Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13047 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/05/2017, (ud. 16/03/2017, dep.24/05/2017),  n. 13047

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16749/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

F.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianni Di

Matteo, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via

Giuseppe Ferrari, n. 35;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 221/uno/09 depositata il 30 aprile 2009.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 marzo 2017

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate ricorre, con cinque motivi, avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la C.T.R. del Lazio – in controversia relativa all’impugnazione di quattro avvisi emessi per la rettifica del reddito d’impresa del contribuente F.A., a fini Irpef, Iva e Irap per gli anni 2001, 2002, 2003 e 2004, sulla base di una verifica eseguita dalla Guardia di Finanza – ha rigettato l’appello da essa proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo, rilevando da un lato l’esistenza di giudicato interno, per mancanza di specifici elementi di critica, con riferimento all’avviso emesso in relazione all’annualità di imposta 2003 e, dall’altro, che il gravame risultava inammissibilmente fondato su eccezioni nuove e documenti (il p.v.c. richiamato dagli avvisi di accertamento) non prodotti in primo grado.

Il contribuente resiste con controricorso.

Lo stesso ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 cod. proc. civ., richiamati dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 1 e 49 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. ritenuto che l’Ufficio avrebbe prestato acquiescenza alla decisione di primo grado con riferimento all’avviso di accertamento n. (OMISSIS) relativo all’annualità di imposta 2003. Sostiene trattarsi di affermazione erronea dal momento che, sebbene nella prima pagina dell’atto d’appello non fosse citato, per mero errore materiale, il predetto atto impositivo, non poteva dubitarsi tuttavia che con il gravame si intendesse impugnare la sentenza anche con riferimento alla predetta annualità, attesi i molteplici riferimenti anche a tale avviso contenuti nel corpo argomentativo del motivo e le richieste conclusive, contenute alle pagine 12 e 14 dell’atto d’appello, di conferma della “validità degli accertamenti notificati”, nessuno escluso, e riforma della sentenza impugnata, senza alcuna acquiescenza parziale.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce motivazione contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la sentenza impugnata, dopo avere come detto affermato (a pagina 3) l’esistenza di giudicato interno in relazione all’annualità di imposta 2003, successivamente (a pagina 5) affermato altresì l’assorbimento delle “altre eccezioni, sulla formazione del giudicato interno”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Commissione regionale ritenuto che le argomentazioni da essa svolte a fondamento dell’atto d’appello – con le quali, a critica della sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso introduttivo in ragione della divisata carenza di prova dei maggiori ricavi contestati dall’Ufficio, si rilevava che nel processo erano stati comunque acquisiti tutti gli elementi posti a base della pretesa fiscale, ciò consentendo alla stessa C.T.P. di ordinare l’eventuale acquisizione del p.v.c. ai sensi della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 e si ribadiva nel merito la legittimità degli avvisi – integrassero eccezioni nuove, inammissibili in grado d’appello.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. ritenuto preclusa all’Ufficio la produzione in grado d’appello del p.v.c. richiamato negli avvisi di accertamento.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce infine motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine a un punto decisivo e controverso per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. confermato la decisione di primo grado che aveva annullato gli avvisi in ragione del ritenuto mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Ufficio, senza prendere in esame le questioni inerenti al quadro probatorio proposte dall’Ufficio, in quanto considerate “assorbite”, e senza comunque spiegare in alcun modo l’iter logico in base al quale è pervenuta a tale conclusione.

6. E’ fondato il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo.

A norma dell’art. 329 c.p.c., comma 2, applicabile al processo tributario in virtù del richiamo operato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49 “l’impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate”.

Secondo pacifica interpretazione perchè un tale effetto si verifichi (c.d. acquiescenza impropria o acquiescenza tacita qualificata) occorre che le “parti della sentenza non impugnate” costituiscano parti autonome e non dipendenti da quella che è oggetto dell’impugnazione, il che può verificarsi solo se la sentenza impugnanda contiene più capi contro i quali la parte ha interesse a proporre impugnazione.

Tale presupposto non può ravvisarsi nel caso di specie dove l’autonomia dei periodi di imposta distingue bensì le diverse pretese creditorie, ma non vale anche a identificare altrettanti distinti capi di domanda, nè tantomeno distinte parti di sentenza, investendo la contestazione elementi o presupposti di fatto comuni e ricorrenti nei diversi periodi, di tal che la contestazione degli stessi, pur in mancanza di un esplicito riferimento a ciascuno degli anni di imposta considerati, non può non intendersi riferita all’intero oggetto del contendere, unitariamente trattato; per converso l’acquiescenza alla decisione relativa ad uno degli anni di imposta potrebbe in tale contesto ravvisarsi solo in presenza di una esplicita indicazione in tal senso, nella specie mancante e anzi contraddetta dalle suindicate conclusioni dell’atto d’appello, dirette a ottenere la riforma della sentenza impugnata nella sua interezza.

7. Sono fondati anche il terzo e il quarto motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili.

Occorre al riguardo rammentare che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2, fa salva la facoltà delle parti di produrre in appello nuovi documenti indipendentemente dalla impossibilità dell’interessato di produrli in prima istanza per causa a lui non imputabile.

Vero è che la possibilità d’integrazione del materiale probatorio in appello non costituisce tuttavia veicolo per introdurre in secondo grado eccezioni o domande nuove, ostandovi il divieto espresso contenuto nel ridetto art. 57 laddove si fissa il precetto che “non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”. Tale divieto però concerne esclusivamente le eccezioni in senso stretto o proprio o tecnico (“rappresentate da quelle ragioni delle parti sulle quali il giudice non può esprimersi se ne manchi l’allegazione ad opera delle stesse, con la richiesta di pronunciarsi al riguardo”: Cass. 20/03/2013, n. 6918) e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili (Cass. n. 25756 del 2014).

Tali con ogni evidenza devono considerarsi nella specie quelle introdotte in grado d’appello dall’Agenzia delle entrate, in quanto dirette a meramente affermare la fondatezza e la legittimità della pretesa impositiva, attraverso un’analisi dei dati fattuali e delle ragioni già posti a base della stessa e come tali da ritenere comunque compresi nel tema di lite.

8. Deve pertanto pervenirsi alla cassazione della sentenza impugnata, restando assorbito l’esame dell’ultimo motivo di ricorso.

La causa va rinviata al giudice a quo, al quale deve anche demandarsi il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i rimanenti; cassa la sentenza; rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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