Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13058 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. III, 14/05/2021, (ud. 02/12/2020, dep. 14/05/2021), n.13058

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35180-2019 propost da:

I.S., rappresentato e difeso dall’avv. ETTORE FAUSTO

PUCILLO;

– ricorrenti –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 3448/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

02/12/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

I.S., cittadino della (OMISSIS), propone ricorso articolato in tre motivi, notificato il 5 novembre 2019, nei confronti del Ministero dell’Interno, avverso la sentenza n. 3448/2019 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata in data 14.8.2019, non notificata.

Il Ministero ha depositato tardivamente una comunicazione con la quale si dichiara disponibile alla partecipazione alla discussione orale.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Il ricorrente riferisce la sua vicenda personale: cittadino della (OMISSIS), (OMISSIS), fidanzato con una ragazza di religione (OMISSIS), era costretto a lasciare il paese perchè inviso ai parenti della fidanzata, decisamente ostili nei suoi confronti allorchè questa rimaneva incinta. La ragazza decedeva a causa della gravidanza, ed i suoi parenti incolpavano il ricorrente dell’accaduto, minacciandolo ripetutamente di morte, per cui si determinava alla fuga.

La sua domanda, volta al riconoscimento, in via gradata, di tutte le forme di protezione internazionale, veniva rigettata in primo grado con sentenza confermata in appello.

Con il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2018, art. 8, comma 3, e dell’art. 27, comma 1 bis nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ovvero la violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria e la inesistenza della motivazione per mancanza di una specifica indicazione delle COI (Country of Origin Informations) volte a ricostruire la situazione del paese di provenienza. Rileva che il rigetto della domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria non è stato preceduto da alcuna istruttoria, volta ad accertare se nel paese di origine il ricorrente corresse l’effettivo rischio di esposizione a una situazione di pericolo diffuso.

Il motivo è infondato.

La sentenza osserva che, in relazione all’esposizione al rischio di persecuzioni nei suoi confronti per motivi strettamente personali, il ricorrente sia stato eccessivamente generico, non permettendo di approfondire se dietro la sua storia ci fosse un rischio concreto di persecuzioni. Quindi la mancata attivazione del dovere di cooperazione istruttoria è giustificata dalla impossibilità, per la indeterminatezza del racconto, di andarne a verificare la fondatezza.

Quanto al rischio di essere esposto ad una situazione di violenza generalizzata nella zona di sua provenienza, la sentenza cita diffusamente – da pag. 7 a pag. 10 l’Human Rights Watch World Report 2018, quindi il diritto di esigere che si attinga, per la ricostruzione della situazione del paese di provenienza e la verifica della configurabilità in esso di una situazione di pericolo diffuso per le persone ad informazioni aggiornate tratte da fonti attendibili è stata soddisfatta. Nè il ricorrente svolge la sua critica contrapponendo efficacemente alle informazioni attendibili citate dal provvedimento impugnato altre fonti informative coeve o comunque anche se successive ad esse, precedenti alla decisione e quindi conoscibili dal giudice, dalle quali emerga una situazione contrastante.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ovvero l’illegittimità del mancato riconoscimento della protezione umanitaria per omessa valutazione della condizione in cui ebbe a trovarsi durante il soggiorno in (OMISSIS), pur avendo egli riferito di aver dovuto attraversare la (OMISSIS) per recarsi in Italia. Afferma che la sentenza sarebbe viziata perchè la corte d’appello non avrebbe approfondito, rivolgendo al ricorrente idonee domande, il suo vissuto durante il periodo di transito attraverso la (OMISSIS).

Il motivo è infondato, non risultando che i traumi subiti durante il percorso in (OMISSIS) siano stati dedotti a supporto della vulnerabilità per la quale si chiede il riconoscimento della protezione umanitaria, nè che la loro omessa considerazione sia stata dedotta come motivo di appello, mancando alcun riferimento a tale periodo nella sentenza e non avendo il ricorrente evidenziato di aver proposto uno specifico motivo di appello sul punto.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione di legge, in riferimento al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1 nonchè la illogicità, contraddittorietà e apparenza della motivazione laddove la corte d’appello ha rigettato la sua domanda volta alla concessione della protezione umanitaria, avendo la corte negato che fosse stata illustrata, dallo stesso ricorrente, una particolare situazione di vulnerabilità.

Sostiene che manchi nella sentenza impugnata ogni raffronto tra la condizione del ricorrente in Italia e quella in cui si troverebbe ove tornasse a vivere nel paese di origine, in contrasto con il requisito della vulnerabilità.

Il motivo è infondato, in quanto la sentenza afferma, con passaggio non contestato, che è stato il ricorrente a non fornire i necessari riferimenti individualizzanti, alla stregua dei quali avrebbe potuto essere esaminata, con giudizio comparativo, la sua personale vulnerabilità ove sottoposto al rimpatrio.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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