Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13054 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 13054 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BERRINO UMBERTO

SENTENZA

sul ricorso 14673-2012 proposto da:
BARATTA RICCARDO C.F. BRTRCR20S02A509W, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA S. CATERINA DA SIENA 46,
presso lo studio dell’avvocato RAPONE PATRIZIA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRECO
GIUSEPPE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

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contro

BANCA D’ITALIA C.F. 00997670583, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA NAZIONALE 91, presso L’ AVVOCATURA DELLA

Data pubblicazione: 10/06/2014

BANCA D’ITALIA, rappresentata e difesa dagli avvocati
CECI STEFANIA e FRISULLO ADRIANA, giusta delega in
atti;
controri corrente avverso la sentenza n. 1620/2011 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. UMBERTO
BERRINO;
udito l’Avvocato RAPONE PATRIZIA;
udito l’Avvocato CECI STEFANIA RITA MARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

di FIRENZE, depositata il 15/12/2011 r.g.n. 986/2005;

Svolgimento del processo
Riccardo Baratta convenne in giudizio la Banca d’Italia innanzi al Tribunale di
Roma per sentirla condannare al risarcimento, in via equitativa, dei danni
patrimoniali subiti per effetto del suo trasferimento disposto il 15/6/1983 dalla filiale

Nel costituirsi in giudizio la Banca convenuta eccepì che con sentenza n. 418 del
9/6/1986 il Consiglio di Stato aveva annullato il provvedimento di trasferimento
limitatamente allo spostamento geografico per un vizio della procedura prevista
dall’art. 16 del regolamento del Personale, ma non sotto il profilo funzionale.
Con un successivo atto di citazione il Baratta chiese la condanna dell’istituto
bancario al risarcimento dei danni nella misura di £ 60.000.000 per i danni
conseguiti dallo stesso trasferimento e per il fatto che non gli erano state
riconosciute le indennità di missione e di trasferimento.
La Banca d’Italia si costituì in giudizio eccependo l’infondatezza della domanda.
Disposta la riunione delle cause il Tribunale adito dichiarò il difetto di giurisdizione
del giudice ordinario e condannò l’attore alle spese processuali.
Con sentenza del 14/6/2000 la Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione del
Baratta, il quale propose ricorso in Cassazione.
Con sentenza n. 7733 del 23/4/2004 la Suprema Corte cassò la sentenza e rinviò
la causa alla Corte d’appello di Firenze per l’accertamento degli elementi di
responsabilità di cui all’art. 2043 cod. civ.
Con sentenza del 27/9 — 15/12/2011 la Corte d’appello fiorentina ha rigettato la
domanda del Baratta e quella di risarcimento dei danni formulata dalla Banca
d’Italia ai sensi dell’art. 96, 1° comma, c.p.c., condannando il lavoratore alle spese
di tutti i gradi del giudizio.
Ha osservato la Corte territoriale che al dato obiettivo della responsabilità
datoriale, costituito dall’illegittimità del provvedimento adottato, non era seguita la
prova, da parte del lavoratore, dell’evento dannoso, mentre era stata fornita dalla

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di Pistoia, ove svolgeva le funzioni di direttore, alla sede centrale di Roma.

Banca la prova dell’esistenza di fatti positivi che escludevano nel caso concreto la
sua colpa. Al contrario, la stessa Banca non aveva dimostrato la sussistenza della
responsabilità aggravata imputata al Baratta in ordine all’esperimento dell’azione
che aveva dato origine al procedimento.

Resiste con controricorso la Banca d’Italia.
Le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.
1362 c.c. e dell’art. 384 c.p.c. in quanto i giudici d’appello avrebbero travisato il
principio di diritto contenuto nella sentenza rescindente n. 7733 del 2004 di questa
Corte nel momento in cui hanno deciso di indagare in ordine al profilo soggettivo
della condotta datoriale, nonostante l’accertamento, richiamato nella sentenza di
legittimità,

dell’insussistenza

di

fatti

positivi

escludenti

la

colpa

dell’amministrazione bancaria.
Il motivo è infondato.
Invero, i giudici d’appello hanno correttamente applicato il principio contenuto nella
predetta sentenza di questa Corte in quanto, dopo aver premesso che nella
fattispecie si era in presenza del dato obiettivo rappresentato dall’esistenza dal
provvedimento di trasferimento accertato come illegittimo nella sede
giurisdizionale amministrativa, come tale fonte di responsabilità, ha chiarito, con
adeguata motivazione, che non era, tuttavia, seguita la prova dell’evento dannoso
e che, al contrario, era stata fornita la prova dell’esistenza di fatti positivi
escludenti la colpa datoriale, giusta la verifica indicata nella stessa sentenza di
cassazione con rinvio.
2. Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 2043
cod. civ. e degli artt. 40 e 41 cod. pen., il ricorrente deduce che la Corte fiorentina,
basandosi sull’erroneo presupposto di poter modificare l’accertamento dei fatti

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Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Baratta con quattro motivi.

oggetto della statuizione della Cassazione, non si era avveduta che nel caso
concreto si doveva ritenere provato l’elemento psichico della condotta datoriale e
la correlata imputabilità soggettiva ai fini dell’accertamento dell’evento dannoso.
Il motivo è infondato.

della responsabilità datoriale non più sindacabile da parte dei giudici d’appello,
premessa, questa, che è infondata per le ragioni appena esposte in occasione
dell’esame del primo motivo.
Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la necessità di un tale
accertamento scaturiva proprio dalla considerazione che nella sentenza della
Cassazione sopra richiamata si era affermato che la Corte d’appello di Roma non
aveva appurato circostanze concrete idonee ad escludere la colpa
dell’amministrazione bancaria e si era, altresì, precisato che non era consentito
desumere la responsabilità della stessa amministrazione dalla sola illegittimità del
provvedimento di trasferimento.
Inoltre, nella stessa sentenza della fase rescindente del giudizio si è chiarito che la
prova della sussistenza dell’elemento soggettivo ricadeva sul lavoratore
dichiaratosi parte lesa e che, trattandosi di illegittimità per violazione di legge
dovuta ad inosservanza di disposizioni formali, l’elemento psichico poteva ritenersi
dimostrato solo in mancanza di fatti positivi escludenti la colpa datoriale nel caso
specifico.
Orbene, una tale verifica presupponeva un relativo accertamento istruttorio, per
cui la Corte d’appello di Firenze l’ha correttamente eseguito pervenendo al
convincimento, congruamente motivato sulla base della prova testimoniale e della
relazione ispettiva, che esistevano nel caso concreto fatti positivi escludenti la
colpa della parte datoriale, quali il comportamento del lavoratore medesimo diretto
ad impedire il normale svolgimento del lavoro nella filiale di Pistoia e l’osservanza,
da parte della datrice di lavoro, dei criteri di gestione delle risorse umane

Anzitutto, il ricorrente parte dalla premessa errata di un avvenuto accertamento

appartenenti ai gradi apicali nell’attribuzione in concreto di funzioni di prestigio
presso la sede centrale dell’istituto.
3. Oggetto di doglianza del terzo motivo di censura è l’omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia in relazione alla

tra la condotta datoriale e l’evento dannoso, finendo per negarlo sulla base della
ritenuta mancanza di prove e dell’asserita esistenza di fatti escludenti la colpa nel
caso concreto.
li motivo è infondato in quanto, come si è appena evidenziato nel corso dell’esame
della seconda censura, la Corte ha chiaramente indicato, con motivazione esente
da rilievi di carattere logico-giuridico, quali erano gli elementi di prova che
escludevano la responsabilità dell’amministrazione bancaria nella decisione di
adottare il provvedimento di trasferimento, elementi che erano riconducibili, per un
verso, ad un preciso comportamento del dipendente e, per altro verso,
all’attuazione di criteri di scelta datoriale niente affatto lesivi della professionalità
del dipendente, stante il prestigio del ruolo da svolgere presso la sede centrale
dell’istituto.
4. Attraverso il quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ. e degli artt. 115, 116 cod. proc.
civ., nonché il vizio di motivazione con riferimento all’esercizio dei poteri
discrezionali di valutazione delle prove da parte della Corte di merito per il fatto di
aver ritenuto inammissibili le prove implicanti giudizi dei testi e di non poterle porre
a base della decisione.
Invece, questione ben diversa era, a parere del ricorrente, quella della possibilità
del teste di esprimere il proprio convincimento in ordine al fatto così come
percepito, tanto più se si trattava, come nella fattispecie, di prova già ammessa
nella precedente fase di merito del giudizio. Inoltre, la stessa Corte aveva dato

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deduzione per la quale la Corte d’appello non avrebbe rilevato il nesso di causalità

rilievo, al contrario, a semplici elementi indiziari nel pervenire al convincimento di
rigetto della domanda.
Il motivo è infondato.
Invero, si è già avuto modo di affermare (Cass. Sez. 2, n. 1554 del 28/1/2004) che

interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle
prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. Ne consegue che
è insindacabile in sede di legittimità il “peso probatorio” di alcune testimonianze
rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un
giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice.”
Inoltre, è stato già statuito da questa Corte (Cass. sez. lav. n. 2272 del 2/2/2007)
che “il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la
prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360,
comma primo, n. 5), cod. proc. civ., è configurabile soltanto quando dall’esame del
ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa
impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad
una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel
complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il
predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma
non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della
parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli
elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in
un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello
stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In
ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito
adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in
esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle

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“in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito la

parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni
del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese
tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse”.
Orbene, nella fattispecie in esame può tranquillamente affermarsi che, nel loro

appaiono sorrette da argomentazioni logiche e perfettamente coerenti tra di loro,
oltre che aderenti ai risultati fatti registrare dall’esito delle prove orali su punti
qualificanti della controversia, per cui le stesse non meritano affatto le censure
mosse col presente motivo di doglianza.
5. Col quinto motivo ci si duole della nullità della sentenza per omessa pronunzia,
in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. ) in quanto si
assume che la Corte, dopo aver rigettato la domanda di risarcimento del danno
non patrimoniale, avrebbe omesso di pronunziarsi sull’analoga domanda
concernente il danno patrimoniale derivato dall’illegittimo trasferimento, ad onta
della documentazione prodotta per la dimostrazione del pregiudizio subito.
Il motivo è infondato per la semplice ragione che non sussiste la lamentata
omissione di pronunzia, avendo la Corte escluso la sussistenza di una
responsabilità della parte datoriale atta a rappresentare la fonte del preteso danno
patrimoniale, tanto da aver spiegato, con adeguata e logica motivazione, che
l’assegnazione del nuovo incarico non era lesiva del prestigio del dipendente e
che non era stata dimostrata la sussistenza dell’evento dannoso.
Pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno
liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella
misura di € 3500,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre
accessori di legge.

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complesso, le valutazioni del materiale probatorio operate dal giudice d’appello

Così deciso in Roma 11 1 febbraio 2014

Il Consigliere estensore

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