Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13040 del 23/06/2016
Cassazione civile sez. II, 23/06/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 23/06/2016), n.13040
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 30645-2011 proposto da:
D.M.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA G. FERRARI, 11, presso lo studio dell’avvocato
MASSIMO VALENZA, rappresentato e difeso dall’avvocato MATTIA
CALLEGARO;
– ricorrente –
contro
SINA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, V. degli SCIPIONI
157, presso lo studio dell’avvocato ENRICO DE CRFSCENZO,
rappresentato e difeso dall’avvocato GIORGIO REGOLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 933/2010 del TRIBUNALE di PORDENONE,
depositata il 09/11/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/04/2016 dal Consigliere Dotta ANTONIO ORICCHIO;
udito l’Avvocato Stefano VALENZA, con delega depositata in udienza
dell’Avvocato CALLEGARO Mattia, difensore del ricorrente;
udito l’Avvocato MANNIAS Itala, con delega depositata in udienza
dell’Avvocato PEGOLO Giorgio, difensore del resistente che ha
chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott. DE
RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza n. 933/2010 il Tribunale di Pordenone, in finzione di Giudice di appello, rigettava il gravame interposto da D.M. M. avverso la decisione del Giudice di Pace di quella stessa città n. 548/2009.
La controversia traeva origine dalla domanda formulata dal D. M. per sentir accertare come legittimo il proprio esercitato diritto di recesso ex art. 1385 c.c. dal contratto di pennuta inter partes con consequenziale condanna della convenuta SINA S.p.a. al pagamento della somma di Euro mille pari alla differenza fra l’importo corrispondente alla caparra confirmatoria e l’importo di euro mille già restituito dalla medesima società.
In entrambi i primi due gradi del giudizio veniva, in sostanza, affermata l’infondatezza della domanda attorea in quanto la somma versata dal D.M. aveva natura di cauzione e non di caparra.
Per la cassazione della citata sentenza del tribunale ricorre il D. M. con atto affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la parte intimata.
Ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la parte ricorrente.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, della sentenza gravata.
Con il motivo si intende, nella sostanza, censurare il fatto che “la sentenza di secondo grado entra nel merito dell’interpretazione del contratto per cui è causa, nonostante lamenti di non aver potuto esaminare il documento (costituto dal contratto medesimo)”.
Il motivo non può essere accolto.
Con lo stesso si tenta di utilizzare – al fine di lederne la validità – una affermazione riportata nella sentenza di appello (“…l’appellante risulta non aver depositato nè la comparsa nè il proprio fascicolo di parte pur ritirato…con la conseguenza di non permetterne l’esame della documentazione” al fine di sostenere un non compiuto esame del dell’asserito fatto decisivo costituito dalle clausole contrattuali non compiutamente (secondo la prospettazione di parte ricorrente) esaminate e motivate nel loro contenuto.
Senonchè (una volta così ricostruito il senso della censura) deve osservarsi quanto segue.
La mancanza, per smarrimento o inserimento in altra procedura del fascicolo di parte (come da prodotte dichiarazioni della cancelleria del Tribunale di Pordenone), non ostava alla decisione – da parte del Giudice di appello – della controversia. Nè dalla detta mancanza deriva ipso facto – come intenderebbe far ritenere parte ricorrente –
la fondatezza della svolta censura in esame.
Il Tribunale, sulla scorta di quanto già risultava dagli atti di causa disponibili, ha deciso con congrua motivazione la controversia ed, in particolare, si è pronunciato con correttezza sulla interpretazione delle clausole contrattuali (questione, fra l’altro, concernente profilo di merito non più sindacabile in questa sede).
Per di più la censura, arsi come svolta, attinge più alla citata circostanza del fascicolo di parte che, in effetti (e come dovevasi) alla questione stessa dell’interpretazione delle clausole. Peraltro, ancora, deve evidenziarsi che in secondo grado la decisione – in punto – è stata assunta con conferma di quanto ritenuto dal Giudice di prime cure (che aveva già esaminato la documentazione contrattuale) riaffermando “la natura, anche sostanziale, del deposito cauzionale indicato in contratto”.
Il motivo, in quanto non fondato, va – dunque – respinto.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio, ex art. 360 c.p.c., n. 3, di violazione dell’art. 1385 c.c., nonchè di carenza motivazionale perchè il contenuto del contratto faceva intendere che le somme date erano a titolo di caparra confirmatoria.
La decisione oggi impugnata innanzi a questa Corte ha ribadito quanto aveva già ritenuto il Giudice di prime cure ovvero che si era, nella fattispecie, al cospetto di un deposito cauzionale e nio di una caparra.
Per di più è stata evidenziata anche l’inesistenza di elementi ostativi alla identificazione della funzione cauzionale rivestita dal detto deposito.
La decisione di merito gravata ha, quindi, correttamente espletato la propria funzione valutando la ricorrenza nell’ipotesi di un deposito cauzionale fra l’altro così giustamente valutando la stessa volontà contrattuale delle parti laddove queste avevano espressamente assegnato alla somma versata e per cui si controverte (Euro mille) la specifica funzione di “garanzia dell’esatto adempimento” e non già, quindi, di un corrispettivo del diritto di recesso.
Il motivo, in quanto infondato, non può, pertanto, essere accolto.
3.- Il ricorso deve, dunque, essere rigettato.
4.- le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.
PQM
FATTO E DIRITTO
LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della parte contro ricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 1.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 aprile 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016