Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13043 del 30/06/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 30/06/2020), n.13043

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32077-2018 proposto da:

P.N., elettivamente domiciliato in ROMA, V. PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190, presso lo

studio dell’avvocato DORA DE ROSE, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANNALUISA MONACO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2245/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 03/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte di appello di Napoli confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da P.N. nei confronti di Poste Italiane s.p.a., diretta alla declaratoria di illegittimità del termine apposto al contratto intercorso tra le parti ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, nel periodo 1/4/2011 – 30/6/2011;

rilevava la Corte che il contratto, stante la sua durata, compresa nell’arco temporale tra aprile e ottobre e contenuta nel limite massimo di sei mesi, si collocava nell’ambito della prescrizione della richiamata norma, sicchè venivano in considerazione esclusivamente le nozioni di organico aziendale e di percentuale superiore al 15% dello stesso, riferite al 1 gennaio dell’anno in cui erano avvenute le assunzioni;

tanto premesso, la Corte d’appello riteneva che la determinazione dell’organico aziendale non dovesse avere riguardo ai soli lavoratori dipendenti addetti ai servizi postali, deponendo in senso contrario il chiaro riferimento della legge all’organico aziendale senza ulteriore specificazione, e rilevava che la ricorrente non aveva contestato specificamente, neppure in sede di gravame, la veridicità dei dati numerici di cui al prospetto allegato da Poste;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione P.N. sulla base di quattro motivi;

la società resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, in relazione agli artt. 2697 e 2699 c.c. – violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c. – violazione degli artt. 416 c.p.c. e dell’art. 2719 c.c. in relazione all’art. 2697 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuto che Poste italiane s.p.a. avesse assolto l’onere probatorio sulla medesima gravante, stante l’inidoneità al riguardo dei documenti allegati, di provenienza esclusiva della controparte e privi delle vidimazioni e attestazioni provenienti dagli enti pubblici preposti, a provare il rispetto del limite percentuale di assunzioni a termine;

con il secondo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, che avrebbe riguardato la inidoneità della documentazione allegata dalla società a dimostrazione del rispetto del limite percentuale, rilevata in primo grado e oggetto di censura in appello;

con il terzo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, anche in relazione al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, al D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1, 3 e 23, degli artt. 2082 e 2555 c.c., del D.Lgs. n. 385 del 1993, del D.Lgs. n. 58 del 1998 e del D.P.R. n. 144 del 2001 – violazione dell’art. 1362 c.c., e ss., in relazione a quanto statuito nel D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 2, comma 1, anche in relazione all’art. 2697 c.c. e agli artt. 115 e 116 c.p.c., censurando la sentenza nella parte in cui ha escluso che l’organico su cui calcolare il numero dei contratti a termine debba riferirsi esclusivamente al numero dei lavoratori addetti ai servizi postali e non al totale dei dipendenti di Poste Italiane s.p.a.;

con il quarto motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio in relazione all’organico aziendale da prendere in considerazione per il calcolo delle assunzioni a termine e al superamento della percentuale del 15%;

il primo motivo è privo di fondamento;

la Corte d’appello ritiene assolti da Poste Italiane s.p.a. gli oneri probatori in ordine al rispetto della clausola di contingentamento sulla base della rilevata mancata contestazione dei dati numerici evincibili dalla relazione di bilancio e dal prospetto del dirigente prodotti dalla società, osservando che tale contestazione non era stata effettuata neppure con l’atto di gravame, con il quale l’appellante si era limitato a svolgere osservazioni circa l’idoneità del documento ai fini probatori e l’adeguatezza del criterio di calcolo riferito all’intero organico dell’impresa;

ciò premesso, va osservato che l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è compito del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. n. 27490 del 28/10/2019), sicchè non è suscettibile di censura sotto il profilo della denunciata violazione di legge la valutazione contenuta in sentenza riguardo alla mancanza o genericità di contestazione del prospetto allegato da controparte, nè il rilievo della mancanza di una censura in appello sul punto;

il secondo motivo è inammissibile, poichè tende a far vale sub specie di vizio di motivazione rilievi attinenti più propriamente a questioni di omessa pronuncia sulle censure poste con l’appello (Cass. n. 329 del 12/01/2016), peraltro in un’ipotesi di doppia conforme in fatto in cui non è consentito il sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

il terzo e il quarto motivo – da trattare congiuntamente in ragione dell’intima connessione e da ricondurre al vizio di violazione di legge, in forza del principio secondo cui l’erronea intitolazione non osta alla sua sussunzione del motivo di ricorso per cassazione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, se, come nella specie, dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato (Cass. n. 26310 del 07/11/2017) – sono infondati in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, alla quale il collegio intende dare continuità (ex plurimis Cass. n. 9726 del 19/04/2018: “In tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la “ratio” della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte Cost. con sentenza del 14 luglio 2009, n. 214, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del cd. “servizio universale” postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore”);

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va complessivamente rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

in considerazione della statuizione di rigetto, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2020

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