Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13048 del 14/06/2011

Cassazione civile sez. trib., 14/06/2011, (ud. 03/05/2011, dep. 14/06/2011), n.13048

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.F.T. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio

dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta e difende, giusta

procura speciale ad litem in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 23/2008 della Commissione Tributaria Regionale

di TORINO del 2 6.5.08, depositata il 04/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/05/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MARIAIDA PERSICO;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIETRO

GAETA.

La Corte:

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Il relatore cons. Mariaida Persico, letti gli atti depositati, osserva:

1. B.F.T. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 23/33/08, depositata il 4 giugno 2008, resa in relazione all’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2003 per Iva, Irpef ed Irap con il quale, – ritenendosi l’attività commerciale svolta classificabile come “erboristeria” e non “commercio al dettaglio di articoli da profumeria”, come operato dalla contribuente, – si era proceduto, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. D) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 alla correzione dello studio di settore presentato, modificando gli elementi specifici della attività, senza alterare quelli contabili dichiarati. La C.T.R., ritenuta non fondata l’eccezione di produzione di documenti nuovi in sede di appello in virtù di principi già esposti dalla giurisprudenza di legittimità, accoglieva l’appello proposto dall’ufficio e riteneva la legittimità dell’impugnato accertamento sia con riferimento all’inquadramento del settore commerciale che alla sussistenza di presunzione di vendite non contabilizzate, discendente dall’incoerenza dell’indice di rotazione del magazzino.

L’Agenzia non ha controdedotto.

2. Il ricorso in esame è fondato su sei motivi.

2.1 Con il primo motivo, accompagnato da idoneo quesito di diritto, viene riproposta l’eccezione di violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, commi 1 e 2, della L. n. 212 del 2000, art. 7. La censura è infondata alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, peraltro già richiamata dal giudice a quo, alla quale (da ultimo Cass. n. 23580 del 2009) questo collegio ritiene di dare continuità non essendo stati evidenziati motivi validi per discostarsene. In particolare si rileva la mancanza di contraddizione tra il primo e l’art. 58, comma 2 cit. in quanto il primo statuisce sulle “nuove prove” che il giudice d’appello non può disporre, mentre il secondo comma testualmente fa salva “la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.

2.2 Il secondo motivo – con il quale si contesta il codice attribuito dall’ufficio all’attività svolta dalla contribuente e, conseguentemente l’applicazione dello studio di settore relativo a tale attività – è inammissibile in quanto sia la doglianza che il relativo quesito di diritto pongono problematiche in fatto, non prospettabili nella presente sede se non come vizi motivazionali e trovando applicazione, con riferimento a questi ultimi, il pacifico e condiviso principio (Cass. SS.UU. n. 5802 dell’11.6.1998) secondo cui il vizio di motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale desumibile dalla sentenza, sia ravvisabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, posto che la citata norma conferisce alla Corte di Cassazione solo il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui spetta individuare le fonti del proprio convincimento, scegliendo tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

2.3 Il terzo motivo, con il quale viene censurata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omessa pronuncia da parte del giudice a qua sulla sussistenza del requisito soggettivo (carenza del diploma abilitativi) necessario per l’esercizio dell’attività di erboristeria ritenuto dall’ufficio, è inammissibile poichè non contiene quella indicazione riassuntiva e sintetica, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. n. 8897 del 2008), deve corredare il motivo con cui si lamentino vizi di motivazione.

2A Con il quarto motivo viene affermato che la contribuente nel ricorso introduttivo aveva contestato il difetto di motivazione dell’accertamento impugnato sotto tre profili e denunciata la violazione di legge (in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 2, primo e ultimo periodo e comma 3; D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, commi 1 e 5; L. n. 212 del 2000, art. 7; D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. e) e art. 57), oltre vizio della motivazione. Tale motivo è accompagnato dal seguente quesito di diritto: Dica questa Corte se, a fronte di un ricorso in appello “ampliato” a seguito della produzione di nuovi documenti da parte dell’ente impositore, la produzione di nuove difese, nelle controdeduzioni, non risultino essere inammissibili in quanto non dedotte (per definizione) nel ricorso introduttivo ovvero non proponibili nel secondo grado di giudizio in quanto eccezioni nuove, e pertanto ancora una volta non ammesse”.

Il quesito, a prescindere dalla scarsa comprensibilità, è totalmente generico, impreciso ed inconferente, sembrando “l’inammissibilità” da censurare riferirsi alla “produzione di nuove difese” svolte dall’appellata – contribuente nelle controdeduzioni, così che lo stesso si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie Ne consegue l’inammissibilità del motivo de quo per mancata ottemperanza al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., risultando il quesito in esame privo dei requisiti stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (Cass. Sez. un., n. 26020 del 2008).

2.5 Con il quinto motivo si denuncia il vizio di motivazione contraddittoria con riferimento alla ritenuta applicabilità del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. D). Lo stesso è inammissibile poichè non contiene quella indicazione riassuntiva e sintetica, costituente un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, che, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. n. 8897 del 2008), deve corredare il motivo con cui si lamentino vizi di motivazione.

2.6 Con il sesto motivo viene denunciata il vizio di motivazione e la violazione di legge (in relazione all’art. 2727 c.c.; al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d); D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma. 3. Viene formulato il seguente quesito di diritto:

“dica questa Corte se l’utilizzo congiunto dei risultati derivanti dall’applicazione degli indici di congruità e degli indici di coerenza, sfavorevoli al contribuente, rappresentino una presunzione grave, precisa e concordante, tale da giustificare il recupero fiscale”. Il motivo appare inammissibile per violazione del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. non essendo il quesito formulato in termini tali da costituire una sintesi logico – giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. Lo stesso infatti, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, non fa un preciso riferimento alla fattispecie concreta (nella quale la sentenza impugnata precisa che “Il delineato contesto, dal quale emerge che non è stata data astratta applicazione allo studio di settore, ma preso semplicemente spunto dallo stesso per vagliare le risultanze contabili sulla base di dati effettivi riguardanti la fattispecie concreta, evidenzia una corretta azione di accertamento”) ma si limita a riportare e ripetere i principi di diritto di cui alle norme invocate, così che un’eventuale risposta affermativa non consentirebbe affatto di dare soluzione alla concreta fattispecie portata all’esame di questa Corte (Cass. Sez. un., n. 26020 del 2008).

3. Si ritiene, pertanto, sussistano i presupposti per la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio e la definizione, ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c., per manifesta inammissibilità dei motivi n. 2, 3, 4,5 e 6 e infondatezza di quello n. 1.”.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;

che non vi è materia di decisione sulle spese di lite per non essersi costituita l’intimata Agenzia.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 3 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2011

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