Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13042 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 13042 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

equa riparazione

SENTENZA

sentenza con motivazione
semplificata

sul ricorso proposto da:
FIORENZA Giuseppe (FRN GPP 41H16 G543R), DI FEDE Giovanni
(DFD GNN 41T07 G273U), TORTORICI Pasquale (TRT PQL 43M10
L740M), FIORE Anna (FRI NNA 47L41 C286G), quale erede di
Firetto Calogero, BARBARO Gabriele (BRB GRL 73S03 G273C),
quale erede di De Fortis Giulia, CARTAINO Anna Maria (CRT
NMR 35P44 G273H), RAO CAMEMI Daniela (RCM DNL 62T61
4

G273U), RAO CAMEMI Viviana (RCM VVN 66L68 G273R),
GIAMMANCO Cosimo (GMM CSM 44A28 1407K), SAVOCA Concetta
(SVC CCT 45C48 C342U), GRECO Maria Gabriella (GRC MGB
72B65 G273Y), GRECO Salvatore Fabrizio (GRC SVT 63S22
Z103X), gli ultimi quattro nella qualità di eredi di Greco
Umberto, RAGUSA Giuseppe (RGS GPP 42L17 C968B), DI SALVO

Data pubblicazione: 10/06/2014

Marilena (DSL MLN 46L67 G273V), SARDINA Giovanni Battista
(SRD GNN 67S09 G273V), SARDINA Barbara (SRD BBR 71M52
G273V), SARDINA Massimo (SRD SMS 69 ° 05 G273F), gli ultimi
quattro nella qualità di eredi di Sardina Michele, FANADA

SVN 37D46 A390Y), LO PRESTI Ignazio (LPR GNZ 39A18 C341Y),
CICERO Vincenza (CCR VCN 31B50 E366W), FIORE Giuseppe (FRI
GPP 49560

F258M), rappresentati e difesi, per procura

speciale a

margine del ricorso, dall’Avvocato Isabella

Casales Mangano, con domicilio per legge presso la
Cancelleria civile della Corte di cassazione, piazza
Cavour;
– ricorrenti –

contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del
Ministro

pro

tempore,

rappresentato

e

difeso

dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici
in Roma,

via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato per

legge;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto della Corte d’appello di Caltanissetta
n. 597/2012, depositato in data 27 agosto 2012.
Udita

la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 16 gennaio 2014 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;

SCEK ALI’ Rosa (FND RSO 54P63 Z345C), MASONE Silvana (MSN

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto
dell’incidentale.
che, con ricorso depositato in data 20

dicembre 2010 presso la Corte d’appello di Caltanissetta,
Fiorenza Giuseppe, Giammanco Cosimo, Savoca Concetta,
Greco Maria Gabriella, Greco Salvatore Fabrizio, quali
eredi di Greco Umberto, Ragusa Giuseppe, Sardina Michele,
Chiantia Marcello, Grasso Giovanna, Calabretta Salvatore,
Purrello Carlo Francesco, Fanada Scek Alì Rosa, Masone
Silvana, Barbaro Gabriele, Firetto Calogero, Lo Presti
Ignazio, Di Fede Giovanni, Cartaino Anna Maria, Rao Camemi
Daniela, Rao Camemi Viviana, Rao Camemi Massimo, Cicero
Vincenza, Fiore Giuseppe, Tortorici Pasquale chiedevano la
condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al
pagamento del danno non patrimoniale derivato dalla
irragionevole durata di un giudizio iniziato, dinnanzi al
TAR per la Sicilia, sede di Palermo, con ricorso
depositato il 6 novembre 1997, ancora pendente alla data
del deposito della domanda di equa riparazione;
che l’adita Corte d’appello, rilevato che i ricorrenti
avevano presentato istanza di prelievo il 22 gennaio 2010,
riteneva che la domanda fosse improponibile per il periodo
tra il 25 giugno 2008, data di entrata in vigore dell’art.

Ritenuto

54 c11 deerato-legge n. 112 del

2008, oonvortito, con

modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, e la data dì
presentazione della istanza di prelievo;
che la Corte distrettuale riteneva quindi che il

circa, avesse avuto una durata irragionevole di sette anni
e sette mesi circa, e liquidava un indennizzo di euro
4.000,00, in favore di ciascun ricorrente (quanto agli
eredi di Greco Umberto da dividersi pro

quota),

ragguagliato al parametro riduttivo di euro 500,00 per
anno di ritardo, tenuto conto del lungo periodo in cui non
vi era stato impulso sollecitatorio di parte, e compensava
per due terzi le spese di giudizio in considerazione
dell’accoglimento solo parziale della domanda;
che per la cassazione di questo decreto i ricorrenti
in epigrafe indicati hanno proposto ricorso sulla base di
quattro motivi, illustrati da memoria;
che

l’intimato

Ministero

ha

resistito

con

controricorso e ha a sua volta proposto ricorso
incidentale.
Considerato

che il Collegio ha deliberato l’adozione

della motivazione semplificata nella redazione della
sentenza;
che con il primo motivo di ricorso principale
ricorrenti

denunciano violazione e falsa applicazione

giudizio presupposto, durato dieci anni e sette mesi

dell’art.

54 del decreto-legge n.

112 del 2008,

convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008, dolendosi del fatto che la corte d’appello abbia
detratto dal computo della durata del giudizio presupposto

vigore della citata disposizione (25 giugno 2008) e la
data di presentazione della istanza di prelievo;
che con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando
violazione e falsa applicazione dell’art. 6, par. l, della
CEDU e dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, si dolgono
che la Corte d’appello non abbia applicato i criteri di
liquidazione del danno adottati dalla Corte di Strasburgo,
nonché della insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto decisivo per il giudizio;
che, in particolare, i ricorrenti sostengono che, in
applicazione degli indicati criteri, la Corte d’appello
avrebbe dovuto riconoscere un indennizzo di 750,00 euro
per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per
ciascuno degli anni successivi;
che con il terzo motivo (violazione e falsa
applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc.
civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ.) ci si duole che la Corte d’appello abbia

5

il lasso di tempo intercorso tra la data di entrata in

compensato per i 2/3 le spese processuali, e ciò
nonostante che la riduzione della somma riconosciuta sia
dipesa dal fatto che la Corte d’appello ha applicato un
criterio riduttivo di liquidazione, mentre l’orientamento

senso che l’indennizzo dovesse essere rapportato a
1.000,00 euro per anno di ritardo;
che con il quarto motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 6, comma
l, della tariffa forense di cui al d.m. n. 127 del 2004,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc.
civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5,
cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la Corte
d’appello non abbia tenuto conto del valore della
controversia (88.000 euro, essendo ventidue le parti
ricorrenti), sicché il compenso dovuto era pari a euro
865,00 per diritti ed euro 1.390,00 per onorari, laddove
la Corte d’appello ha liquidato euro 1.086,63, di cui euro
100,00 per spese, euro 577 per diritti ed euro 300,00 per
onorari, oltre spese generali e accessori di legge;
che con il ricorso incidentale l’Amministrazione
controricorrente denuncia violazione dell’art. 2 della
legge n. 89 del 2001, come modificato dall’art. 54 d.l. n.
112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge

prevalente della giurisprudenza di legittimità era nel

n. 133 del 2008, nel testo risultante dalle ulteriori
modificazioni introdotte dall’art. 3, comma 23,
dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010, dolendosi del
fatto che la Corte d’appello non abbia dichiarato

amministrativo presupposto era, alla data del 16 settembre
2010, ancora pendente e i ricorrenti non avevano
depositato in detto giudizio istanza di prelievo;
che l’unico motivo del ricorso incidentale, che per
ragioni di ordine logico deve essere esaminato per primo,
è inammissibile, atteso che dal decreto impugnato risulta
positivamente affermato che i ricorrenti hanno depositato
istanza di prelievo nel giudizio presupposto il 22 gennaio
2010, sicché il motivo denuncia un vizio revocatorio,
essendo formulato sull’assunto, erroneo, che la detta
istanza non fosse stata ancora presentata alla data del 16
settembre 2010 e prima della proposizione della domanda di
equa riparazione;
che è fondato il primo motivo del ricorso principale,
poiché, se è vero che la presentazione della istanza di
prelievo costituisce condizione di proponibilità della
domanda di equa riparazione in relazione ai giudizi
amministrativi, non può non rilevarsi che una volta
rimosso l’ostacolo con la tempestiva presentazione della
istanza di prelievo la domanda diventa proponibile senza

improponibile la domanda atteso che il giudizio

che possa espungersi dalla durata del giudizio presupposto
il segmento temporale intercorso tra il 25 giugno 2008 e
la data di presentazione della istanza di prelievo;
che il secondo motivo del ricorso principale è

che infatti, se è vero che il giudice nazionale deve,
in linea di principio, uniformarsi ai criteri di
liquidazione elaborati dalla Corte Europea dei diritti
dell’uomo (secondo cui, data l’esigenza di garantire che
la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non
indebitamente lucrativa, la quantificazione del danno non
patrimoniale dev’essere, di regola, non inferiore a euro
750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre
anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a
euro 1.000,00 per quelli successivi), permane tuttavia, in
capo allo stesso giudice, il potere di discostarsene, in
misura ragionevole, qualora, avuto riguardo alle
peculiarità della singola fattispecie, ravvisi elementi
concreti di positiva smentita di detti criteri, dei quali
deve dar conto in motivazione (Cass. 18617 del 2010; Cass.
17922 del 2010);
che, nella specie, la Corte d’appello ha motivato lo
scostamento dagli ordinari criteri di determinazione
dell’indennizzo facendo riferimento al lungo periodo in

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infondato;

cui non vi è stato alcun impulso sollecitatorio di parte,
risalendo l’ultima istanza di prelievo al 2002;
che trattasi di motivazione adeguata, rispetto alla
quale le deduzioni dei ricorrenti non appaiono idonee ad

nei limiti in cui tale tipo di vizio è prospettabile ai
sensi del nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ.;
che va poi ricordato che, in applicazione dei criteri
elaborati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
(decisioni Volta et autres c. Italia,
Falco et autres c. Italia,

del 16 marzo 2010 e

del 6 aprile 2010) e recepiti

dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18 giugno
2010, n. 14753; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3271; Cass.,
13 aprile 2012, n. 5914), relativamente a giudizi
amministrativi protrattisi per oltre dieci anni, questa
Corte è solita liquidare un indennizzo che rapportato su
base annua corrisponde a circa 500,00 euro per la durata
del giudizio;
che tale approdo consente di escludere che un
indennizzo di 500,00 euro per anno di ritardo possa essere
di per sé considerato irragionevole e quindi lesivo
dell’adeguato ristoro che la giurisprudenza della Corte
europea intende assicurare in relazione alla violazione
del termine di durata ragionevole del processo;

evidenziare vizi di violazione di legge o di motivazione,

che il terzo motivo del ricorso principale è fondato;
che non v’è dubbio che la nozione di soccombenza
reciproca, che consente la compensazione parziale o totale
tra le parti delle spese processuali (art. 92, secondo

parziale dell’unica domanda proposta, quando la parzialità
dell’accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi
una domanda articolata in un unico capo (Cass., Sez. III,
21 ottobre 2009, n. 22381);
che, tuttavia, la motivazione alla base della disposta
compensazione per i 2/3 delle spese di lite si appalesa
priva di logica ragionevolezza, posto che nella specie non
vi è stato alcun rilevante scarto (Cass., Sez. VI-1, 17
giugno 2012, n. 617) tra l’importo richiesto dalla parte
istante e quello riconosciuto dalla Corte territoriale;
che, inoltre, l’ampiezza della dichiarata
compensazione – tra l’altro di gran lunga eccedente il
divario percentuale sussistente tra l’indennizzo domandato
(pari ad euro 1.000,00 per anno di ritardo, quindi entro i
limiti dei parametri CEDU applicati dalla giurisprudenza
di questa Corte) e quello liquidato – finisce con il
risolversi nella sostanziale vanificazione della
soccombenza dell’Amministrazione convenuta, che, invece,
deve essere adeguatamente riconosciuta anche sotto il

comma, cod. proc. civ.), comprende anche l’accoglimento

profilo della suddivisione del carico delle spese per non
rendere vuota la tutela accordata;
che anche il quarto motivo di ricorso principale è
fondato, atteso che la liquidazione delle spese di lite è

ai minimi tariffari di cui al d.m. n. 127 del 2004,
applicabili nel caso di specie, atteso che l’attività del
difensore si è esaurita con la discussione della causa
all’udienza del 18 giugno 2012, e quindi prima della
abrogazione dei minimi tariffari per effetto dell’art. 9
del decreto legge n. l del 2012 e del d.m. n. 140 del
2012, entrato in vigore il 23 agosto 2012;
che, tuttavia, pur applicandosi il detto decreto
ministeriale del 2004, non può non rilevarsi che la
controversia in esame non presentava particolari profili
di complessità e che le posizioni processuali delle parti
erano del tutto coincidenti;
che dunque, in accoglimento del primo, del terzo e del
quarto motivo del ricorso principale, il decreto impugnato
deve essere cassato;
che, peraltro, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel
merito ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ.;
che, quanto all’indennizzo spettante ai ricorrenti,
questo deve essere determinato in euro 5.050,00, dovendosi

stata effettuata dalla Corte d’appello in misura inferiore

individuare

la

durata

complessiva

del

giudizio

presupposto, alla data di proposizione della domanda di
equa riparazione, in tredici anni e un mese (dal 6
novembre 1997 al 20 dicembre 2010) e la durata

mese, facendo applicazione del criterio già adottato dalla
Corte d’appello con valutazione risultata immune dalle
proposte censure;
che può altresì procedersi alla determinazione delle
spese, avuto riguardo al valore della controversia quale
risultante dal

decisum e

alla identità delle posizioni

delle diverse parti del giudizio.
che, quanto alle spese del giudizio di legittimità, il
Collegio ritiene che, in considerazione del parziale
accoglimento del ricorso, le stesse, liquidate come da
dispositivo, possano essere compensate per metà;
che le spese, come liquidate, vanno distratte in
favore dell’Avvocato Isabella Casales Mangano,
dichiaratasi antistataria.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso incidentale e il primo
motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, il
terzo e il quarto motivo di tale ricorso; cassa il decreto
impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo
nel merito, condanna il Ministero dell’economia e delle

irragionevole, detratto il triennio, in dieci anni e un

finanze al pagamento, in favore di ciascuno dei
ricorrenti, della somma di euro 5.050,00 (quanto agli
eredi di Greco Umberto, da dividersi

pro quota),

oltre

agli interessi legali dalla data della domanda al saldo;

finanze al pagamento delle spese del giudizio di merito,
liquidate in complessivi euro 2.240,00, di cui euro 100,00
per esborsi, euro 865,00 per diritti ed euro 1.275,00 per
onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di
legge, e al pagamento di metà delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida, per l’intero, in euro 1.013,00,
oltre ad euro 100,00 per esborsi e agli accessori di
legge. Dispone la distrazione delle spese del giudizio in
favore dell’Avvocato Isabella Casales Mangano,
dichiaratasi antistataria.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione,
il 16 gennaio 2044.

condanna altresì il Ministero dell’economia e delle

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