Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1305 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 744/2014 R.G. proposto da:

Fratelli P. figli di N. – Agenzia Funebre s.r.l.,

corrente in (OMISSIS), in persona del legale rappresentante p.t.,

con gli avv.i prof. Salvatore Sammartino e Giuseppe Piero Siviglia,

con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via

dell’Elettronica n. 20;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Sicilia – Palermo n. 71/35/13, pronunciata il 12 febbraio 2013 e

depositata il 9 maggio 2013, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. La società contribuente, esercente l’attività d’impresa di agenzia funebre, era attinta in data 22 maggio 2010 da un avviso di accertamento ai fini IRES e IRAP relativo all’anno d’imposta 2005. In particolare l’Ufficio rideterminava i presunti maggiori ricavi della contribuente ritenendo che la società avesse ottenuto maggiori ricavi non dichiarati e contabilizzati. A tale conclusione perveniva sulla scorta di un elenco, fornito dal Comune di Palermo, dei servizi funebri eseguiti nel 2005 dalla società ricorrente e sulla base del prezzo medio praticato per il singolo servizio. Richiamava poi alcuni questionari inviati alle famiglie dei defunti, che però non venivano allegati all’atto impositivo nè ivi trascritti.

1.1 Ad ogni buon conto, sulla base di tali presupposti l’Ufficio rettificava pertanto le dichiarazioni d’imposta della società contribuente, determinando i presunti maggiori ricavi per un importo di Euro 136.000,00 e così accertando per l’anno 2005 un reddito d’impresa pari a Euro 137.797,00, una maggiore IRES dovuta per Euro 44.880,00, una maggiore IRAP per 5.440,00 e una sanzione parti ad Euro 50.578,00.

2. La società contribuente adiva pertanto il giudice di prossimità, svolgendo tre motivi di ricorso che possono essere così sintetizzati: da un lato lamentava l’inesistenza della notificazione, dall’altro la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, in ragione dell’illegittimo esercizio del potere di accertamento, stante l’assenza di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza; infine censurava il mancato assolvimento dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 c.c., per non aver l’Ufficio provato la sua pretesa tributaria.

3. La Commissione tributaria provinciale rigettava il ricorso, confermando l’atto impugnato. La società contribuente promuoveva pertanto appello riproponendo i motivi e le questioni già svolte in primo grado.

4. Costituitosi l’Ufficio, la Commissione tributaria regionale rigettava l’appello, confermando la decisione di primo grado. Circa la dedotta inesistenza della notifica, i giudici di merito riconducevano la mancanza di apposizione della relazione di notificazione ad una mera irregolarità sanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, avendo la notifica comunque raggiunto lo scopo in ragione della tempestiva impugnazione. Nel merito osservava che l’Ufficio aveva condotto l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, che dunque risultava fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti quali l’omessa fatturazione di servizi risultanti dal riscontro delle fatture emesse e la quantificazione del prezzo medio applicato per ciascun servizio. Evidenziava altresì che non era possibile tenere conto dell’incidenza percentuale dei costi relativi in ragione della tipologia analitico-induttiva dell’accertamento condotto. Concludeva ritenendo irrilevanti i pochi servizi indicati dalla contribuente, tenuto anche conto che essi non erano supportati da ulteriore documentazione probatoria.

5. Ricorre per la cassazione della sentenza la società contribuente che svolge cinque motivi di ricorso, cui resiste l’Amministrazione finanziaria con tempestivo controricorso.

In prossimità dell’udienza la parte privata ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e, precisamente, della disciplina relativa agli avvisi di accertamento e alla sanatoria dell’eventuale nullità di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, al D.P.R. 26 febbraio 1972, n. 633, art. 56, alla L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 3, ed agli artt. 148,149 e 156 c.p.c., in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Afferma la contribuente che il plico contenete l’atto impositivo notificato alla ricorrente difetterebbe degli elementi minimi, quali la sottoscrizione dell’ufficiale notificatore e il sigillo dell’ufficio di appartenenza, per poter qualificare la spedizione come una notificazione. Non si tratterebbe, dunque, di un’ipotesi di notifica irregolare, come statuito dalla CTR, quanto di una notifica inesistente, come tale non sanabile ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3.

1.1. Con il secondo motivo la contribuente censura la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Ai rilievi e alle precise deduzioni offerte dalla contribuente il giudice di secondo grado si sarebbe limitato ad opporre la natura dell’accertamento condotto dall’Ufficio, fondato su presunzioni gravi, precise e concordante costituite dall’omessa fatturazione di servizi e dalla quantificazione del prezzo medio pratico. Irrilevanti sarebbero poi le controdeduzioni invocate dalla società ricorrente, circoscritte a pochi casi a fronte dei 68 servizi contestati dall’Ufficio oltre che senza un adeguato supporto probatorio. Il giudice d’appello avrebbe dunque errato perchè, da un lato, non avrebbe tenuto conto delle difese e delle contestazioni svolte dalla contribuente e, dall’altro, avrebbe reso una pronuncia illogica e incomprensibile, segnatamente ove tacciava di irrilevanza i servizi elencati dalla contribuente rispetto a quelli indagati dall’Ufficio. Infine la sentenza sarebbe censurabile sotto il profilo della carenza di motivazione, come tale sanzionabile con la declaratoria di nullità, giacchè la CTR non si sarebbe adeguatamente espressa sulla forza probatoria della documentazione offerta dalla contribuente, riconosciuta invece all’elenco richiamato dall’Ufficio.

1.2. Con il terzo motivo la parte contribuente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in parametro all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In via subordinata rispetto al secondo motivo di ricorso, ma rinviando ai medesimi fatti e argomentazioni, la ricorrente censura la sentenza impugnata perchè il giudice d’appello avrebbe omesso di esaminare quei fatti controversi e decisivi per il giudizio.

1.3. Il quarto motivo si fonda invece sulla carente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In via ulteriormente subordinata formula un motivo del tutto analogo al precedente, ossia fondato sui medesimi fatti e presupposti, ma assume a paradigma di censura l’art. 360, comma 1, n. 5, nel testo antecedente alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), di tal via censurando la sentenza impugnata per motivazione carente e/o contraddittoria circa un punto decisivo della controversia.

1.4. Con il quinto e ultimo motivo lamenta invece la nullità della sentenza e del procedimento per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), sotto altro profilo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Afferma che l’Ufficio, nella verifica dei maggiori ricavi, non avrebbe tenuto conto dei costi sostenuti e ciò in violazione dell’orientamento seguito da questa Corte. Afferma, in particolare, che nel negare la deducibilità dei costi in ragione della natura analitico-induttiva dell’accertamento, il Giudice d’appello avrebbe reso una pronuncia incomprensibile e quindi viziata nella motivazione.

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

In materia la giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio non ritiene doversi discostare in assenza di nuove ragioni, ha ritenuto che la mancata apposizione della relata di notifica sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 3, comporta non l’inesistenza ma la mera irregolarità della notificazione. Infatti la fase essenziale del procedimento notificatorio è costituita dall’attività dell’agente postale, che si esplica nella materiale consegna del plico, laddove quella dell’ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notifica) ha il solo scopo di fornire al richiedente la notifica la prova dell’avvenuta spedizione e l’indicazione dell’ufficio postale al quale è stato consegnato il plico (Cfr. Cass., V, ord. n. 24946/2017).

2.1. Nel caso di specie non viene nemmeno in contestazione la mancanza della relata, quanto – e solo – l’omessa apposizione della firma da parte dell’Ufficiale giudiziario e l’omessa indicazione dell’ufficio postale. La notifica è pertanto affetta da mera irregolarità, certamente sanata a fronte del raggiungimento dello scopo dell’atto, dimostrato anche dalla proposizione del ricorso avanti la CTP.

3. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.

La ricorrente contesta infatti la sentenza gravata sotto il profilo della nullità per avere la Corte di merito reso una pronuncia in parte illogica e in parte carente sotto il profilo motivazionale, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Deve premettersi che è ormai principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale (Cass. VI – 5, n. 9105/2017) ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. In tali casi la sentenza resta sprovvista in concreto del c.d. “minimo costituzionale” di cui alla nota pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U, n. 8053/2014, seguita da Cass. VI – 5, n. 5209/2018). In termini si veda anche quanto stabilito in altro caso (Cass. Sez. L, Sentenza n. 161 del 08/01/2009) nel quale questa Corte ha ritenuto che la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cfr., recentemente, Cass. V, n. 24313/2018).

3.2. Non può essere accolta la terza censura, con cui la parte ricorrente invoca la violazione dell’art. 360, n. 5, per omessa valutazione della documentazione offerta in difesa. Infatti, è insegnamento ormai costante di questa Corte, e da cui non v’è motivo di discostarsi, quello secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). A tal fine costituisce un “fatto” non una “questione” o un “punto” ma un vero e proprio “accadimento storico”. Non costituiscono, viceversa, “fatti” suscettibili di fondare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame delle argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152).

Il motivo proposto non si basa su un fatto storico, quanto sulla contestata illegittimità dell’avviso impugnato giacchè il giudice d’appello non avrebbe adeguatamente scrutinato la documentazione offerta in giudizio. Donde la sua inammissibilità.

4. Infondato è il quarto motivo.

Dirimente sul punto è il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo cui il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012.

4.1. La L. di conversone n. 134 del 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 11 agosto 2012, n. 187, con l’effetto che la novella trova applicazione per tutti i casi di ricorso per cassazione aventi ad oggetto le sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012 in avanti, ovverossia dal trentesimo giorno successivo a quello della sua entrata in vigore entrata in vigore (cfr. Cass., V, n. 23854/2019).

4.2. La sentenza oggetto del presente giudizio è stata depositata in data 9 maggio 2013, quindi successivamente all’entrata in vigore della novella che aveva sostituito il punto n. 5) dell’art. 360 c.p.c., comma 1. Pertanto non poteva trovare applicazione il medesimo art. 360, n. 5, nel testo ante riforma, con conseguente infondatezza del motivo.

5. Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo.

5.1 In materia questa Corte ha già avuto modo di affermato che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824)”.

Ancora più specificatamente è stato affermato che l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto nel caso in cui abbia condotto un accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, del mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, e senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass. n. 22868 del 2017; v. anche Cass. n. 9888 del 2017).

5.2. Nel caso in commento non è in discussione la natura dell’accertamento analitico-induttivo condotto dall’Ufficio, sicchè non v’è dubbio alcuno in ordine all’applicabilità, al caso in esame, del secondo dei suesposti principi.

Non era quindi dovere dell’Ufficio dedurre in misura forfettaria i costi. Al contrario era onere del contribuente sia versare in atti le fatture “contenenti” dei costi sia, e soprattutto, provare l’esistenza, l’inerenza e la consistenza economica dei costi. E’ infatti rimesso al contribuente la dimostrazione dell’imponibile maturato, dell’inerenza del costo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione.

Nella fattispecie in esame, la CTR ha qualificato come irrilevanti i pochi servizi indicati dalla contribuente, con i costi ivi indicati, tenuto anche conto che essi non erano supportati da ulteriore documentazione probatoria. Il Giudice d’appello ha quindi respinto la doglianza della società contribuente in ragione dell’irrilevanza dei servizi dedotti, anche alla luce della scarna valenza probatoria della documentazione acclusa. La pronuncia resa dalla CTR, censurata sotto il profilo dell’illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), in adesioni all’insegnamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 6119/2018) appare quindi logica e immune da vizi di doglianza, di talchè il motivo è infondato.

In conclusione il ricorso merita accoglimento per le ragioni attinte dal secondo motivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla CTR per la Sicilia – Palermo, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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