Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13061 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/05/2017, (ud. 27/04/2017, dep.24/05/2017),  n. 13061

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25089-2012 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VINCENZO

AMBROSIO 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BELLOMI, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 180/2012 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata l’08/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

Fatto

RILEVATO

che G.R. propose ricorso avverso distinti avvisi di accertamento “in rettifica” dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), relativi agli anni d’imposta 2002, 2003 e 2004, concernenti un immobile sito in (OMISSIS), assumendo di non essere mai stato proprietario, nè possessore, del bene in questione e, comunque, deducendo l’intervenuta prescrizione del tributo relativamente alle due annualità più risalenti, il Comune di Roma resistette, l’adita CTR respinse il ricorso e, in sede di appello, la decisione di primo grado venne confermata dalla CTR del Lazio, con sentenza n. 180/38/12, depositata l’8/5/2012;

che avverso la sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati con memoria, mentre l’intimata Roma Capitale, già Comune di Roma, non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

con il primo motivo di ricorso il contribuente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 1 e 3, art. 2643 c.c., comma 1, nn. 1, 2, 4 e 8, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR non ha interpretato in maniera restrittiva la nozione di possesso, qualificato dalla titolarità della proprietà o di altro diritto reale, l’unica rilevante ai fini della imposizione ed ha inammissibilmente posto a carico del contribuente l’onere di fornire la prova negativa al riguardo, pur essendosi l’ente impositore limitato ad esibire la visura catastale del cespite oggetto dell’avviso di accertamento, documento di per sè privo di efficacia probatoria;

che con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR non ha considerato la posizione di attore in senso sostanziale dell’allora Comune di Roma, trattandosi di avviso di accertamento “in rettifica”, non spettando al contribuente di provare alcunchè riguardo al possesso dell’immobile;

con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2643 c.c. e L. n. 3682 del 1886, art. 1, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR si riporta per relationem alle argomentazioni svolte nella sentenza di primo grado in merito alla efficacia probatoria delle visure catastali prodotte da controparte, aventi viceversa valore meramente indiziario, e non ha considerato invece l’unico mezzo idoneo a provare la titolarità dell’immobile in capo al contribuente, rappresentato dalle risultanze dei registri immobiliari pure acquisite agli atti di causa;

con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie), omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacchè la CTR ha dato rilievo alla mancata dimostrazione del “non possesso” dell’immobile, senza considerare che si tratta di circostanza non documentabile mediante una certificazione, ma semmai desumibile dall’esame degli elementi probatori acquisiti nel giudizio;

che i suesposti motivi di doglianza sono infondati e non meritano accoglimento;

che, ad avviso del ricorrente, la mera intestazione catastale dell’immobile di per sè non attesta nè la proprietà, nè il godimento di altro diritto reale, e non giustifica la soggezione ad imposta del bene oggetto degli avvisi di accertamento impugnati;

che, invero, il D.Lgs. n. 504 del 1992, all’art. 1, comma 2, prevede, quale presupposto dell’imposta in esame, “il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli”, all’art. 3, nell’elencare i soggetti passivi dell’ICI, fa riferimento “al proprietario degli immobili indicati nel comma 2 “della norma sopra indicata ed, inoltre, all’art. 5, fa espresso riferimento ai fabbricati iscritti in catasto, ove rilevano i soli titolari di diritti reali;

che questa Corte ha avuto modo di affermare che “pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti – essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi. Tuttavia l’intestazione di un immobile ad un determinato soggetto fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tali risultanze” (Cass. n. 14420/2010) ponendo a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria; che, dunque, la normativa ICI collega la titolarità passiva dell’imposta direttamente al proprietario, o ai titolari di altri diritti reali, e su costoro, quindi, grava l’onere della prova diretta all’esenzione dal pagamento dell’imposta e cioè la carenza del possesso che ne costituisce la condizione di fatto;

che, pertanto, una volta rilevata dalle risultanze catastali la titolarità dell’immobile in capo ad un soggetto, il Comune può legittimamente chiedere ad esso il pagamento dell’imposta, ove il contribuente non vinca il valore indiziario dei dati contenuti nei registri catastali, dando adeguata dimostrazione di quanto diversamente sostenuto al riguardo;

che, ad avviso della CTR, il G. non ha offerto la prova contraria circa la titolarità del diritto di proprietà del cespite, o di altro diritto reale, dimostrazione imposta dalla circostanza che il medesimo risultava intestatario dell’immobile oggetto di imposizione;

che, dunque, la decisione del giudice di appello si basa sulla complessiva valutazione del materiale probatorio – peraltro conforme a quella del giudice di prime cure sicchè del tutto corretto appare il percorso logico che conduce a ritenere non superata la presunzione di veridicità delle risultanze catastali, ancorchè espresso nella impugnata sentenza con stringata motivazione;

che è appena il caso di osservare che il ricorrente non può porre un problema di valutazione del materiale probatorio, questione di stretto merito, attingibile, se del caso, sotto il profilo dell’inadeguatezza della motivazione, vizio che per quanto detto non sussiste, atteso che il richiamo del Giudice di appello al “non possesso” deve essere inteso, appunto, come mancato superamento della presunzione di cui si è detto in precedenza, che è cosa diversa dalla contestata inversione dell’onere della prova; che al G., infatti, è stato attribuito l’onere di superare la presunzione di veridicità delle risultanze catastali, ed il risultato della valutazione probatoria operata dalla CTR è un problema che attiene al merito, mentre la dedotta decisività della mancata produzione, da parte del Comune, di “un estratto della conservatoria dei registri immobiliari che attestasse quanto dedotto” costituisce affermazione formulata in maniera apodittica e che non tiene conto del fatto che la trascrizione degli atti traslativi è pur sempre un adempimento di parte, sicchè non può escludersi una mancanza di corrispondenza tra registri immobiliari e realtà degli scambi;

che non v’è luogo a pronuncia sulle spese non avendo l’intimata svolto attività difensiva;

che non v’è luogo a provvedere sulle spese di giudizio stante la assenza di attività difensiva dell’intimato.

PQM

LA CORTE, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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