Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13062 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 13062 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: VENUTI PIETRO

SENTENZA

sul ricorso 15952-2009 proposto da:
MINISTRO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia ope legis, in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –

2014
contro

765

SEMOLA VINCENZA C.F. SMLVCN45H41F892K;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 10/06/2014

SEMOLA VINCENZA C.F. SMLVCN45H41F892K, domiciliata in
ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli
avvocati BENNARDO CHIARA DIARfn, BENNARDO FILIPPO,
MARCO BENNARDO, giusta delega in atti;

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA C.F. 8018440587;
– intimato –

avverso la sentenza n. 228/2009 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 08/04/2009 R.G.N.
255/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/03/2014 dal Consigliere Dott. PIETRO
VENUTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso
principale, assorbito il ricorso incidentale.

– controri corrente e ricorrente incidentale –

R.G. n. 15952/09
Ud. 4.3.2014

Il Tribunale di Caltanissetta, in parziale accoglimento della
nr…cp
iM/
domanda proposta da Semola
dipendente del Ministero
della Giustizia con la qualifica di direttore di cancelleria (ex nona
qualifica funzionale) – la quale, assumendo di avere svolto le
mansioni di dirigente della cancelleria della Corte d’appello di
Caltanissetta, aveva chiesto la condanna del Ministero al
pagamento delle differenze retributive per le superiori mansioni
svolte -, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione per le
pretese anteriori al 10 luglio 1998; accoglieva la domanda per il
periodo successivo (1 luglio 1998 – 17 ottobre 2000) e
condannava il Ministero al pagamento delle relative differenze
retributive, con esclusione dell’indennità di posizione e di
risultato.
Su impugnazione della dipendente, la Corte d’appello di
Caltanissetta confermava la statuizione relativa al difetto di
giurisdizione, riconosceva alla dipendente il diritto alla
corresponsione dell’indennità di posizione e di risultato per il
periodo successivo al 1° luglio 1998, con gli interessi legali e la
rivalutazione monetaria su tutte le somme, e confermava nel
resto l’impugnata sentenza.
Contro questa decisione proponevano ricorso principale il
Ministero ed incidentale la dipendente, quest’ultimo avente ad
oggetto anche la questione di giurisdizione relativa al periodo
anteriore al 10 luglio 1998.
La causa, rimessa al Primo Presidente, ex art. 374 cod.
proc. civ., per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per la
decisione della questione attinente alla giurisdizione, è stata

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

restituita a questa Sezione, essendosi al riguardo le Sezioni unite
già pronunziate.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I ricorsi devono essere riuniti ex art. 335 cod. proc. civ.,
in quanto proposti avverso la stessa sentenza.
2. Il ricorso principale è articolato in tre motivi, quello
incidentale in due motivi. A tutti i motivi fa seguito il relativo
quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., non più in vigore,
ma applicabile ratione temporis,
3. Con il primo motivo del ricorso principale, il Ministero,
denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 24 D. Lgs.
n. 165/01, 35, 37 e 38 CCNL 5 aprile 2001 Comparto Ministeri,
deduce che erroneamente la Corte di merito ha riconosciuto alla
dipendente la retribuzione di posizione, parte fissa e variabile,
nonché quella di risultato. La prima non era dovuta, non
essendo stato attribuito alla dipendente un incarico formale di
dirigente dell’ufficio, connotato da precise responsabilità che
andassero al di là dell’ordinaria reggenza della cancelleria. La
seconda presuppone il raggiungimento di specifici obiettivi ed è
subordinata alla valutazione dei risultati raggiunti, verifica
questa non effettuata nella specie.
4.

Con il secondo motivo il ricorrente principale,

denunziando violazione dell’art. 2697 cod. civ., rileva che,
diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata,
l’onere della prova circa il raggiungimento dei risultati
incombeva alla dipendente. Inoltre, aggiunge, nel riconoscere
alla dipendente l’indennità di posizione, parte fissa e variabile, la
Corte non ha considerato che quest’ultima è collegata a
particolari responsabilità e posizioni di lavoro, al di là della
ordinaria gestione dei servizi di cancelleria.
5.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, nel

denunziare violazione dell’art. 22, comma 36, della legge n.
724/94, deduce che il giudice d’appello ha erroneamente
affermato che sulle somme dovute alla dipendente sono dovuti

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gli interessi legali e la rivalutazione, cumulo viceversa escluso
dalla Corte Costituzionale per i pubblici dipendenti con la
sentenza n. 459 del 2000.
6. Con il primo motivo del ricorso incidentale è denunziata
violazione e falsa applicazione degli artt. 82 e segg., 417 cod.
proc. civ. e del “D.P.R. 6.3.2001 n. 55”.

parzialmente il gravame proposto dalla dipendente, ha ritenuto
erroneamente assorbito il motivo di appello proposto dalla
medesima, con il quale era stata dedotta la nullità della memoria
di costituzione del Ministero nel giudizio di primo grado, con
conseguente decadenza da tutte le eccezioni proposte, per essersi
l’Amministrazione avvalsa, per la difesa, di propri dipendenti a
seguito di incarico sottoscritto dal Vice Capo Dipartimento,
anziché dal Capo Dipartimento ai sensi del D.P.R. n. 55/01, art.
5, comma 4.
7. Con il secondo motivo, denunziando violazione e falsa
applicazione degli artt. 2, comma 2, e 69 D. Lgs. n. 165/01, la
ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata nella parte
in cui ha dichiarato il difetto di giurisdizione in relazione alle
pretese anteriori al 1° luglio 1998. Richiama la giurisprudenza di
questa Corte in materia, rilevando che la mancata
corresponsione

del

trattamento

economico

dovuto

dall’Amministrazione al dipendente in conseguenza delle
superiori mansioni svolte, integra un comportamento illecito
permanente, che va valutato nel complesso, senza frazionamenti,
sia per il principio di economia dei giudizi che per evitare
eventuali giudicati contraddittori.
8. L’esame del ricorso incidentale, sotto il profilo logicogiuridico, deve precedere quello del ricorso principale.
9. Il primo motivo è inammissibile.
In violazione del principio di autosufficienza la ricorrente
incidentale non trascrive, infatti, il contenuto dello “incarico in
atti”, con il quale il Vice Capo Dipartimento ha asseritamente

Si deduce che la Corte di merito, nell’accogliere

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delegato, ex art. 417 bis cod. proc. civ., ad assumere la difesa
dell’Amministrazione nel giudizio di primo grado i dipendenti
della stessa né, tanto meno, indica la sede processuale in cui
tale documento è prodotto, omissioni queste che non consentono
a questa Corte la verifica della censura.
10. Il secondo motivo del ricorso incidentale è fondato.
affermato, superando il diverso, precedente orientamento, che, in
tema di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 69,
comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, interpretato secondo i
principi di concentrazione ed effettività della tutela
giurisdizionale, quando il lavoratore deduce un inadempimento
unitario dell’amministrazione in ordine all’attribuzione del
trattamento economico corrispondente ad una determinata
qualifica o posizione professionale, la protrazione della fattispecie
oltre il discrimine temporale del 30 giugno 1998 radica la
giurisdizione presso il giudice ordinario anche per il periodo
anteriore a tale data, non essendo ammissibile che sul medesimo
rapporto abbiano a pronunciarsi due giudici diversi, con
possibilità di differenti risposte ad una stessa istanza di giustizia
(Cass. Sez. Un. 29 maggio 2012 n. 8520; Cass. Sez. Un. 1 marzo
2012 n. 3183; Cass. Sez. Un. 23 novembre 2012 n. 20726).
Sul punto la sentenza impugnata, che ha affermato la
giurisdizione del giudice amministrativo per le pretese anteriori
al l° luglio 1998, deve esse cassata con rinvio al giudice
d’appello.
Al riguardo va precisato che nelle controversie del pubblico
impiego contrattualizzato, qualora il giudice ordinario di primo
grado, pur investito di una domanda sostanzialmente unitaria,
rispetto alla quale non rileva dunque il discrimine temporale ex
art. 69, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, abbia declinato la
propria giurisdizione sulla parte di domanda relativa al periodo
anteriore al 30 giugno 1998 e abbia deciso nel merito la parte
relativa al periodo successivo, non ricorre il presupposto di

Questa Corte, con recenti pronunzie, ha costantemente

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applicazione dell’art. 353 cod. proc. civ., in quanto i giudici di
primo e secondo grado hanno conosciuto anche nel merito della
domanda, con sostanziale effetto sul periodo anteriore; ne
consegue che, ove il giudice di secondo grado abbia confermato
la sentenza di primo grado e, viceversa, in sede di legittimità sia
dichiarata la giurisdizione ordinaria sull’intera domanda, giudice
anteriore al 30 giugno 1998, è il giudice di appello (Cass. Sez.
Un. 19 aprile 2012 n. 6102).
11. I primi due motivi del ricorso principale vanno trattati
congiuntamente in ragione della loro connessione.
Deve premettersi che, in tema di lavoro pubblico
contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio
sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno
incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle
mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di
risultato, atteso che l’attribuzione delle mansioni dirigenziali, con
pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilità inerenti al
perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto
assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al
principio di adeguatezza sancito dall’art. 36 Cost., la
corresponsione dell’intero trattamento economico, ivi compresi
gli emolumenti accessori (cfr. Cass. Sez. Un. 16 febbraio 2011 n.
3814, in controversia analoga alla presente, nonché, tra le altre,
Cass. 6 giugno 2011 n. 12193; Cass. 28 marzo 2013 n. 7823).
Ciò posto, sono fondati i motivi in esame con riguardo alle
censure relative alla retribuzione di risultato, mentre non lo sono
per quanto attiene alla retribuzione di posizione, parte fissa e
variabile.
La Corte di merito ha preso in esame il periodo successivo
al 30 giugno 1998 (fino al 17 ottobre 2000), avendo dichiarato il
difetto di giurisdizione per le pretese anteriori. In relazione a tale
periodo, è applicabile il CCNL 5 aprile 2001 per il personale
dirigenziale del Comparto ministeri (periodo gennaio 1998 – 31

di rinvio, anche per la cognizione della parte relativa al periodo

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dicembre 2001 per la parte normativa e 1 gennaio 1998 – 31
dicembre 1999 per la parte economica).
A norma dell’art. 44, comma 3, di detto contratto, la
retribuzione di risultato può essere erogata solo a seguito di
preventiva, tempestiva determinazione degli obiettivi annuali, nel
rispetto dei principi di cui all’art. 14, comma 1, del D. Lgs. n.
gestione conseguiti in coerenza con detti obiettivi, secondo le
risultanze della valutazione dei sistemi di cui all’art. 35.
In sostanza la retribuzione in questione è correlata
all’effettivo raggiungimento, anche sotto il profilo qualitativo, da
parte del dirigente, degli obiettivi preventivamente determinati.
E’ quindi da escludere che, nella specie, la dipendente,
diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata,
abbia diritto alla retribuzione di risultato per il solo fatto di avere
svolto funzioni dirigenziali (cfr., in questi termini, Cass. 12
ottobre 2011 n. 20976), e per essere stata essa corrisposta “in
misura eguale per tutti”.
Parimenti, è da escludere che la prova del mancato
raggiungimento degli obiettivi sia a carico dell’Amministrazione.
A prescindere infatti dalla possibilità, o meno, della materiale
dimostrazione di un fatto non avvenuto, è sufficiente richiamare,
nella specie, il generale principio posto dall’art. 2697 cod. civ. in
tema di onere della prova, secondo cui chi vuol far valere un
diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il
fondamento.
La sentenza impugnata, con riguardo all’accoglimento della
domanda in esame, deve quindi essere cassata, con rinvio al
giudice del riesame.
11.1. E’ invece infondata, sempre con riguardo al periodo
successivo al 30 giugno 1998, la censura del Ministero relativa al
riconoscimento, a favore della ricorrente, della retribuzione di
posizione, sia nella parte fissa che nella parte variabile.

29/93, e della positiva verifica e certificazione dei risultati di

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Tale retribuzione è una componente del trattamento
economico dei dirigenti, correlata alle funzioni loro attribuite e
alle connesse responsabilità. Essa presuppone l’effettivo esercizio
delle funzioni ed è collegata al livello di responsabilità
conseguente alla natura dell’incarico, all’impegno richiesto, al
grado di rilevanza, alla collocazione istituzionale dell’ufficio.

art. 36, la retribuzione di posizione era originariamente limitata
alla sola parte fissa (cfr. art. 33: Struttura della distruzione). Con
il successivo CCNL del 5 aprile 2001 venne prevista anche una
parte variabile (cfr. art. 37, comma 2, n. 5), la quale venne
inclusa nel trattamento economico complessivo spettante al
dirigente, remunerando, insieme con le altre voci, tutte le
funzioni, i compiti e gli incarichi attribuiti agli stessi (cfr. terzo
comma dello stesso articolo).
Non è previsto da alcuna disposizione contrattuale che la
parte variabile possa essere scissa da quella fissa o che possa
esserne omessa la corresponsione, posto che essa fa parte della
“struttura” della retribuzione e quindi è ad essa connessa, con il
solo limite, posto all’autonomia delle parti, del rispetto delle
risorse disponibili e dei vincoli di finanza pubblica stabiliti
dall’Amministrazione nella graduazione delle funzioni e
responsabilità dirigenziali e nell’attribuzione del valore
economico a tali incarichi.
12. Fondato è infine il terzo motivo del ricorso proposto del
Ministero.
L’art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724,
ha esteso ai crediti di lavoro la medesima regola della non
cumulabilità di rivalutazione ed interessi già prevista per i crediti
previdenziali dall’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1191
n. 412, riconoscendo al lavoratore la maggior somma tra
l’ammontare degli interessi e quello della rivalutazione
monetaria.

Istituita dal CCNL Comparto Ministeri del 9 gennaio 1997,

8

Con sentenza n. 459 del 2000 la Corte Costituzionale ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 22, comma 36,
sopra citato, laddove estende ai dipendenti privati il divieto di
cumulo di interessi e rivalutazione, ritenendolo viceversa
legittimo con riferimento ai dipendenti pubblici, pronuncia
questa la cui ratio decidendi va identificata, come affermato da
(cfr., in questi termini, Cass. 3 agosto 2005 n. 16284; Cass. 25
febbraio 2011 n. 4652; Cass. 10 gennaio 2013 n. 535).
Alla stregua di tale pronuncia, non può operare nella specie
il cumulo di interessi e rivalutazione, onde anche sul punto la
sentenza impugnata – che ha riconosciuto con riguardo ai crediti
della dipendente successivi al 30 giugno 1998 il cumulo – deve
essere cassata.
13. In conclusione vanno accolti, limitatamente alle censure
relative alla retribuzione di risultato, i primi due motivi del
ricorso principale, mentre vanno rigettate le censure relative alla
retribuzione di posizione. Vanno altresì accolti il terzo motivo del
ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale,
mentre va rigettato il primo motivo di tale ultimo ricorso.
In relazione alle censure accolte la causa va rinviata al
giudice indicato in dispositivo che, nell’adeguarsi ai principi
sopra enunciati, provvederà anche sulle spese del presente
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; accoglie parzialmente i primi due
motivi del ricorso principale nonché il terzo motivo dello stesso
ricorso. Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale e
rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle
censure accolte e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello
di Palermo.
Così deciso in Roma il 4 marzo 2014.

questa Corte, in ragioni di contenimento della spesa pubblica

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