Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13073 del 28/05/2010

Cassazione civile sez. III, 28/05/2010, (ud. 06/05/2010, dep. 28/05/2010), n.13073

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10250-2009 proposto da:

MASO SPA, in persona del suo Presidente del Consiglio di

Amministrazione, DOGIMA SPA, in persona del suo Amministratore Unico,

elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato GALLO MANLIO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1167/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

21/11/07, depositata il 16/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, letti gli atti depositati;

osserva:

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 Con ricorso notificato il 16 aprile 2009 Ma.So. S.p.A. e Do.Gi.Ma.

S.p.A. hanno chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 16 settembre 2008 dalla Corte d’Appello di Palermo che, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva rigettato la domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di un nuovo contratto di locazione dell’immobile adibito ad uffici del Genio Civile e la condanna del Ministero dei Lavori Pubblici al pagamento dei relativi canoni o, in subordine, al risarcimento del danno per l’occupazione senza titolo.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha resistito con controricorso.

2 – I due motivi del ricorso risultano inammissibili, poichè la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366-bis c.p.c..

Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, è ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che è inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico- giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione. In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione. Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2729 c.c. in relazione al precedente art. 1591 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

La censura si sviluppa con argomentazioni che contengono ampi riferimenti alle risultanze processuali, peraltro espresse senza rispettare l’art. 366 c.p.c., n. 6, in relazione al quale è orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3 n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità;

in altri termini, il ricorrente per cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto; il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile.

Ma, soprattutto, il quesito finale non postula l’enunciazione di un principio di diritto basato sulle norme invocate che sia decisivo per il giudizio e, nel contempo, di applicabilità generalizzata, nè il momento di sintesi necessario per circoscrivere il fatto controverso e per specificare in quali parti e per quali ragioni la sentenza presenti una motivazione, rispettivamente omessa, insufficiente e contraddittoria, ma si risolve in una richiesta di verifica della correttezza – che le ricorrenti negano – della decisione impugnata.

Con il secondo motivo viene ipotizzata violazione e falsa applicazione dell’art. 91 e segg. c.p.c.. La censura, espressa in termini assolutamente generici e conclusa con un quesito inappropriato, presuppone l’accoglimento della precedente e, quindi, ne segue le sorti.

4.- La relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti; Le ricorrenti hanno presentato memoria; nessuna delle parti ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte con la memoria non contrastano i rilievi contenuti nella relazione; si osserva, in particolare: a) in riferimento alla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, la memoria non ha valore integrativo del ricorso e, quindi, non può colmare le lacune da cui esso è affetto; b) in riferimento alla violazione dell’art. 366 bis c.p.c., le tesi delle ricorrenti contrastano con l’orientamento ormai consolidato di questa Corte;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna le ricorrente al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese prenotate a debito, spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 maggio 2010

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