Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13043 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13043 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: NUZZO LAURENZA

SENTENZA

sul ricorso 17298-2008 proposto da:
SPISSU

MIRELLA

SPSMLL37M69F933F,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 739, presso lo
studio dell’avvocato VANI DOMENICO, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente 49nchè contro

2014
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SEDDONE GIUSEPPINA;
– intimati –

Nonché da:
SEDDONE GIUSEPPINA SDDGPP36D53F979C, elettivamente

Data pubblicazione: 10/06/2014

domiciliata in ROMA, VIA ALBERTO CARONCINI 58, presso
lo

studio

dell’avvocato

rappresentata

e

difesa

MORABITO
dall’avvocato

BARBARA,
PIRARI

FRANCESCO;
C’ ArC – ricorrente incidentale I/

SPISSU

MIRELLA

SPSMLL37M69F933F,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 739, presso lo
studio dell’avvocato VANI DOMENICO, che la
rappresenta e difende;
– controricorrente all’incidentale avverso la sentenza n. 303/2007 della CORTE D’APPELLO hl CAcilAA/1.4
SEZ.DIST. DI di SASSARI, depositata il 17/05/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/03/2014 dal Consigliere Dott. LAURENZA
NUZZO;
udito l’Avvocato VANI Domenico, difensore della
ricorrente che si riportato alle difese depositate;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi.

V7

contro

Svolgimento del processo
Can atto di citazione del 9.4.1999 Spissu Mirella,titolare
di una ditta individuale, conveniva in giudizio, innanzi al

di aver affidato al geometra Giovanni Deiana e, dopo il
decesso dello stesso, alla di lui moglie, Seddone Giuseppina, le prestazioni relative ai pagamenti dell’IRPEF e
dell’INPS, la predisposizione delle buste paga del personale dipendente e la tenuta dei libri contabili, provvedendo al pagamento degli onorari professionali;
di essere venuta a conoscenza che la Seddone era priva
di qualsiasi titolo che la legittimasse a riscuotere onorari. Ne chiedeva, pertanto , la condanna alla restituzione
delle somme indebitamente percepite dal 1988 al 1998.
Costituitasi in giudizio la convenuta eccepiva la improponibilità dell’azione di indebito arricchimento, avendo
concluso con la controparte un contratto e, nel merito,
sosteneva di aver legittimamente svolto l’attività di “tributarista” regolarmente denunciata presso l’Ufficio IVA.
Con sentenza 29.4.2005 il Tribunale accoglieva la domanda attrice, dichiarando la nullità del contratto intercorso fra le parti, per avere le Seddone svolto prestazioni
in materia di lavoro e previdenza sociale, in difetto della
qualifica professionale richiesta dall’art. 1 L. n. 12/79 e
condannava la Seddone a restituire all’attrice la somma

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Tribunale di Nuoro, Seddone Giuseppina esponendo:

di € 48.891,65, oltre interessi legali.
Avverso tale decisione la Seddone proponeva appello cui
resisteva la Spissu. Con sentenza depositata il 17.5.2007

sentenza di primo grado, condannava l’appellante a restituire alla Spissu la minor somma di E 9.778,31, oltre interessi legali e compensava integralmente fra leparti le
spese del doppio grado di giudizio.
Osservava la Corte territoriale:la Seddone, in comparsa
di costituzione, aveva affermato di aver legittimamente
svolto, nella qualità di iiributarista”, l’attività professionale in questione e tale affermazione, pur non costituendo una vera confessione giudiziale, “rendeva il fatto pacifico, con ciò esonerando l’attrice dalla relativa prova”;
non vi era dubbio, inoltre, che l’appellante avesse provveduto “in totale autonomia alla redazione dei prospetti
di lavoro ed al calcolo dei contributi e dell’ammontare
delle buste-paga, senza svolgere tale incarico nei locali
della Spissu, ma, invece, nel proprio studio e senza procedere a tali operazioni sotto il diretto controllo della
medesima”; non era, però, condivisibile il criterio con
cui il primo giudice aveva determinato la somma da restituirsi,detraendo dal totale delle somme versate
all’appellante, quelle afferenti ai versamenti ed alle spese ed attribuendo tutta la differenza alla Spissu; doveva,

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la Corte d’Appello di Sassari, in parziale riforma della

invece, distinguersi l’attività rientrante nella competenza
di un professionista abilitato da quella costituente “normale attività lavorativa generica”( quale quella di ge-

da restituirsi poteva quantificarsi nel 20% di quella riconosciuta dal Tribunale , pari ad

e

9.778,31 oltre interes-

si, non potendosi esattamente determinare l’attività di
controllo della contabilità svolta in favore della Spissu
da quella di minor entità, richiedente uno specifico titolo
professionale, limitata alla predisposizione delle buste
paga e della speciale modulistica previdenziale.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso Spist„.“ZIt,
– motivi.
su Mirella formulando
Resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato a
due motivi Giuseppina Seddone.
La ricorrente, a sua volta, ha svolto controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
La ricorrente principale deduce:
1)nullítà della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2231-2233-2697 c.c. nonché dell’art. 1
L. n. 12/1979; insufficiente e contraddittoria motivazione; la Corte d’ Appello aveva ritenuto che gran parte
dell’opera svolta dalla Seddone fosse estranea alle specifiche attività previste dall’art. 1 della L. n. 12/79, pur

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stione, controllo e disbrigo pratiche ) sicché la somma

non avendo la stessa fornito la prova a suo carico sulla
misura dell’attività “non protetta”, non richiedente un titolo abilitativiZda lei svolta nell’ambito del mandato con-

Al riguardo viene formulato il quesito, ex art. 366 bis
c.p.c.: “se la Corte d’Appello, dopo aver dichiarato la
nullità del rapporto professionale per difetto
dell’appellante nell’iscrizione ad appositi) albo o elenco
previsto dalla legge come necessario(art. 1 L. 11.1.1979
n. 12, art. 2231 e 2233 cod. civ.) e riconosciuto il diritto
al pagamento dei compensi professionali per l’attività
non protetta pur in assenza di prova, ha erroneamente o
falsamente applicato l’art.2697 c.c. sia in ordine alla effettiva sussistenza delle prestazioni, sia in ordine alla
loro qualità e quantità”;
2)nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione degli artt.114 -118 c.p.c. e 112-118 co. 2 – 119 co.
4° norme di att.c.p.c., avendo la Corte di merito pronunciato secondo equità senza che le parti ne avessero fatto
concorde richiesta,omettendo di esporre le specifiche ragioni della decisione secondo equità e l’ indicazione nel
dispositivo della pronuncia della sentenza in tal modo;
3)vizio di motivazione e violazione degli artt. 113-114115-116 c.p.c. nonché degi artt. 2231-2697 c.c., avendo
il giudice di appello fatto ricorso alla liquidazione equi-

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feritole dalla Spissu.

tativa, omettendo di applicare le norme in tema di onere
probatorio, di motivare sulle prove acquisite ed in ordine
alla difficoltà di provare l’esistenza del rapporto profes-

Seddone ;
4) nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt.166-167 c.p.c. , per avere il giudice di
Appello accolto la domanda della Seddone senza che la
stessa avesse avanzato domanda riconvenzionale nei modi
e termini di cui agli artt. 166 e 167 c.p.c.
Con il ricorso incidentale la Seddone lamenta:
a)nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. art. 2697 c.c. e 116 c.p.c. nonché
dell’art.1 della L. 11.1.1979 n. 12; insufficiente e contraddittoria motivazione; viene, quindi, sottoposto a
questa Corte il quesito : “se la Corte d’Appello, dopo
aver dichiarato che l’ammissione fatta dalla signora
Giuseppina Seddone in comparsa, in mancanza da pa‘
di lei di ogni obiezione in merito allo svolgimento della *ività, di averla legittimamente svolta nella qualità
di “tributarista”, ha reso tale fatto come pacifico con
esonero dell’attrice dalla relativa prova, ha erroneamente o falsamente applicato l’art. 116 c.p.c. e 2696
c,c,”
-per aver ritenuto il contenuto di una comparsa ammis-

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sionale “non protetto” e l’entità delle somme dovute alla

sione sullo svolgimento di attività per le quali occorreva
l’abilitazione equiparando tale ammissione ad una confessione giudiziale, esonerando la Spissu dall’onere di

di attività rientranti nel disposto di cui all’art. 1 L. n.
12/1979;
b)la Corte di merito era incorsa nel vizio di motivazione laddove aveva asserito che ” nel caso di specie è
stata prestata attività di consulenza del lavoro ed I.V.A.,
per cui non è indispensabile l’iscrizione all’albo professionale dei ragionieri”, omettendo di precisare le prestazioni effettivamente prestate e le loro caratteristiche.
Il ricorso principale è infondato.
Il primo motivo, oltre ad essere carente di un’esposizione adeguata del momento di sintesi con riferimento al
vizio di motivazione, come previsto dall’art. 360 bis
c.p.c. ( applicabile nella specie ratione temporis), attiene
ad – una censura in fatto ‘guardante la individuazione
dell’attività”non protetta”; in ogni caso incombeva
all’attrice Spissu, che aveva agito ai sensi dell’art. 2033
c.c., l’onere della prova sul punto, posto che la dedotta
“confessione” non riguardava specificamente lo svolgimento di attività “protetta”, ma genericamente la prestazione lavorativa continuativa desunta dalla comparsa
di risposta.

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provare l’effettivo svolgimento, da parte della Seddone,

Prive di fondamento sono pure la seconda e la terza
doglianza, da esaminarsi congiuntamente in quanto evidentemente connesse. Va rilevato al riguardo che, in di-

dell’attività “protetta”, richiedente, cioè, l’iscrizione in
apposito albo professionale, il giudice di appello è ricorso, come si desume dalla motivazione, ad un calcolo
approssimativo e probabilistico, non potendosi presumere che tutto il lavoro svolto dalla Seddone fosse contra
legem. La sentenza impugnata ha, infatti, affermato che,
stante la prevalenza dello svolgimento di attività non
protetta espletata dalla Seddone ed avendo la stessa
percepito i compensi forfettariamente, appariva equo
limitare le somme da restituire ai venti per cento di
quelle riconosciute dal Tribunale, dovendosi discriminare
“rispetto all’attività svolta, quali atti afferissero alla
competenza di un professionista abilitato e quali, invece, alla normale attività generica” ( pag. 4 sent. imp.).
Tale liquidazione equitativa, rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, avendo detta motivazione
della decisione dato adeguatamente conto del processo
logico attraverso il quale si è pervenuti alla liquidazione stessa / né è ravvisabile un vizio di extrapetizione
per il ricorso al criterio equitativo, rientrando nel pote-

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fetto della prova concernente la esatta individuazione

re ufficioso del giudice l’esercizio di detto potere discrezionale, espressione del più generale potere di cui
all’art. 115 c.p.c. (V.Cass. n. 21103/2013; n. 4047/2013).

“quantum”dovuto si distingue,infatti, da quello di emettere la decisione secondo equità ex art. 114 c.p.c., ipotesi richiedente la concorde richiesta delle parti(Cass. n.
2148/2000; n. 21103/2013).
In ordine al quarto motivo si osserva che la Seddone, a
fronte della domanda attrice ex art. 2033 c.c. , in comparsa di risposta ha opposto non già una domanda riconvenzionale, ma un’eccezione in senso lato( non di compensazione ) sul quantum della pretesa attrice, che ha
comportato l’accoglimento parziale dell’appello con cui
si assumeva la non fondatezza della domanda di ripetizione d’indebito in relazione alla statuizione di primo
grado che aveva condannato la Seddone a restituire alla Spissu tutti i compensi ricevuti in considerazione della ritenuta nullità del contratto intercorso fra le parti.
Privo di fondamento è anche il ricorso incidentale.
In ordine alla censura sub a) vale quanto già rilevato
sul primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale.
La doglianza sub b) attiene ad una questione di fatto, non
censurabile in sede di legittimità, avendo la Corte di merito dato conto, con adeguata e corretta motivazione,

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Tale potere concernente, la determinazione del

della proporzione tra l’attività libera e quella protetta
posta in essere dalla Seddone, nell’impossibilità di pervenire ad un calcolo esatto delle stesse.

che quello incidentale.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza delle
parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta entrambi i ricorsi;
dichiara integralmente compensate fra le parti le spese
del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18 marzo 2014
Il Consigliere est.

In conclusione, deve rigettarsi sia il ricorso principale

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