Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13074 del 23/06/2016


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Cassazione civile sez. VI, 23/06/2016, (ud. 19/02/2016, dep. 23/06/2016), n.13074

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23749-2014 proposto da:

F.G., ((OMISSIS)), domiciliato ex lege in

ROMA, Piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione,

rappresentato e difeso dall’avv.to DONATO PERRINI, come da procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE CRISPIANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1224/2014 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 17/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/02/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Nico Panio, per delega, che si riporta agli atti e

alle conclusioni assunte.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.G. impugna la sentenza del Tribunale di Taranto n. 1224/2014 pubblicata in data 17/04/2014, che ha respinto la sua impugnazione avverso la sentenza n. 993/2013 del Giudice di Pace di Taranto che, a sua volta, respingeva la sua richiesta di “dichiarare la nullità della contestazione di cui al verbale nr. (OMISSIS) elevata dalla polizia Municipale del Comune di Crispiano”, notificatagli in data 19/05/2011.

2. Precisa il ricorrente che il Tribunale di Taranto ha confermato la sentenza del giudice di pace “con argomentazioni del tutto illogiche e prive di riscontri”.

3. Impugna tale decisione il ricorrente che formula due motivi.

Nessuna attività in questa sede ha svolto la parte intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi del ricorso.

1.1 Col primo motivo si deduce: “Violazione e falsa applicazione D.Lgs. 30 aprile, n. 285, art 145”. Rileva il ricorrente che “risulta palese che la ricostruzione della dinamica di un sinistro stradale non può essere demandata all’esclusivo apprezzamento, peraltro successivo, degli agenti della Polizia Municipale che, intervengono successivamente sul luogo ove si è verificato il sinistro stradale”, posto che l’accertamento postumo effettuato dagli agenti operanti, non può ritenersi probatorio ai fini della attribuzione della responsabilità del conducente un veicolo”. Rileva che “nel caso de quo è evidente che gli agenti della Polizia Municipale del Comune di Crispiano siano intervenuti solo successivamente quando i mezzi coinvolti, tra ali quello del ricorrente, si trovavano già nella posizione di quiete”.

1.2 – Col secondo motivo si deduce: “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”. Secondo il ricorrente, il “Giudice di Appello ha motivato la propria decisione in modo contraddittorio”, posto che ha “omesso di considerare la sentenza impugnata di primo grado”, preferendo “desumere il contenuto della sentenza dagli atti di causa”. Rileva poi il ricorrente che il giudice dell’appello ha “del tutto travisato quanto dedotto dal ricorrente sia nel ricorso di primo grado sia nella successiva impugnazione”, quanto alle svolte “considerazioni circa la mancata contestazione, da parte del ricorrente, nel corso di primo grado riguardo alla collisione e riguardo alla cosiddetta “precedenza di fatto” che nulla hanno a che fare con le doglianze del ricorrente”. Aggiunge che “illogica è la sentenza del Tribunale ove si asserisce che il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di essersi presentato “all’incrocio con tale anticipo da consentirgli di effettuare l’attraversamento con assoluta sicurezza””, posto che, così facendo, “il Tribunale richiede al ricorrente una prova diabolica, consistente nell’aver dovuto dimostrare di essersi portato su di un incrocio (ove è avvenuto il sinistro) con tale e tanto anticipo da evitare il sinistro”. Osserva, infine, il ricorrente che il giudicante non ha in alcun modo considerato le conclusioni della perizia depositata in giudizio, che, “partendo dalla disamina della conformazione della intersezione semaforica, nonchè dallo studio della dinamica del sinistro, ricostruita, con dati scientifici, attraverso le deformazioni subite dal veicolo del ricorrente (che risultava fermo) e la localizzazione delle stesse (parafango anteriore destro), la rotazione subita a seguito dell’impatto dal veicolo del ricorrente, nonchè dalla evidente ed erronea planimetria ricostruttiva fornita e prodotta da controparte, giungeva a ritenere senta alcun dubbio che la ricostruzione della dinamica ad opera degli agenti di PM fosse decisamente errata”. Ha errato il giudice dell’appello a ritenere che “la perizia così come prodotta non fosse altro che “irrilevante” in quanto perizia di “parte (redatta, peraltro, a posteriori da chi non era certo in loco…)”, posto che comunque tale documento doveva essere valutato “quale elemento indiziario al pari di ogni altro documento proveniente da un terzo”.

2. Il ricorso è infondato e va rigettato.

2.1 – Appare, in primo luogo, opportuno riportare le parti della decisione impugnata utili rispetto all’attuale giudizio.

Il giudice dell’appello ha in primo luogo rilevato che la violazione contestata riguardava l’omessa “precedenza a destra ad altra vettura, in occasione dell’incidente stradale… del (OMISSIS)”. Rileva poi il giudicante l’ammissibilità dell’appello, pur in assenza di produzione della sentenza impugnata, posto che “dalla pacifica ricostruzione del contenuto della sentenza e dagli altri di causa, lo scrivente è in grado di decidere”. Osserva poi che il ricorrente “non contesta nè che nella specie l’auto con cui è venuto in collisione provenisse dalla sua destra, in incrocio in quel momento (per semaforo lampeggiante giallo, egli stesso dice) non altrimenti regolato, nè i principi in materia di cosiddetta “precedenza di fatto”, che richiama, qui come in prime cure, correttamente, senta, però trarne le dovute conseguenze”. Aggiunge che l’appellante “avrebbe dovuto dimostrare (come si evince dai predetti principi in materia di precedenza di fatto) di esserci presentato “all’incrocio con tale anticipo da consentirgli di effettuare l’attraversamento con assoluta sicurezza””, che l’incrocio “si presentava completamente libero ed attraversabile in sicurezza”, che il sinistro si era “verificato non per l’erroneo suo calcolo (nell’arrogarsi la cosiddetta “precedenza di fatto”), bensì per una manovra anomala (ad esempio, una sua improvvisa accelerazione ovvero un’inescusabile distrazione) da parte del conducente favorito, tale da determinare, di per se; il sinistro ed escludere la sua responsabilità”. Tale prova non era emersa in giudizio, “non solo sulla base delle prove addotte, ma, invero, neppure leggendo l’originario ricorso (in cui si ripetono gli irrilevanti – da soli – elementi fattuali addotti, e cioè l’esser l’auto dell’appellante giunta prima – ma non si dice di quanto –

all’incrocio, rispetto all’auto favorita, esser la stessa ferma per far passare un pedone e l’ampia visuale di cui godeva il conducente del veicolo favorito)”. Aggiunge ancora il giudicante che “chi doveva concedere la precedenza non avrebbe, certo, dovuto dare la prova: –

che egli si fosse presentato all’incrocio prima della vettura favorita, subendo un urlo, anche consistente (da determinare il rilevante spostamento antiorario della sua vettura), e neppure che egli fosse stato investito da firmo, nel mentre dava la precedenza ad un pedone. Sicchè, è del tutto irrilevante che tali dati risultino da una perizia di parte (redatta, peraltro, a posteriori da chi non era certo in loco e che, al più, appunto, comferma i predetti punti), ovvero dalla prova testimoniale (di un teste, coetaneo dall’appellante e residente nello stesso piccolo centro, sì pacificamente presente in loco, perchè fotografato, ma non ascoltato dai verbalizzanti, e magari giuntovi dopo il sinistro)”.

2.2 – Tanto premesso, il primo motivo è infondato, posto che ben doveva l’amministrazione procedere, a seguito del sinistro, ai necessari rilievi, all’esito dei quali è stata adottata la contestazione di violazione della norma che impone di dare la precedenza. A tale conclusione l’amministrazione perviene con valutazione che naturalmente può essere contestata, come ha fatto il ricorrente anche con perizia di parte. Il giudice è poi tenuto a valutare i riscontri di entrambe le valutazioni tecniche, oltre che di tutti gli elementi di prova emersi nel giudizio, e a valutare di conseguenza la fondatezza dell’opposizione. Cosa che il giudice dell’appello ha fatto, rivalutando tutta la dinamica del sinistro alla luce di tutte le prove fornite, compresa la perizia di parte, di cui si dirà più diffusamente nel secondo motivo, giungendo però alla corretta conclusione, che il contravvenzionato doveva fornire la ben diversa prova di aver occupato l’incrocio quando lo stesso era del tutto libero, oppure la prova che il sinistro era dovuto esclusivamente alla colpa del conducente dell’auto favorita nella precedenza. Prova non fornita.

2.3 – E’ infondato anche il secondo motivo, che prospetta un vizio di motivazione, che all’evidenza non sussiste, per quanto su riportato.

La motivazione è adeguata, ampia e coerente e resa in conformità agli orientamenti di questa Corte sul punto. Contrariamente a ciò che afferma il ricorrente, infine, il giudicante ha considerato la perizia di parte, pur effettuata in un secondo momento, diversamente da quella degli agenti che invece erano intervenuti immediatamente sul posto. Ha osservato il giudicante che neanche da tale perizia emergevano quegli elementi di prova che unici avrebbero consentito di scagionare il ricorrente ed espressamente indicati.

3. Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-

bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 febbraio 2015.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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