Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13073 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 13073 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso 25983-2012 proposto da:
E.N.P.A.C.L.

ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED

ASSISTENZA PER I CONSULENTI DEL LAVORO C.F
80119170589, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.
MAZZINI 140, presso lo studio degli avvocati VITALE
2014
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FORTUNATO, VITALE LUCIA, VITALE TERESA, che lo
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– ricorrente contro

PUGLIESE ANGELO C.F. PGLNGL53D16A662N;

Data pubblicazione: 10/06/2014

- intimato –

Nonché da:
PUGLIESE

ANGELO

C.F.

PGLNGL53D16A662N,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PISA 20, presso
lo studio dell’avvocato RAVA’ GIANFRANCO,

giusta delega in atti e da ultimo domiciliato presso
la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

E.N.P.A.C.L.

ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED

ASSISTENZA PER I CONSULENTI DEL LAVORO C.F
80119170589, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.
MAZZINI 140, presso lo studio degli avvocati VITALE
FORTUNATO, VITALE LUCIA, VITALE TERESA, che lo
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controri corrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4119/2012 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 03/09/2012 r.g.n. 4219/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/04/2014 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMENDOLA;
udito l’Avvocato VITALE FORTUNATO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per

rappresentato e difeso dall’avvocato SIMEONE ORONZO,

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del

ricorso incidentale.

Corte Suprema di Cassazione
Sezione lavoro
Pubblica udienza dell’otto aprile 2014
n. 15 del ruolo – R.G. n. 25983/2012
Presidente Miani Canevari – Relatore Amendola

1.— Con ricorso al giudice del lavoro di Bari, Angelo Pugliese, premesso
di essere titolare di regolare posizione contributiva presso l’Inps come
dipendente, esponeva che nel medesimo periodo aveva versato contributi
anche all’ENPACL, quale consulente del lavoro; aggiungeva che, cessata
l’attività di lavoro dipendente, in data 20 luglio 1992 aveva richiesto la
ricongiunzione presso l’ENPACL del periodo contributivo INPS ai sensi della
1. n. 45 del 1990 nonché la restituzione dei contributi non considerati ai fini
della ricongiunzione, ma senza esito; concludeva per la condanna dell’ente
alla regolarizzazione contributiva nonché alla restituzione della contribuzione
non considerata.
Il Tribunale, preso atto che nel corso del giudizio l’ENPACL aveva
versato al Pugliese una somma pari a lire 73.453.505, superiore sia a quella
quantificata nel ricorso sia a quella determinata da una CTU contabile,
dichiarava cessata la materia del contendere, ma condannava l’ente al
pagamento su detta sorte capitale degli interessi e della rivalutazione dal
19.1.1993 (data della domanda di ricongiunzione) al 15.1.2001 (data in cui
la ricongiunzione si era realizzata).
La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 3 settembre 2012, in
riforma della decisione del primo giudice, ha riformato tale capo di
condanna, rigettando la domanda di accessori avanzata dal Pugliese. Nulla
ha disposto sulla domanda di restituzione delle somme corrisposte
dall’ENPACL in esecuzione della sentenza di primo grado.
2.— Il ricorso dell’ENPACL ha domandato la cassazione della sentenza
per un unico motivo. Ha resistito il Pugliese con controricorso, proponendo
ricorso incidentale per quattro motivi. Ad esso ha resistito anche l’ente con

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

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Sezione lavoro
controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378
c.p.c..

1.— Con l’unico motivo di ricorso principale si denuncia violazione

dell’art. 112 c.p.c. per non aver la sentenza impugnata pronunciato sulla
richiesta di condanna del Pugliese alla restituzione di tutte le somme – pari a
complessivi euro 32.744,07 – percepite in forza della sentenza di primo grado
poi riformata, nonostante detta richiesta fosse contenuta nelle conclusioni
del ricorso in appello.
2.— Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e
falsa applicazione della legge n. 45 del 1990 ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3,
c.p.c., in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che il rimborso dei
contributi è dovuto solo in caso di coincidenza di più periodi relativi ad

attività non effettivamente svolta (quali contributi figurativi, contributi di
riscatto studi universitari) e non nel caso, come nella specie, in cui la
contribuzione coincidente sia riferita ad attività effettivamente svolta.
Con il secondo motivo si lamenta sempre violazione e falsa applicazione
della legge n. 45 del 1990 nonché insufficiente, erronea e contraddittoria
motivazione in ordine alla valutazione della circolare del Ministero del Lavoro
n. 71 del 1991 ritenuta decisiva per il giudizio.
Con il terzo mezzo si denuncia ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5,
c.p.c., violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 509 del 1994 nonché
difetto di motivazione in ordine alla valutazione della delibera ENPACL n. 35
del 2000 in quanto la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che il rimborso
dei contributi era stato effettuato non in ragione del riconoscimento del
fondamento della domanda, bensì in forza di un atto interno dell’Ente,
fondato su di una ragione diversa da quella posta a fondamento dell’atto

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MOTIVI DELLA DECISIONE

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Sezione lavoro
introduttivo del giudizio.
Con l’ultimo motivo si censura l’insufficiente, erronea e contraddittoria
motivazione in ordine alla regolarizzazione della posizione contributiva,
atteso che la Corte avrebbe respinto la pretesa del Pugliese accertando che
1992, versava in una situazione di irregolarità contributiva in relazione agli
anni 1986-1987-1992 e che la completa regolarizzazione della sua posizione
aveva avuto luogo solo nel 2001, essendo i pagamenti effettuati nel 1995 solo
parziali.

3.— Per ragioni di ordine logico delle questioni deve essere esaminato
preliminarmente il ricorso incidentale del Pugliese, che attiene al rigetto della
domanda da questi formulata di pagamento degli accessori maturati sulla
sorte capitale versata dall’ENPACL nel corso del giudizio.
I quattro motivi di gravame, che per la loro connessione possono essere
valutati congiuntamente, risultano infondati.
La Corte di Appello di Bari ha posto a fondamento della pronuncia di
rigetto una triplice ratio decidendi.
Innanzi tutto ha ritenuto che, ai sensi dell’art. 6 della 1. n. 45 del 1990,
l’unica ipotesi di restituzione dei contributi è quella in cui la ricongiunzione
comporti la coincidenza di più periodi relativi ad attività non effettivamente
svolta, mentre nella specie la contribuzione coincidente era riferita ad attività
realmente svolta, per cui non essendo dovuto il rimborso non erano maturati
neanche gli accessori.
In secondo luogo la Corte territoriale ha rilevato che il pagamento in
corso di causa era stato deliberato dall’ENPACL per una ragione diversa da
quella contenuta nel ricorso introduttivo ed invocata dal Pugliese a
fondamento della sua domanda; ne ha ricavato l’erroneità della condanna al
pagamento degli interessi, “posto che non è ravvisabile nel comportamento
dell’Ente alcun ritardo nel versamento delle somme chieste nel ricorso”.

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questi, al momento della presentazione della domanda di ricongiunzione nel

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Infine ha aggiunto “che il Pugliese, al momento della presentazione della
domanda di ricongiunzione nel 1992, versava in una situazione di
irregolarità contributiva, in relazione agli anni 1986-1987-1992 e che la
completa regolarizzazione della sua posizione aveva avuto luogo solo nel
La corte barese ha testualmente concluso: “pertanto, anche per tale
ragione, nessun ritardo nel pagamento era addebitabile all’appellante”.
Con i quattro motivi di ricorso il Pugliese censura la sentenza
impugnata, ma non efficacemente la ragione della decisione da ultimo
descritta.
Con l’ultimo mezzo di gravame, infatti, lamenta ai sensi dell’art. 360, co.
1, n. 5, c.p.c., “insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione in ordine
alla regolarizzazione contributiva”.
Contesta la valutazione della Corte testualmente perché “avrebbe potuto
verificare che l’ENPACL non ha mai contestato un ritardo da parte dell’INPS
nella trasmissione delle somme e non ha mai giustificato il notevolissimo
ritardo con il quale ha proceduto alla ricongiunzione rispetto ai termini
fissati dall’art. 4 della 1. n. 45 del 1990″.
Il ritardo lamentato, tuttavia, non è idoneo a fare venire meno il fatto
della mancata regolarità contributiva nei pagamenti relativi agli anni 19861987-1992, così come ritenuta accertata dai giudici del merito, né il Pugliese
contesta che la mancanza di regolarizzazione impedisse la restituzione dei
contributi.
Poiché l’ultima ratio decidendi espressa dalla Corte distrettuale, non
efficacemente censurata, è di per sé sola idonea a sorreggere la decisione,
anche ove gli altri motivi fossero accolti la sentenza impugnata non potrebbe
essere cassata, per cui il ricorso incidentale deve essere respinto.
Infatti, per costante insegnamento di questa Corte regolatrice, ove una
sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente
idonee a sorreggerla, è necessario – per giungere alla cassazione della

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2001, risultando, i pagamenti effettuati nel 1995, solo parziali”.

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pronunzia – non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica
censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con
l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso della
impugnazione. Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza in toto,

o l’altro sorreggano. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette
ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura
relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perché il motivo di
impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo
inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (tra
le altre: Cass. n. 23931 del 2007; Cass. n. 12372 del 2006; Cass. n. 10420
del 2005; Cass. n. 2274 del 2005; Cass. n. 10134 del 2004; Cass. n. 5493
del 2001).
4.— Deve, invece, essere accolto il ricorso principale con cui l’ente
lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non aver la sentenza impugnata
pronunciato sulla richiesta di condanna del Pugliese alla restituzione di tutte
le somme percepite in forza della sentenza di primo grado poi riformata,
nonostante detta richiesta fosse contenuta nelle conclusioni del ricorso in
appello.
In ordine alla questione che il motivo solleva si rinviene un
orientamento giurisprudenziale il quale, sul presupposto che l’obbligo di
restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di primo
grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello,
sorga per il solo fatto della riforma di quella pronuncia, ancorché la stessa
non contenga alcuna statuizione al riguardo, da un lato, prefigura come
implicita la condanna dell’ accipiens alla restituzione in favore del solvens
degli importi ricevuti; dall’altro, esclude, per ciò stesso, che incorra nel vizio
di omessa pronuncia il giudice di appello il quale, nel riformare
completamente la decisione impugnata, benché richiestone, non disponga la

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o in un suo singolo capo, id est di tutte le ragioni che autonomamente l’una

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condanna alle restituzioni (Cass. n. 8829 del 2007; Cass. n. 15295 del 2006;
Cass. n. 11729 del 2002; Cass. n. 15571 del 2001).
A tale indirizzo se ne contrappone, tuttavia, un altro che afferma l’utilità
delle pretese restitutorie conseguenti alla riforma in appello della sentenza di
esecutivo, specularmente escludendo la sufficienza, ai medesimi fini, della
mera sentenza di riforma. In proposito, fermo che la condanna restitutoria
non può essere eseguita prima del suo passaggio in giudicato, si è avuto
cura di precisare che, ove il giudice di appello ometta di pronunciare sul
punto, la parte potrà o impugnare l’omessa pronunzia con ricorso in
cassazione oppure riproporre la domanda restitutoria in separato giudizio,
senza che ivi, stante la menzionata facoltà di scelta, le sia opponibile il
giudicato derivante dalla mancata impugnazione della sentenza per omessa
pronuncia (Cass. n. 16152 del 2010; Cass. n. 12622 del 2010; Cass. n.
10124 del 2009; Cass. n. 15461 del 2008; Cass. n. 3260 del 1995; Cass. n.
11356 del 2006).
Tra i due esposti orientamenti, il Collegio ritiene di aderire al secondo,
peraltro maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte, per le
motivazioni da ultimo espresse da Cass. n. 2662 del 2013.
Invero supporta tale convincimento la considerazione che il ricorso
all’istituto della condanna implicita, certamente ispirato a encomiabili
esigenze di speditezza e semplificazione, mal si concilia, sul piano letterale e
sistematico, con il disposto dell’art. 474, co. 1, c.p.c., secondo cui
l’esecuzione forzata non può aver luogo che in virtù di un titolo esecutivo,
per un diritto certo, liquido ed esigibile. A ciò aggiungasi che la tesi qui
disattesa appare incompatibile con l’art. 389 c.p.c. che, occupandosi delle
domande di restituzione o di riduzione in pristino conseguenti alla sentenza
di cassazione, contiene una inequivocabile opzione normativa in ordine alla
necessità che al ristabilimento coattivo dello status quo ante tutte le volte in

cui, occorrendo a tal fine la cooperazione della controparte, questa venga a

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primo grado proprio in vista della necessaria precostituzione di un titolo

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mancare – presieda una decisione giudiziale. Infine, la possibilità ‘utilizzare in
chiave di condanna implicita la riforma della sentenza di primo grado,
conseguita in appello, rischia, sul piano pratico, di creare più problemi di
quanti non sia in grado di risolverne nella misura in cui abilita la parte a

espressamente (v. Cass. n. 9287 del 2012).

5. – Conclusivamente, respinto il ricorso principale, va accolto il ricorso
incidentale, la sentenza cassata per il motivo accolto e, non essendo
necessari ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell’art. 384, co. 2, c.p.c.,
Angelo Pugliese va condannato alla restituzione delle somme percepite
dall’ENPACL in forza della sentenza di primo grado.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza liquidate
come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale e, in
relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, condanna Pugliese Angelo alla restituzione delle somme percepite
dall’ENPACL in forza della sentenza di primo grado; condanna il
soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in
euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 100,00 per esborsi, oltre
accessori.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’ tto aprile 2014
Il Presidente

Il Cons gliere estensore

estrapolare un titolo esecutivo da una pronuncia che non lo contiene

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