Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13071 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. II, 14/05/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 14/05/2021), n.13071

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21716-2016 proposto da:

C.M., R.A.M., rappresentati, e difesi

dall’avvocato ROSALBA BASILE, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

T.A., I.A., rappresentato e difeso

dall’avvocato GAETANA LI VIGNI, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1310/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 11/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/10/2020 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

CHE:

I. La complessa vicenda processuale alla base del ricorso può così essere riassunta:

1. Nel 2000 R.A.M. citava in giudizio davanti al Tribunale di Palermo I.V. e T.A., nonché L.M.; l’attrice esponeva di avere acquistato con il marito C.M. un edificio; di avere deciso – per fare fronte all’ingente esposizione debitoria contratta per le opere di completamento dell’edificio e per ovviare a un pignoramento immobiliare – di vendere l’unità immobiliare; di avere per questo nel 1990 conferito, insieme al marito, una procura notarile a vendere a L.M., di avere poi appreso che il mandatario aveva concluso nel 1991 un preliminare di compravendita dell’immobile con T. e che aveva indebitamente trasferito la detenzione dell’immobile alla promissaria acquirente e al marito I.; deduceva quindi che L. aveva ecceduto i limiti del rapporto di mandato, concedendo l’anticipata detenzione dell’immobile e non dando il conto della gestione, rendendosi così inadempiente rispetto al rapporto di mandato e causandole un danno ingente, danno aggravato dai coniugi T. e I., che avevano continuato ad occupare l’immobile sine titulo, senza procedere alla stipula del contratto definitivo; chiedeva pertanto al Tribunale di condannare i tre convenuti, in solido o alternativamente, al risarcimento del danno, stimato in 700 milioni di lire, e di condannare I. e T. al rilascio dell’immobile.

Si costituivano I. e T. che deducevano di avere integralmente adempiuto le obbligazioni derivanti dal preliminare di compravendita stipulato con L. nel 1991, avendo versato a L. Lire 600 milioni al momento della stipula del preliminare, Lire 300 milioni successivamente e di avere estinto il credito vantato dalla Centro Leasing nei confronti dei promettenti venditori per l’importo di 250 milioni e di avere quindi pagato complessivamente 100 milioni in più rispetto al prezzo della compravendita, pattuito in Lire 1.050.000.000, asserivano di avere conseguito legittimamente la detenzione dell’immobile, avendo adempiuto gli obblighi del contratto preliminare; domandata l’autorizzazione a chiamare in causa C., chiedevano il rigetto della domanda risarcitoria dell’attrice e, in via riconvenzionale, la pronunzia di sentenza di trasferimento dell’immobile ai sensi dell’art. 2932 c.c. e la condanna dei promettenti venditori a cancellare le ipoteche iscritte sull’immobile e a pagare i creditori intervenuti nel procedimento esecutivo immobiliare già pendente, nonché a restituire 100 milioni di Lire, somme versata in eccedenza rispetto al prezzo fissato per la compravendita.

Si costituiva C., che aderiva alle domande della moglie R..

2. Nel 2001 T. chiamava in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, L. e i coniugi C. e R., reiterando la domanda di trasferimento coattivo ai sensi dell’art. 2932 c.c. e di condanna dei promettenti venditori alla cancellazione delle ipoteche sull’immobile e al pagamento delle somme dovute ai creditori intervenuti nella procedura esecutiva, nonché alla restituzione della somma di 100 milioni di Lire.

R., costituitasi nel secondo giudizio, chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa L. e faceva istanza di riunione dei due giudizi, chiedendo in via riconvenzionale di accertare la nullità o l’inefficacia del preliminare e dei tre pagamenti indicati dall’attrice con condanna di quest’ultima a pagare l’indennità di occupazione dell’immobile.

Si costituiva C. che aderiva a tutte le domande, istanze e difese di R., oltre a chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio I. e di condannare I. e T. al risarcimento dei danni subiti.

L. rimaneva contumace in entrambi i giudizi che venivano poi riuniti.

3. Con sentenza n. 3813/2009 il Tribunale di Palermo condannava L. a pagare in favore di R. e C. l’importo di lire 600 milioni e condannava I. e T. a rilasciare ai promittenti venditori l’immobile, rigettando tutte le restanti domande proposte dalle parti.

4. Contro la sentenza proponevano appello i coniugi T. e I., resistevano R. e C., rimaneva contumace L..

La Corte d’appello di Palermo – con sentenza 11 settembre 2015, n. 1310 – ha accolto il quarto motivo di gravame, con cui gli appellanti avevano chiesto di dichiarare la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento dei promittenti venditori, con conseguente restituzione dell’intero importo da loro pagato; la Corte ha ritenuto la domanda di risoluzione ammissibile, in quanto basata sugli stessi fatti e presupposti posti a fondamento della domanda di adempimento proposta in primo grado, e fondata (“i promittenti venditori non hanno mai provveduto ad estinguere l’esposizione debitoria e, quindi, non hanno mai ottenuto i consensi alla cancellazione delle formalità indicate nello stesso preliminare, alla clausola 3”, inadempimenti che erano pacifici e incontrovertibili); ha così dichiarato la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare e ha condannato R. e C. a restituire a T. la somma di Euro 323.818,48, oltre – in accoglimento del terzo motivo d’appello – a Euro 140.993, in quanto “il pagamento di tale somma a mani del L., in assenza di allegazione e prova dell’esistenza di altri rapporti, non può che essere imputata al pagamento del prezzo dell’immobile”.

II. R.A.M. e C.M. ricorrono per cassazione avverso la sentenza.

Resistono con controricorso T.A. e I.V..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

I. Il ricorso dei coniugi R. e C. é articolato in tre motivi, tra loro strettamente connessi, volti a censurare la parte della sentenza d’appello che ha ritenuto ammissibile la domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promittenti venditori.

1. Il primo motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c., comma 2 e art. 1362 c.c. e segg. per avere la Corte d’appello ritenuto che l’art. 8 del contratto preliminare di vendita dell’8 febbraio 1991 prevedesse l’inadempimento dedotto dall’appellante come causa di risoluzione”, così violando i canoni di interpretazione di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., canoni che dovevano invece portare il giudice d’appello ad affermare che l’art. 8 prevede una condizione risolutiva, con conseguente inesistenza dell’inadempimento imputabile.

2. Il secondo motivo contesta “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 1453 c.c., comma 2 per avere la Corte ritenuto ammissibile la domanda di risoluzione per inadempimento avanzata in appello in assenza dei presupposti”; contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello la domanda di risoluzione avanzata in appello non era fondata sugli stessi fatti e presupposti posti a fondamento della domanda di adempimento di primo grado: a fondamento della domanda di adempimento é stato posto esclusivamente il mancato trasferimento del diritto di proprietà, mentre “quanto laconicamente rilevato in citazione a p. 6 (“i signori C. R. non hanno adempiuto all’obbligo, espressamente previsto nel preliminare, di cancellare entro la data di stipula del contratto definitivo le ipoteche gravanti sull’immobile”) non é il fatto costitutivo su cui si é fondata la domanda di adempimento, ma é stato allegato al solo fine di evidenziare che le iscrizioni e trascrizioni non ostavano alla proposizione della domanda ex art. 2932 c.c.

3. Il terzo motivo denuncia “omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello deciso l’ammissibilità della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., comma 2 senza considerare che l’art. 8 del preliminare non contempla gli stessi fatti e presupposti posti a fondamento della domanda di inadempimento”: la sentenza impugnata sarebbe ulteriormente viziata, in relazione alla violazione trattata con il precedente motivo, per avere omesso “qualsiasi indicazione della ragione per cui ha ritenuto che la violazione dell’art. 8 del preliminare, costituente l’unica allegazione posta dall’appellante a fondamento della domanda di risoluzione ex art. 1453 c.c., comma 2 avanzata, contemplasse gli stessi fatti e presupposti evidenziati in primo grado a supporto della domanda di adempimento”.

I motivi non possono essere accolti. Il ragionamento dei ricorrenti, a quanto é dato di comprendere, é il seguente:

– la Corte d’appello ha ritenuto ammissibile la domanda di risoluzione per grave inadempimento dei promittenti venditori in quanto basata sugli stessi fatti già posti a fondamento della domanda di adempimento ex art. 2932 c.c.;

– tale identità invece non sussisterebbe, e qui veniamo al primo motivo, anzitutto perché l’art. 8 invocato dagli appellanti quale fonte delle obbligazioni inadempiute di controparte in realtà non prevede l’obbligo dei promittenti venditori di ottenere la cancellazione dei vincoli sull’immobile, ma un evento futuro e incerto (appunto la cancellazione dei vincoli), non dipendente dalla volontà delle parti, una condizione risolutiva quindi il cui avveramento produce effetti a prescindere da ogni indagine sull’imputabilità;

-in ogni caso, e passiamo al secondo motivo, fatto costitutivo della domanda di adempimento era esclusivamente la mancata conclusione del contratto definitivo e la Corte d’appello (terzo motivo) non avrebbe spiegato perché ha ritenuto che i fatti allegati a fondamento della domanda di inadempimento sono i medesimi di quella di adempimento.

Iniziando dal secondo e dal terzo motivo, la Corte d’appello ha rilevato che, nel chiedere l’esecuzione coattiva del preliminare ai sensi dell’art. 2932 c.c., T. ha dedotto quale inadempimento non solo il mancato trasferimento del diritto di proprietà attraverso la stipulazione del contratto definitivo, ma anche il mancato adempimento all'”obbligo espressamente previsto nel preliminare di cancellare entro la data di stipula dell’atto definitivo le ipoteche gravanti sull’immobile” (così la comparsa di risposta di primo grado, pp. 5 e 6, e v. anche il passo trascritto dagli stessi ricorrenti, supra sub 1), mentre la domanda di risoluzione fatta valere in appello é stata basata sulla violazione di quanto previsto dalla clausola 8 del preliminare (la mancata estinzione della posizione debitoria con conseguente mancato ottenimento dei consensi alla cancellazione dei vincoli indicati alla clausola n. 3), che ha comportato l’impossibilità di stipulare il definitivo. Correttamente, pertanto, il giudice d’appello ha concluso che la domanda di risoluzione era rimasta nell’ambito della inadempienza originariamente dedotta, senza introdurre nuovi temi di indagine, ed era perciò ammissibile. Quanto poi al primo motivo, il giudice d’appello ha letto la clausola 8 del contratto (“il presente contratto preliminare é sottoposto alla condizione risolutiva espressa che vengano esibiti, al momento della stipula dell’atto in forma pubblica, i relativi consensi alla cancellazione delle sopra citate formalità”, formalità indicate alla clausola 3), come assunzione da parte dei promittenti venditori dell’obbligo di estinguere la propria posizione debitoria e in questo modo ottenere il consenso alla cancellazione, così che l’espressione usata nel contratto “condizione risolutiva espressa” va piuttosto intesa come clausola risolutiva espressa idonea a determinare la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento dell’obbligazione specificamente determinata. A tale, plausibile, interpretazione i ricorrenti si limitano a prospettarne un’altra meno plausibile, che fa leva sul sostantivo “condizione” utilizzato dalle parti, ma che incontra la difficoltà di qualificare l’ottenimento dei consensi alle cancellazioni quale evento futuro ed incerto, non dipendente dalla volontà delle parti (sui caratteri della condizione risolutiva e le differenze rispetto alla clausola risolutiva espressa v. Cass. 20854/2014 e Cass. 22310/2013). “In tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può – infatti – limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto é riservata” (così Cass. 15471/2017).

II. Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 8.100, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, del comma 1- bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione seconda civile, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA