Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13057 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 13057 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: BUFFA FRANCESCO

SENTENZA

sul ricorso 28558-2012 proposto da:
ARGIOLAS MARIANO RGLMRN67R08B745F, CHIAPPORI SANDRO
CHPSDR54T21B354I, CHILLOTTI BRUNO CHLBRN61A02B352E,
CHILLOTTI PAOLA CHLPLA57D52B354Q, FOIS MAURIZIO
FSOMRZ67PO4F2050,
ORRU’
2014
604

ANTONELLO

PROGPP53B111668V,

LORRAI

DAVIDE LRRDVD66M20B354F,

RRONNL65D12G383L,ORRU

GIUSEPPE

PERDICHIZZI

GIUSEPPA

PRDGPP76D70F1580, PERINOZZI GIULIANO PROGLN60M15B354C,
PIERDOMENICO RITA PRDRTI76M50G482L, PILI UMBERTO
PLIMRT56L10B354P, PORTAS GIOVANNI PRTGNN62M29F822G,
SABA TIZIANA SBATZN72D41B354R, TACCORI FRANCESCO

Data pubblicazione: 10/06/2014

TCCFNC69C09B354Q, tutti elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo studio
dell’avvocato BOLOGNESI RICCARDO, che li rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrenti –

– TELECOM ITALIA S.P.A. P.I. 00488410010, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA,ki.L.G. FAVELLI 22, presso lo
studio degli avvocati MARESCA ARTURO, BOCCIA FRANCO
RAIMONDO, ROMEI ROBERTO, che la rappresentano e
difendono giusta delega in atti;
– HEWLETT PACKARD CUSTOMER DELIVERY SERVICES S.R.L.
(già HEWLETT PACKARD DISTRIBUTED COMPUTING SERVICES
S.R.L. P.I. 03678670286, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PAOLO DI DONO 3/A, presso lo studio degli
avvocati MOZZI VINCENZO e DE BERARDINIS PAOLO, che la
rappresentano e difendono giusta delega in atti;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 301/2012 della CORTE D’APPELLO
di CAGLIARI, depositata il 03/08/2012 R.G.N. 233/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica ‘
udienza del 18/02/2014 dal Consigliere Dott. FRANCESCO
BUFFA;
udito l’Avvocato BOLOGNESI RICCARDO;

contro

uditi gli Avvocati BOCCIA FRANCO RAIMONDO e ROMEI
ROBERTO;
udito l’Avvocato DE BERARDINIS PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso per guanto di ragione..

1. Con sentenza 3.8.2012, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la sentenza
del 3.1.2011 delTribunale della stesa sede, che aveva rigettato la domanda di alcuni
lavoratori di impugnativa del licenziamento loro intimato da IT Telecom s.p.a., a
seguito di cessione dei loro rapporti di lavoro unitamente a ramo di azienda ad
Hewelett Packard DCS s.r.1.; ha inoltre dichiarato il difetto di legittimazione
passiva di Hewelett Packard.
2. In particolare, la Corte ha ritenuto che la cessione aveva riguardato un ramo di
azienda preesistente al trasferimento ed ha ritenuto inammissibili, in quanto
nuove, le deduzioni dei lavoratori circa la estraneità delle attività da essi svolte
rispetto a quelle oggetto di cessione.
3. Avverso tale sentenza ricorrono i lavoratori per tre motivi, illustrati da memoria;
resistono Telecom ed Hewelett Packard con controricorso.
4. Con il primo motivo di ricorso, si deduce —in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc.
civ.- violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 61 ss. cod.
proc. civ., per avere la sentenza applicato le norme del trasferimento di ramo
d’azienda, sebbene il datore non avesse né allegato né provato in modo preciso
che le attività cedute presentassero autonomia funzionale ed organizzativa unitaria
finalizzata all’esercizio di un’attività economica.
5. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce —in relazione all’art. 360 n. 3 cod.
proc. civ.- violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ., per avere la
sentenza applicato la detta norma, trascurando la carenza nella specie di
autonomia organizzativa e funzionale delle attività trasferite preesistente al
trasferimento (presupposto invece essenziale per la configurabilità di un ramo di
azienda).
6. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce —in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc.
civ.- insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, la quale
non avrebbe motivato affatto in ordine al dichiarato difetto di legittimazione della
cessionaria.
7. Il primo e secondo motivo possono essere trattati congiuntamente: essi sono
fondati.
8. L’art. 2112 c.c., comma 5, nel testo introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n. 18,
art. 1 (di attuazione della direttiva n. 98/50/Ce, relativa al mantenimento dei diritti
dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di
stabilimenti) prevedeva -prima della novella del 2003 e nel testo qui applicabile- il
trasferimento di parte dell’azienda, precisando che per quest’ultimo doveva
intendersi un’articolazione funzionalmente autonoma di quell’attività economica
organizzata definita nella prima parte del medesimo quinto comma e con le
medesime connotazioni; inoltre, la citata disposizione prescriveva anche che tale
frazione dell’impresa, oggetto del trasferimento parziale, doveva essere
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Pres. Roselli — est. Buffa

R.g. n.28558/12 — Pili + altri c. Telecom + altro

preesistente al trasferimento e, pur a seguito di questo, doveva conservare la
propria identità. Pertanto, rientra nella nozione di trasferimento di parte
dell’azienda, prevista dalla richiamata disposizione, l’enucleazione di attività che
avessero avuto una loro originaria identità tale da rispecchiare già le connotazioni
tipiche dell’attività d’impresa, mentre non vi rientra l’assemblaggio di frammenti
del processo produttivo, che, quale parte del tutto, avrebbero potuto semmai dar
vita ad una nuova impresa, ma questa non sarebbe stata preesistente, bensì
sarebbe sorta proprio con l’atto di trasferimento (o, meglio, di conferimento) in
favore del cessionario.
9. Con riferimento al caso di specie, la sentenza impugnata ha accertato che il
complesso ceduto, denominato IT User support e composto da circa 600
dipendenti, ricomprendeva il GISP centrale e territoriale (che si occupava di reti
LAN, sicurezza informatica ed interconnessioni), il Customer care (che assicurava
l’assistenza informatica al cliente interno: è il settore nel quale prestavano servizio
i ricorrenti), l’Asset management (che curava la gestioni delle apparecchiature,
l’inventario e la distribuzione), il Desktop management (che svolgeva la
manutenzione dell’hardware, delle postazioni di lavoro, l’assistenza per gli
applicativi e l’help desk tecnico). In tale complesso erano confluiti lavoratori già
dipendenti di società diverse (Netsiel, Eis, Saritel, Sodalia, Telesoft), svolgenti
diverse funzioni presso diverse sedi; peraltro, non tutti i dipendenti di tali società
erano stati assegnati ai detti servizi, e solo parte delle funzioni svolte dai detti
settori erano confluite nell’IT user support (altre erano state inglobate in una
“control room”, in capo al soggetto cedente).
10. Da quanto accertato dal giudice di merito, emerge che l’accorpamento nell’IT user
support aveva riguardato attività disomogenee per funzioni e professionalità, non
integrate tra loro e prive di coordinamento unitario.
11. Per converso, al fine di una corretta applicazione dell’art. 2112 cod. civ., l’oggetto
del trasferimento deve consistere in una preesistente entità economica che
oggettivamente si presenti dotata di autonomia organizzativa ed economica
funzionalizzata allo svolgimento di un’attività volta alla produzione di beni e
servizi, non essendo sufficiente al sola volontà dell’imprenditore ad unificare un
complesso di beni (di per sé privo di una preesistente autonomia organizzativa ed
economica volta ad uno scopo unitario) al solo scopo di renderlo oggetto di un
contratto di cessione di ramo di azienda.
12. La conclusione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che —con
riferimento alla cessione di azienda regolata dall’art. 2112 cod. civ., nella
formulazione anteriore alla modifica introdotta dalla c.d. legge Biagi- ha sempre
ritenuto che l’elemento essenziale che caratterizza la cessione del ramo di azienda
è la preesistenza di una struttura organizzata e funzionalmente autonoma
all’interno della cedente ed il mantenimento di tale struttura all’interno della
cessionario, non potendo costituire invece un ramo di azienda l’assemblaggio di
frammenti del processo produttivo privi di autonomia.
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Pres. Roselli — est. Bu

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13.Si è infatti affermato (così Cass. Sez. L, sentenza 3.10.2013, n. 22627; Sez. L,
sentenza n. 22613 del 03/10/2013; Sez. L, sentenza n. 21711 del 04/12/2012;
Sez. L, sentenza n. 2489 del 01/02/2008; Sez. L, sentenza n. 6452 del
17/03/2009) che per “ramo d’azienda” , ai sensi dell’art. 2112 cod. civ. (così come
modificato dalla legge 2 febbraio 2001, n. 18 , in applicazione della direttiva CE n.
98/50), come tale suscettibile di autonomo trasferimento riconducibile alla
disciplina dettata per la cessione di azienda, deve intendersi ogni entità economica
organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la
sua identità, il che presuppone una preesistente realtà produttiva autonoma e
funzionalmente esistente e non anche una struttura produttiva creata “ad hoc” in
occasione del trasferimento o come tale identificata dalle parti del negozio
traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di
espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di
articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e
non dall’inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. Si è pure
rilevato (Sez. L, sentenza n. 206 del 10/01/2004) che l’art. 2112 cod. civ., letto in
linea con la giurisprudenza comunitaria formatasi in merito alla interpretazione
della direttiva n. 187 del 1977 e con le esplicite indicazioni fornite dalla direttiva n.
50 del 1998, consente di ricondurre alla cessione di azienda anche il trasferimento
di un ramo della stessa, purché si tratti di un insieme di elementi produttivi
organizzati dall’imprenditore per l’esercizio di un’attività, che si presentino prima
del trasferimento come una entità dotata di autonoma ed unitaria organizzazione,
idonea al perseguimento dei fini dell’impresa e che conservi nel trasferimento la
propria identità. In presenza di tali condizioni, può configurarsi un trasferimento
aziendale che abbia ad oggetto anche solo un gruppo di dipendenti stabilmente
coordinati ed organizzati tra loro, la cui capacità operativa sia assicurata dal fatto
di essere dotati di un particolare “know how”, realizzandosi in tale ipotesi una
successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente
ceduto, ex art. 1406 e seguenti cod. civ. Requisito indefettibile della fattispecie
legale tipica delineata dal diritto comunitario e dall’art. 2112 cod. civ. resta
comunque, anche in siffatte ipotesi, l’elemento della organizzazione, intesa come
legame funzionale che rende le attività dei dipendenti appartenenti al gruppo
interagenti tra di esse e capaci di tradursi in beni o servizi ben individuabili,
configurandosi altrimenti la vicenda traslativa come cessione del contratto di
lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso del contraente ceduto.
14. Detta nozione di trasferimento di ramo d’azienda è coerente con la disciplina in
materia dell’Unione europea (direttiva 12 marzo 2001, 2001/23/CE, che ha
proceduto alla codificazione della direttiva 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, come
modificata dalla direttiva 29 giugno 1998, 98/50/CE) secondo cui “è considerato
come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica
che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al

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fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria” (art. 1, n. 1,
direttiva 2001/23).
15. La Corte di Giustizia, cui compete il monopolio interpretativo del diritto
comunitario, ha ripetutamente individuato la nozione di entità economica come
complesso organizzato di persone e di elementi che consenta l’esercizio di
un’attività economica finalizzata al perseguimento di un determinato obiettivo
(cfr. Corte di Giustizia, 11 marzo 1997, C-13/95, Suzen, punto 13; Corte di
Giustizia, 20 novembre 2003, C-340/2001, Abler, punto 30; Corte di Giustizia, 15
dicembre 2005, C-232/04 e C-233/04, Guney-Gorres e Demir, punto 32) e sia
sufficientemente strutturata ed autonoma (cfr. Corte di Giustizia, 10 dicembre
1998, Hernandez Vidal, C-127/96, C-229/96, C-74/97, punti 26 e 27; Corte di
Giustizia, 13 settembre 2007, Jouini, C-458/05, punto 31; Corte di Giustizia, 6
settembre 2011, C-108/10, Scattolon, punto 60).
16. Tali principi sono stati ribaditi ulteriormente dalla Corte europea che, pur
richiamando l’art. 8 della direttiva 2001/23 e la facoltà ivi prevista che gli Stati
membri applichino o introducano disposizioni legislative, regolamentari o
amministrative più favorevoli ai lavoratori, prevedendo ad esempio il
mantenimento dei diritti dei lavoratori anche in ipotesi più ampie (e così
nell’ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità
economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento), ha
affermato che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in
questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di
un’autonomia funzionale sufficiente, e che, per altro verso, l’impiego, al citato
articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi» implica che
l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento
(Corte di Giustizia 6 marzo 2014, C-458/12, Amatori ed a., punti 32-34).
17. In proposito, va segnalato che la specifica finalità perseguita dalla giurisprudenza
comunitaria (volta ad agevolare il trapasso dei lavoratori al cessionario e la
conservazione del posto di lavoro) non è incompatibile con la finalità, perseguita
dalla giurisprudenza nazionale, di impedire le esternalizzazioni che realizzino un
peggioramento della posizione dei lavoratori, trattandosi di tutele volte alla
protezione dei diritti dei lavoratore nell’ambito delle vicende successorie del
datore di lavoro.
18. Affinché, dunque, si possano produrre gli effetti derivanti dall’applicazione
dell’art. 2112 cod. civ., occorre la configurabilità di un trasferimento di ramo di
azienda, ciò che postula necessariamente, secondo quanto detto, una struttura
organizzata e funzionalmente autonoma all’interno della cedente ed il
mantenimento di tale struttura all’interno della cessionario.
19. Tale situazione non ricorre nella specie, secondo quanto accertato in fatto dal
giudice di merito.
20. Può dunque affermarsi che esattamente il giudice di merito esclude la ravvisabilità
di un ramo di azienda, oggetto di cessione ai sensi dell’art. 2112 cod. civ., in un
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complesso di servizi —privi di struttura aziendale autonoma e preesistenteconsistenti nella gestione e manutenzione di strutture informatiche ed in
assistenza tecnica, che restino disomogenei per funzioni svolte e professionalità
coinvolte, non integrati tra loro e privi di coordinamento unitario. Né può
assumere rilievo, al fine di ravvisare un trasferimento di ramo di azienda, la sola
decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratoti,
affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in quanto la
qualificazione come ramo di azienda contrasterebbe sia con le direttive
comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23, che richiedono già prima di quest’atto
“un’entità economica che conservi la propria identità”, ossia un assetto già
formato, sia con gli articoli 4 e 36 Cost., che impediscono di rimettere discipline
inderogabili di tutela dei lavoratori (corte cost. n. 115 del 1994) ad un mero atto di
volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi.
21.11 terzo motivo è invece inammissibile, atteso che non risulta che i lavoratori
abbiano esplicitato alcuna domanda giudiziale nei confronti della cessionaria, non
constando neppure una domanda di mero accertamento negativo della legittimità
della cessione di ramo d’azienda.
22. La sentenza impugnata deve essere cassata e, non occorrendo ulteriori
accertamenti, la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento della
domanda introduttiva del giudizio proposta dai ricorrenti ed annullamento del
recesso datoriale loro intimato.
23.Le spese di lite seguono la soccombenza di Telecom; le spese del ricorso verso
Hewelett Packard devono essere compensate in considerazione della posizione
economica delle parti e del carattere meramente processuale della decisione.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso verso Telecom, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la
causa nel merito, accoglie la domanda introduttiva del giudizio dei lavoratori; condanna
Telecom al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in € tremila per competenze ed
€ cento per spese, oltre accessori come per legge. Dichiara inammissibile il ricorso verso
Hewelett Packard e compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2014.

R.g. n.28558/12 — Pili + altri c. Telecom + altro

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