.c., nella formulazione di cui alla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), al quale rinviava l’art. 15 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per cui il potere discrezionale di disporre la compensazione parziale o totale delle spese di lite era subordinato o alla sussistenza della soccombenza reciproca o alla concorrenza di “altri giusti motivi esplicitati in motivazione”. In proposito giova ricordare che già nella formulazione ancora anteriore dell’art. 92 c.p.c., le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza 30 luglio 2008, n. 20598, componendo un contrasto di giurisprudenza, avevano chiarito che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi doveva trovare un adeguato supporto motivazionale, in modo che le ragioni giustificatrici di detto provvedimento risultassero “chiaramente e inequivocamente desumibili dalla motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito o di rito”. Il giudice di appello ha fatto buon governo dei suddetti principi stabilendo che il criterio della soccombenza non preclude l’ipotesi della compensazione delle spese processuali, in presenza di giusti motivi rimessi all’apprezzamento del giudice.

Nella fattispecie in esame, la Commissione Tributaria Regionale chiarisce il contenuto dei giusti motivi, precisando che la contribuente non aveva mai presentato la comunicazione per poter beneficiare dell’aliquota ridotta sull’apposito modulo predisposto dal Comune, ai sensi del Regolamento Comunale art. 14, attestante la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del beneficio fiscale, “pertanto, gli avvisi di accertamento erano stati emessi attesa la mancata presentazione da parte della ricorrente della suddetta comunicazione”.

10.In definitiva, la Corte accoglie il secondo e la prima parte del quinto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in parte qua e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dal Comune di Roma, rigettando tutti i restanti motivi. Tenuto conto delle ragioni della decisione e dell’andamento del processo, le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità vanno compensate per metà per la parziale soccombenza e liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e la prima parte del quinto motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile l’appello incidentale proposto dal Comune di Roma, rigettando tutti i restanti motivi. Compensa interamente tra le parti le spese di lite dei gradi di merito e compensa per metà le spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 250,00, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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