Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13075 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 30/06/2020), n.13075

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15665/2014 R.G. proposto da:

Rosato Francesco, rappresentato e difeso, in virtù di procura

speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Pirrottina Davide (pec:

davidepirrottina.ordineavvocatiroma.org) elettivamente domiciliato

in Roma alla via Federico Cesi n. 72;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore p.t., rappresentata e

difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec:

agsrmmailcert.avvocaturastato.it), ex lege domiciliata in Roma alla

via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 361.21.13 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata in data 12/12/2013, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11

dicembre 2019 dal Dott. Napolitano Angelo.

Fatto

Con avviso di rettifica e liquidazione n. (OMISSIS), l’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale III di Roma, Ufficio territoriale di Tivoli, in data 8/2/2011, rettificava in Euro 965.000 il valore di Euro 500.000 dichiarato nell’atto di compravendita stipulato dal notaio Sassano in data 23/2/2009 e registrato il 24/2/2009, serie 1T, numero 000730, con cui R.F., odierno ricorrente, aveva acquistato il locale commerciale sito in (OMISSIS), distinto nel NCEU del Comune di Tivoli al fl. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS), sub. (OMISSIS), cat. C/1, classe 1, mq 703, RC 11.416,23, con contestuale determinazione del maggior importo dovuto a titolo di imposte di registro, ipotecaria e catastale, interessi e sanzioni.

La rettifica era stata effettuata sulla base di una perizia redatta dall’Ufficio provinciale di Roma.

R.F. in data 24/3/2011 presentava presso l’Agenzia delle Entrate istanza di accertamento con adesione, seguita dal contraddittorio tenutosi in data 6/5/2011 durante il quale, su istanza del ricorrente, l’Agenzia delle Entrate richiedeva una nuova valutazione dell’immobile da parte dell’Ufficio provinciale di Roma dell’Agenzia del Territorio, Settore Servizi Tecnici.

Sulla base di una nuova perizia, l’Ufficio tecnico, accolte in parte le eccezioni del contribuente, attribuiva al cespite il valore di Euro 776.000, abbattendo del 20% il valore precedentemente stimato. Proposto ricorso in sede giurisdizionale avverso il citato avviso di rettifica e liquidazione, la CTP di Roma accoglieva il ricorso del Rosato, compensando le spese.

Interposto appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, la CTR del Lazio riformava la sentenza di primo grado, attribuendo all’immobile il valore di Euro 776.000.

Avverso tale sentenza il Rosato ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Alla pubblica udienza dell’11 dicembre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.

Diritto

1. Con il primo motivo, rubricato “Nullità e/o inesistenza della notificazione del ricorso in appello D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 22 e 53 e contestuale istanza di pubblica udienza”, il ricorrente censura la sentenza di appello per error in procedendo: essa sarebbe affetta da nullità, in quanto l’atto introduttivo dell’appello non sarebbe mai stato notificato al R., presso il domicilio da lui eletto, tant’è vero che egli non si era costituito nel giudizio di secondo grado.

Ha dedotto il ricorrente che il ricorso in appello è stato notificato in data 25/10/2012 all’indirizzo di via dei Bresciani 23 in Roma, “mediante consegna al sig. Scolaro Giovanni in qualità di incaricato al ritiro che ha firmato”.

Tale notificazione sarebbe inesistente.

Dalla relata, infatti, non sarebbe possibile risalire al destinatario dell’atto, avendo l’agente notificatore indicato solo l’indirizzo di via (OMISSIS).

Il consegnatario dell’atto di appello sarebbe un soggetto sconosciuto all’organizzazione della società presso il cui indirizzo è stata effettuata la notifica, e non sarebbe da escludersi che egli fosse addetto ad uno degli altri studi professionali ubicati nello stesso stabile, privo, dunque, di alcun collegamento con la società presso la cui sede l’odierno ricorrente aveva eletto domicilio.

Dal vizio della notificazione conseguirebbe la nullità della sentenza impugnata.

1.1 II motivo è infondato.

Avendo il R. eletto domicilio, in sede contenziosa, presso la sede di una società di capitali, deve trovare continuità l’orientamento di questa Suprema Corte secondo il quale, ai fini della regolarità della notifica ex art. 145 c.p.c., comma 1, è sufficiente che il consegnatario si trovi presso la sede della persona giuridica destinataria in modo non occasionale ma in virtù di un particolare rapporto che, non dovendo essere necessariamente di prestazione lavorativa, può risultare anche dall’incarico, sebbene provvisorio e precario, di ricevere le notificazioni per conto della persona giuridica, sicchè, ove dalla relata di notifica dell’ufficiale giudiziario risulti la presenza del consegnatario nella sede della persona giuridica, egli deve presumersi addetto alla ricezione degli atti per la stessa, salvo che la persona giuridica dimostri di non aver attribuito a tale consegnatario alcun incarico (Cass., sez. 5, n. 32981/2018).

Orbene, non essendovi alcuna prova dell’assenza, tra la società domiciliataria del R. ed il consegnatario dell’atto di appello, reperito presso l’indirizzo della prima, di un rapporto fondato su un incarico avente ad oggetto la ricezione di atti e di corrispondenza, la notifica dell’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado deve considerarsi valida.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 36, nonchè dell’art. 118 disp. att. c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, il R. censura la sentenza impugnata in quanto la motivazione sarebbe del tutto apparente ed insufficiente. Il giudice d’appello, in particolare, avrebbe allegato argomentazioni del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione, che non consentirebbero l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione.

2. Il motivo è infondato.

La sentenza di appello risulta, infatti, adeguatamente e congruamente motivata, con riferimento alle caratteristiche dell’immobile acquistato dall’odierno ricorrente.

A tal proposito, si deve ribadire che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 del, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla lude dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U., n. 8053/2014). Nessuno dei vizi motivazionali censurabili affligge la sentenza impugnata.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna R.F. al pagamento, in favore dell’Amministrazione controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro quattromila per onorari, oltre al rimborso delle spese generali e delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis, , se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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