Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13078 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/05/2017, (ud. 11/05/2017, dep.24/05/2017),  n. 13078

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente –

Dott. DAVIGO Piercamillo – rel. Consigliere –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12082/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.M. domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio del Dott.

R.V.;

avverso la sentenza n. 90/4/11 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di Catanzaro del 27/10/2011, depositata il 14/11/2011, non

notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Relatore Davigo

Piercamillo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Catanzaro, n. 90/4/11, pubblicata il 15 novembre 2011, con la quale era sta confermata la pronunzia della Commissione tributaria provinciale di Catanzaro, che aveva accolto il ricorso proposto da M.M. contro l’avviso di accertamento in materia di I.V.A., I.R.PE.F. e I.R.A.P. per l’anno d’imposta 1998 emesso dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Catanzaro, con il quale erano stati accertati maggiori ricavi per Lire 51.895,00 pari ad Euro 26.802,53. Chiedeva la condanna del contribuente alla rifusione delle spese.

La Commissione Tributaria regionale rigettava l’appello dell’Ufficio sull’assunto che l’Ufficio non avrebbe accertato una reale capacità contributiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 542 del 1996, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, in quanto la sentenza impugnata difetta di motivazione essendo priva dei requisiti minimi richiesti dalla giurisprudenza.

Col secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione del D.L. n. 31 del 1993, art. 62 bis, convertito con L. n. 427 del 1993, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, avendo la Commissione Tributaria errato nell’applicazione degli studi di settore anche alla luce della mancata instaurazione del contradditorio per fatto del contribuente che non ha risposto al relativo invito da parte dell’Ufficio.

2. I motivi di ricorso sono fondati.

Questa Corte ha affermato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8315 del 04/04/2013 Rv. 626129 – 01. Nel caso di specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso con il quale era stata contestata la valutazione che la commissione tributaria regionale aveva fatto in ordine alla concludenza di una prova presuntiva).

Nel caso in esame la motivazione è mancante essendosi la Commissione Tributaria Regionale limitata ad affermare che l’Ufficio non aveva accertato la reale capacità contributiva.

Peraltro è altresì erronea l’applicazione delle disposizioni sugli studi di settore.

Infatti questa Corte ha affermato che i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quanto eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico – induttivo, il D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016 Rv. 640541 – 01; Principio affermato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1).

Nel caso in esame il contribuente, a fronte dell’invito al contraddittorio, non ha dedotto alcunchè.

3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro per nuovo giudizio.

Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà sulle spese.

PQM

 

LA CORTE annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, che provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 11 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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