Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13067 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 30/06/2020, (ud. 11/04/2019, dep. 30/06/2020), n.13067

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Z.G., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

stesa su atto separato allegato al ricorso, dall’Avv. Bruno Barbato

Mastrandrea del Foro di Bologna, il quale ha indicato recapito PEC,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Paola

Moreschini, al viale Liegi n. 44 in Roma;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;

– intimata –

Avverso l’ordinanza n. 9432, pronunciata dalla Suprema Corte di

Cassazione, sezione VI-V, il 09.03.2017 e pubblicata il 12.04.2017,

di cui domanda la revocazione;

ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal

Consigliere Dott. Di Marzio Paolo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Z.G. presentava istanza di definizione automatica mediante condono delle proprie pendenze tributarie, ai sensi della L. n. 289 del 2001, art. 9, in relazione ai periodi d’imposta pregressi, dall’anno 1997 sino al 2002.

A tal fine, provvedeva alla compilazione dei campi relativi a tutti i periodi d’imposta. In relazione al Quadro C, “definizione automatica per gli anni pregressi”, ometteva però di includere nell’istanza l’imposta sostitutiva relativa all’anno 2000.

In data 16.12.2004 veniva notificato allo Z. processo verbale di constatazione, redatto all’esito di verifica fiscale generale, conclusa dai militari della Guardia di Finanza, Nucleo Regionale di Polizia Tributaria dell’Emilia Romagna, con Pvc del 01.12.2004, redatto nei confronti della società, produttrice a livello mondiale di macchinette per il caffè, Saeco International Group Spa. Lo Z., resosi conto di aver omesso di richiedere il condono per l’imposta sostitutiva in relazione all’anno 2000, presentava allora istanza integrativa, corrispondendo sia l’importo dovuto per l’anno oggetto di condono, sia le relative sopratasse ed interessi. Tali somme venivano trattenute dall’Agenzia delle Entrate.

L’Ufficio riteneva quindi non accoglibile la dichiarazione integrativa e rigettava pertanto l’istanza di condono. Il contribuente instaurava il contenzioso in merito alla legittimità del diniego opposto dall’Agenzia.

Sulla base di quanto emerso dal Pvc, l’Ente impositore, avvalendosi della proroga biennale dei termini per l’accertamento prevista dalla L. n. 289 del 2000, art. 10, in data 12.12.2007 notificava al verificato Zaccar-di l’Avviso di accertamento n. (OMISSIS) per l’anno d’imposta 2000, mediante il quale accertava un maggior reddito imponibile. Il contribuente impugnava l’atto impositivo, con il quale gli veniva contestata l’omessa dichiarazione di una serie di plusvalenze conseguite per interposta persona, nell’anno 2000, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, attraverso tre società portoghesi con sede a Madeira, domandandone l’annullamento.

Dinanzi al giudice di primo grado lo Z. rinnovava le proprie tesi circa la legittimità della richiesta di condono considerato che, contrariamente a quanto argomentato dall’Agenzia, era incorso in un mero errore materiale nell’invio telematico e successivamente, nel 2005, aveva presentato richiesta integrativa di sanatoria, manifestando “una volontà ulteriore ed inequivocabile rafforzativa” della domanda primaria di condono, richiesta integrativa con la quale si segnalava l’errore e si chiedeva la riliquidazione della maggiore somma dovuta. Rilevava inoltre, in via principale, la decadenza della potestà di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria, stante l’intervenuta presentazione dell’istanza di definizione automatica.

La CTP di Bologna riteneva fondata tale eccezione preliminare e, respingendo l’istanza di rinvio in attesa della decisione della Corte di Cassazione concernente l’impugnativa avverso il rigetto della domanda di condono, accoglieva, incidenter tantum, il ricorso del contribuente sul presupposto che “è bensì vero, come eccepito dall’Agenzia, che la mancata ri-comprensione nella domanda di condono di un periodo d’imposta produceva l’invalidità della dichiarazione stessa, ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, non si trattava della mancanza di un anno fra quelli da condonare, ma della semplice svista, nel calcolare il quantum dovuto. E tale opinione trae conforto anche dalla circostanza che il ricorrente abbia spontaneamente provveduto a rettificare l’originaria dichiarazione integrativa, pagando il dovuto con relativi gravami, emendando così l’originario errore commesso” (sent. CTP p. 3).

Avverso la sentenza di primo grado, l’Ufficio interponeva appello, reiterando le argomentazioni processuali e di merito già proposte, e contestando la mancata sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., del procedimento.

L’appellato, costituitosi nell’incardinato giudizio, riproponeva anche l’eccezione preliminare di decadenza dell’Amministrazione finanziaria, in relazione al profilo dell’inapplicabilità della proroga biennale dei termini per l’accertamento tributario, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10, nei confronti dei contribuenti che non si fossero avvalsi delle disposizioni della stessa L. n. 289 del 2002, artt. da 7 a 9.

Il Collegio di secondo grado, attesa la possibile pregiudizialità della questione, sospendeva il giudizio sino alla definitiva pronuncia della Cassazione sulla legittimità del denegato condono. La Corte, con sentenza n. 10757 del 2014 rigettava il ricorso del contribuente, ritenendo che l’omessa indicazione dell’imposta sostitutiva per l’anno 2000 comportasse la nullità dell’istanza di condono.

La CTR, tuttavia, confermava la sentenza di primo grado ed affermava il diritto del contribuente di avvalersi del condono. L’adito giudice dell’appello, nonostante la pronuncia della Suprema Corte, riteneva che una interpretazione della L. n. 289 del 2002, art. 10 come norma che riguarderebbe non solo i contribuenti i quali non abbiano presentato istanza di condono, ma anche coloro che abbiano presentato tale domanda la quale sia stata poi rigettata, non potesse trovare accoglimento, in quanto i dati, sia letterali che sistematici, della norma indicata indurrebbero a reputare sufficiente, al fine di escludere la proroga biennale del potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, la presentazione dell’istanza di condono, a prescindere dal suo accoglimento o diniego.

L’Amministrazione finanziaria ricorreva, quindi, per cassazione sostenendo, con un unico motivo di ricorso, la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 10, sul fondamento della ritenuta equiparazione del contribuente che avesse commesso un errore materiale nella richiesta di condono, a quello che non avesse mai presentato tale istanza. In sostanza, secondo l’Ente impositore, lo Za canti era decaduto dalla possibilità di beneficiare del condono, non avendolo domandato in relazione all’anno 2000 per quanto atteneva all’imposta sostitutiva, sebbene avesse presentato l’istanza di condono e, allegando di essere incorso in un errore materiale, avesse proposto anni dopo una dichiarazione integrativa.

La Corte di Cassazione accoglieva, con ord. n. 9432 del 2017, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rinviando per nuovo esame ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna.

Avverso la decisione della Corte di Cassazione ha proposto ricorso per revocazione Z.G., affidandosi ad un unico, articolato, motivo di impugnazione. L’Agenzia delle Entrate non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Occorre innanzitutto esaminare la questione pregiudiziale proposta dal contribuente, che afferma la nullità insanabile del giudizio di cassazione in relazione al quale l’istanza di revocazione è stata proposta, per omessa notifica dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità. Sostiene l’impugnante non essergli mai stato notificato “alcun atto introduttivo del giudizio di legittimità, nè il ricorso poteva essere notificato ad altri, perchè non ha mai nominato altro procuratore per la fase di legittimità” (ric. p. 4).

Il ricorrente censura quindi la Suprema Corte per non aver verificato la regolarità del contraddittorio e, conseguentemente, per non aver rilevato che il ricorso per cassazione, in cui non si era costituito, non era stato notificato alla “parte contribuente signor Z.G.”. Sostiene l’impugnante che unicamente a lui avrebbe potuto “essere destinata la notifica del ricorso per cassazione, perchè se caso mai fosse stato notificato il ricorso al patrocinante P.P., la notifica sarebbe affetta da nullità insanabile, perchè la sola notifica al patrocinante, non abilitato al patrocinio avanti le magistrature superiori, è nulla e la nullità insanabile travolge l’intero processo di cassazione” (ric. p. 17) e tutti gli atti successivi e conseguenziali. Non avendo ricevuto alcuna notifica dell’atto d’impugnazione, al contribuente sarebbe stata preclusa la possibilità di difendersi, resistere e sostenere le proprie ragioni.

L’eccezione si appalesa infondata, e presenta pure profili di inammissibilità, perchè non evidenzia un errore di fatto commesso dal giudice di legittimità, ma deduce censure in termini di diritto, non ammesse ai sensi delle previsioni di cui all’art. 391 bis c.p.c.

In particolare non ricorre la fattispecie della mancata notificazione del ricorso per cassazione di cui il Collegio giudicante non si sia avveduto per errore percettivo, atteso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione deve essere confinata ai casi di totale mancanza materiale dell’atto, ovvero ai “casi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”, Sez. U sent. n. 14916 del 20.7.2016. Nel caso in esame lo stesso ricorrente afferma che la notificazione del ricorso per cassazione è stata erroneamente effettuata presso il patrocinante P.P., non abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori. Ciò che viene prospettato, quindi, non è un errore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, bensì un presunto errore di giudizio, in quanto tale privo di valenza revocatoria (in senso conforme, sulla indeducibilità come errore revocatorio della nullità della notificazione del ricorso per cassazione, trattandosi non di errata percezione dell’esistenza o inesistenza di un fatto immediatamente emergente dagli atti, quanto di omessa valutazione delle risultanze processuali, Sez. sent. n. 25654 del 15.11.2013).

Trattandosi nella specie del rito tributario, deve anche tenersi conto del disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, il quale, dopo aver stabilito, al comma 1, che le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio, prevede, al comma 2, che l’indicazione della residenza o della sede e l’elezione del domicilio hanno effetto anche per i successivi gradi del processo.

La previsione di ultrattività dell’elezione di domicilio si riflette sull’individuazione del luogo di notificazione del ricorso per cassazione. Argomentando ai sensi del combinato disposto dell’art. 330 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, la Suprema Corte ha invero chiarito che: “in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330 c.p.c., comma 1, seconda ipotesi, ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione”, Cass. sez. U, ord. 20.07.2016, n. 14916.

Nel caso di specie, risulta pacifico che il contribuente si sia costituito in entrambi i gradi di merito, che sia stato in giudizio a mezzo del procuratore P.G., presso cui aveva eletto domicilio, e che la procura ad litem conferita per il primo grado non sia stata poi modificata in sede d’appello, con nomina di nuovo difensore ed elezione di altro domicilio (ved. sent. CTP e CTR, p. 1). Da ciò consegue a maggior ragione, in applicazione del principio suesposto, la ritualità della stessa notificazione del ricorso per cassazione effettuata presso il domicilio eletto in sede di ricorso originario, proposto innanzi al giudice di primo grado, e non modificato ai fini del successivo secondo grado del giudizio.

Il contribuente contesta pure l’inidoneità del patrocinante, presso il quale è stato notificato il ricorso per cassazione, a ricevere l’atto, perchè non abilitato al patrocinio innanzi alle magistrature superiori. Il motivo risulta inammissibile, poichè non deduce alcun errore di fatto di portata revocatoria, ma introduce una censura di diritto. Il motivo, peraltro, risulta pure infondato, perchè la sussistenza di una valida procura speciale conferita – in epoca anteriore alla notificazione del ricorso, e rilasciata in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza oggetto dell’impugnazione (essendo, invece, irrilevante che la procura sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso e che non sia stata indicata la data del suo rilascio, non essendo tale requisito previsto a pena di nullità) – in favore di un procuratore iscritto nell’apposito albo ed abilitato ad assumere la difesa, risulta essenziale nell’ipotesi in cui la parte rimasta soccombente nel grado di merito intenda impugnare la pronuncia sfavorevole e proporre ricorso per cassazione, e risulti dunque funzionale ad investire il difensore designato, espressamente, del potere di proporre tale gravame e, quindi, ai fini dell’ammissibilità dello stesso (ex multis, cfr. anche Cass. sez. V, sent. 26.02.2019, n. 5577; Cass. sez. II, sent. 17.03.2017, n. 7014). Nella fattispecie in esame, però, il contribuente non è il soggetto attivo che ha proposto il gravame, bensì il soggetto passivo, pertanto il destinatario dell’atto di impugnazione. Alla ricezione del ricorso per cassazione proposto dalla controparte è legittimato il difensore del grado di appello presso cui il contribuente ha eletto domicilio. Nel caso che ci occupa, nella relata di notifica, peraltro allegata al ricorso RG n. 2752/2016 proposto dall’Agenzia delle Entrate, è possibile leggere che “l’Avvocatura generale dello Stato… ha notificato l’antescritto RICORSO a: Z.G. rappresentato e difeso dal rag. P.G., ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in (OMISSIS)” (ric. per cass. p. 13). Copia conforme all’originale è stata spedita dall’Avv. Spina Minutillo Turtur Maria Luisa, a mezzo ufficio postale con raccomandata a. r. n. (OMISSIS), in data 15.01.2016, mentre l’avviso di ricevimento si l’avviso ricava che l’atto è stato consegnato nelle mani dell’impiegata G.M..

La produzione dell’avviso di ricevimento del piego raccomandato contenente la copia del ricorso per cassazione, spedita per la notificazione a mezzo del servizio postale, ai sensi dell’art. 149 c.p.c., e regolarmente recapitato presso il domiciliatario, prova l’avvenuto perfezionamento del procedimento notificatorio e, dunque, l’avvenuta instaurazione del contraddittorio. Da ciò discende che nessuna lesione al diritto di difesa del ricorrente è stata arrecata.

Alla luce di quanto precedentemente argomentato, l’eccezione di nullità risulta infondata e deve essere, pertanto, respinta.

1.1. – Il contribuente contesta quindi, mediante il suo motivo di revocazione, proposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa, per avere l’impugnata Corte di Cassazione “ignorato i documenti di causa dai quali risulta con netta evidenza che il contribuente abbia, non solo fatto richiesta di condono ‘tombalè, ma (essendo incorso in errore materiale, perchè ometteva l’imposta sostitutiva relativa all’anno 2000) presentato anche dichiarazione di integrazione, auto-liquidandosi la relativa imposta, secondo i parametri di legge, versandone il relativo corrispettivo, sia per la richiesta di condono, sia per l’integrazione” (ric. p. 7). Lamenta, pertanto, la illegittimità dell’applicazione della proroga biennale, della L. n. 289 del 2002, ex art. 10, cui avrebbe fatto “ingiustamente ricorso” (ric. p. 4) l’Agenzia delle Entrate, nonostante il contribuente avesse presentato istanza di condono.

2.1. – Il motivo consiste in una palese censura di diritto con la quale, fuoriuscendo del tutto dall’ambito di applicazione dell’istituto della revocazione alle sentenze della Corte di Cassazione, il ricorrente chiede inammissibilmente a questo Collegio di ritenere l’inapplicabilità della proroga biennale prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 10, pronunciandosi in senso opposto a quanto statuito, in punto di diritto, da questa Corte nella ordinanza di cui si chiede la revocazione.

Il motivo di ricorso per revocazione deve, pertanto, giudicarsi inammissibile.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione proposto da Z.G., e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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