Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13042 del 23/06/2016


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Cassazione civile sez. II, 23/06/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 23/06/2016), n.13042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30122-2011 proposto da:

DOMINA VACANZE SPA, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

MAINETTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANIA PATTARINI;

– ricorrente –

contro

A.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE

CARSO 23, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE BONO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2879/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 28/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato PATTARINI Stefania, difensore della ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso o

l’inammissibilità dello stesso in subordine.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

A.G. proponeva domanda nei confronti della Alaska S.r.l. (oggi Domina Vacanze S.p.a.) per sentir pronunciare la declaratoria di risoluzione ex artt. 1454 – 1353 c.c. della promittente venditrice società del contratto preliminare in data 16 agosto 1991 di vendita di una quota millesimale indivisa di un complesso a destinazione alberghiera in (OMISSIS) comportante l’annesso diritto di utilizzo turnario annuale di una suite, con condanna alla restituzione della somma pagata di Lire 339.290.000 da parte della convenuta società. Quest’ultima resisteva alla domanda attorea chiedendo in via riconvenzionale la condanna di controparte al pagamento delle spese di gestione dal 1994 al 1997 pari a Lire 6.140.000.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 3572/2000 rigettava entrambe le dette domande.

La suddetta prima decisione veniva integralmente confermata dalla sentenza della Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1457/2002.

Su ricorso dell’originario attore questa Corte, con sentenza n. 7273/2006 cassava con rinvio la succitata decisione della Corte distrettuale.

All’esito della riassunzione del giudizio, la Corte di Appello di Milano, con sentenza n. 2879/2010, dichiarava la risoluzione del citato contratto preliminare inter partes per inadempimento della società promittente venditrice, che condannava alla restituzione in favore del promittente acquirente della somma, versata a titolo di corrispettivo, di Euro 175.280,33, oltre interessi, nonchè al pagamento delle spese di lite.

Per la cassazione di tale ultima decisione della Corte territoriale ricorre la società Domina con atto affidato a quattro ordini di motivi.

Resiste con controricorso l’ A..

Nell’approssimarsi dell’udienza hanno deposito memorie, ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- La Corte deve, innanzitutto, procedere all’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta come in atti dalla parte contro ricorrente.

Quest’ultima adduce, a sostegno della sollevata eccezione, che la procura al difensore di parte ricorrente, apposta a margine del ricorso, è antecedente alla data apposta in calce al ricorso medesimo.

L’eccezione non è fondata.

Al riguardo non può che ribadirsi in questa sede il principio, già affermato da questa Corte, per cui “in tema di procura alle liti, ai fini del valido conferimento di questa a margine dell’atto produttivo del giudizio, non è necessario che detto conferimento sia contestuale o successivo alla redazione dell’atto, non essendo richiesta, a pena di nullità, la dimostrazione della volontà delle parti di fare proprio il contenuto del medesimo atto nel momento stesso della sua formazione ovvero ex post” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 6 novembre 2006, n. 23608).

E, ancora, va ribadito che “l’art. 83 c.p.c., comma 3, nell’attribuire la facoltà di apporre la procura in calce o margine di specifici e tipici atti del processo, fonda la presunzione che il mandato così conferito abbia effettiva attinenza al grado o alla fase del giudizio cui l’atto che lo contiene inerisce” (da ultimo:

Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 23 luglio 2015, n. 15538).

La sollevata eccezione va, pertanto, disattesa.

2.- Con il primo motivo del ricorso si deducono, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, i vizi di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. ovvero di omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in merito alla valutazione della gravità dell’inadempimento contestato.

Il motivo non può essere accolto.

Con lo stesso si formulano in modo promiscuo censure attinenti a violazione di legge ed a carenza motivazionale in modo di per sè inammissibile.

Al riguardo non può che riaffermarsi e ribadire il principio – già affermato da questa Corte – per cui “in tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile di ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale ed analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice di appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione fra loro.

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi di impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo in ammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 23 settembre 2011, n. 19443).

Ma il motivo qui in esame presenta un ulteriore profilo di inammissibilità.

La controversia, come innanzi accennato, risulta essere ripervenuta alla Corte distrettuale a seguito della citata sentenza di questa Corte n. 2879/2010.

Con tale decisione venivano accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso in allora proposto dall’appellante avverso la prima sentenza della Corte di Appello del 2002 confermativa della decisione del Tribunale di prima istanza del 2000.

Orbene per effetto dell’accoglimento dei (soli) detti motivi il giudizio di rinvio era circoscritto alla (sola) rivalutazione della questione relativa al mancato rispetto, ad opera della parte promittente venditrice del termine convenuto per la stipulazione del contratto per cui è causa, ed a quella concernente l’imputabilità dell’inadempimento.

Una volta così correttamente circoscritto l’ambito in cui poteva e doveva muoversi il giudizio di rinvio culminato con la sentenza oggi gravata, deve rilevarsi che la Corte del merito ha svolto correttamente la valutazione in ordine alla gravità dell’inadempimento denunciato.

In particolare l’impugnata sentenza, con congrua motivazione immune da vizi logici e facendo esatta applicazione delle norme di legge applicabili, ha ritenuto che “l’inadempimento della parte appellata non poteva non ritenersi grave quindi tale da legittimare la risoluzione del contratto”.

Il tutto in considerazione di due specifici e stimati motivi quali “il ritardo protrattosi per un tempo considerevole e comunque tale da superare ogni ragionevole limite” e la gravità del medesimo inadempimento.

Pertanto, perimetrato giustamente l’ambito del giudizio di rinvio e constata la correttezza della valutazione cui era chiamato, nell’ipotesi, il Giudice emerge in tutta la sua dimensione l’ulteriore e già accennato profilo di inammissibilità del motivo in esame, che – in buona sostanza – tende ad una rivalutazione in questa sede non più possibile di elementi di fatto.

Il motivo è, quindi, inammissibile.

3.- Con il secondo motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione dell’art. 1218 c.c. ed il vizio di motivazione in ordine all’imputabilità dell’inadempimento contestato.

Il motivo, al pari di quello innanzi trattato e per le medesime ragioni innanzi esposte, deve ritenersi inammissibile.

Al riguardo non può che ribadirsi quanto già innanzi esposto sub 2.

Con rifermento all’esito delle pregresse fasi del giudizio e dell’ambito entro poteva giudicare la Corte distrettuale.

Quest’ultima, in ogni caso, ha correttamente deciso in ordine alla questione della imputabilità dell’inadempimento (questione in ordine alla quale vi era stato l’accoglimento del relativo motivo nel primo giudizio innanzi a questa Corte).

In particolare la decisione gravata giustamente (anche sulla scorta del precedemte decisum di questa Corte) ha affermato che, a fronte dell’obbligazione principale dedotta in contratto consistente nel trasferimento del diritto reale all’acquirente con efficacia erga omnes, doveva qualificarsi come adempimento parziale un trasferimento con mera efficacia inter partes;

e che il carattere parziale di tale adempimento legittimava, quindi, il rifiuto del creditore ai sensi dell’art. 1181 c.c..

Parte ricorrente tende, quindi, col motivo qui in esame (ed attraverso la riprospettazione delle varie vicende di fatto) ad una rivalutazione – nel merito – della svolta valutazione della Corte territoriale oggi non più possibile.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

4.- Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1458, 2697, 1226 e 2727 c.c. in ordine alla domanda subordinata di essa parte convenuta di pagamento del corrispettivo per l’uso ed il godimento della cosa.

In proposito deve evidenziarsi che la gravata decisione ha correttamente rilevato come nel corso del giudizio non sia stato fornito alcun elemento atto a dimostrare la consistenza dell’equivalente pecuniario del godimento del bene.

Il mero rinvio, operato dalla parte oggi ricorrente in sede di merito, ad una liquidazione in via equitativa del suddetto godimento non poteva dar luogo ad un accoglimento, sotto tale profilo, dell’istanza.

Il ricorso alla valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. è infatti consentito solo ove non sia comprovabile dalla parte istante l’esatta entità della pretesa avanzata oppure quando tale dimostrazione sia oltremodo difficoltosa: nella concreta fattispecie non ricorreva nessuna delle due suddette circostanze abilitanti il ricorso alla valutazione equitativa.

Il motivo è, perciò, infondato e va, dunque, respinto.

5.- Con il quarto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione dell’art. 394 c.p.c. con riguardo alla declaratoria di inammissibilità dei documenti prodotti nel giudizio di rinvio. La documentazione cui fa rifermento il motivo e prodotta dopo la sentenza di annullamento di questa Corte si riferisce – in buona parte – ad atti temporalmente non successivi alla pronuncia e, pertanto, risulta – in punto – corretta la decisione della Corte territoriale.

In ogni caso va evidenziato che, in sede di giudizio di rinvio, l’ammissione di prove documentali è possibile solo ove le stesse rivestano un assoluto carattere di indispensabilità (Cass. n. 21587/2009) ed “un’influenza causa più incisiva rispetto a quelle delle prove sulle quali si era fondata la decisione impugnata” (Cass. n. 21980/2009).

Il motivo deve, pertanto, ritenersi infondato e va respinto.

6.- Il ricorso va rigettato.

7.- Le spese, come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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