Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1307 del 20/01/2011

Cassazione civile sez. I, 20/01/2011, (ud. 13/12/2010, dep. 20/01/2011), n.1307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.I. ((OMISSIS)) elettivamente domiciliata

in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto V.G. 81/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

17.10.08, depositato il 31/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO

FUCCI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “1.- La Corte d’appello di Napoli – adita da P.I. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo instaurato dinanzi al TAR Campania il 27.3.1995, definito in primo grado con sentenza del 20.6.2001 e dal Consiglio di Stato il 4.9.2007 – con il decreto impugnato ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare alla ricorrente la somma di Euro 5.200,00 a titolo di danno non patrimoniale nonche’ al rimborso delle spese processuali, compensate per meta’ stante l’esito della lite. La Corte di merito, in particolare, per il ritardo di circa tre anni e due mesi per il primo grado e di un anno e undici mesi in secondo grado, ha quantificato l’indennizzo in Euro 5.200,00 (circa Euro 1.000,00 per anno).

Per la cassazione di tale decreto parte attrice ha proposto ricorso affidato a sette motivi.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

2. – Con i primi cinque motivi di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:

a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. n. 89 del 2001 costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. — specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;

b) non si e’ attenuto ai parametri minimi sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di quantificazione dell’equo indennizzo che non puo’ essere inferiore a Euro 1.000,00 – 1.500,00 per anno;

c) non ha tenuto conto che, una volta accertata la irragionevole durata, deve essere riconosciuto l’equo indennizzo per tutta la durata del processo e non il solo periodo eccedente la ragionevole durata (cioe’ il solo ritardo) – ha liquidato il danno solo per la parte eccedente la durata ragionevole (ritardo) e non gia’ per l’intera durata del processo.

d) non ha tenuto conto del bonus dovuto in ipotesi di cause in materia di lavoro.

Con i restanti motivi parte ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla disposta compensazione delle spese.

3.- Tutti i motivi di ricorso – la’ dove non sono inammissibili per genericita’ e per mancanza di autosufficienza delle censure – appaiono manifestamente infondati.

Infatti, quanto alle censure sub a), b) e c), a piu’ riprese questa Corte ha affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2 espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v. , da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Ne rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, poiche’ il giudice nazionale e’ tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non puo’, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2 007, che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema piu’ vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, “omisso medio”, per tutte le autorita’ interne (Sez. 1, Sentenza n. 14 del 03/01/2008). Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la piu’ recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtu’ degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. Nella concreta fattispecie, dunque, la Corte d’appello si e’ sostanzialmente attenuta ai parametri di liquidazione Cedu, liquidando la somma di circa Euro 1.000,00 per anno di ritardo.

Quanto alla richiesta di “bonus”, va ricordato che ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Sez. 1, n. 6898/2008).

Infine, le censure relative alle spese appaiono inammissibili per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., perche’ i quesiti non contengono alcun riferimento alla fattispecie concreta idoneo a far ritenere violato o falsamente applicato l’art. 92 c.p.c. ovvero a far ritenere incongrua la motivazione fondata sull’esito della lite (la ricorrente chiedeva Euro 11.000,00).

Il ricorso, dunque, puo’ essere deciso in camera di consiglio”.

2.- Il Collegio condivide le conclusioni della relazione e le argomentazioni sulle quali esse si fondano e che conducono al rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimita’ – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare all’Amministrazione resistente le spese processuali che liquida in complessivi Euro 565,00 oltre le spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011

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