Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1304 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 740/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

S.L., con gli avvocati Alberto Muschitiello e

Nicolantonio Depalo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.

Lucio Marziale in Roma, alla via Mirandola n. 23;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Puglia – Bari n. 102/09/12 pronunciata l’01 ottobre 2012 e

depositata il 14 novembre 2012, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1. La contribuente alienava la quota di proprietà (11/72) di un’area edificabile per il corrispettivo dichiarato di Euro 305.000,00. L’atto di compravendita, sottoscritto in data 19 gennaio 2001, veniva registrato presso l’Ufficio di (OMISSIS) in data (OMISSIS). L’Ufficio di (OMISSIS), per competenza, notificava alla contribuente un questionario, volto a verificare la plusvalenza o reddito diverso conseguito per effetto della predetta cessione a titolo oneroso. Il questionario veniva riscontrato dalla contribuente.

1.1 L’Ufficio notificava così, per l’anno d’imposta 2001, un avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero a tassazione della plusvalenza realizzata ai sensi degli art. 67 e 68 TUIR, (ora artt. 81 e 82). Segnatamente, detta plusvalenza era stata calcolata avendo come parametro di riferimento non tanto il valore di mercato quanto il valore di vendita del suolo edificabile rettificato ai fini dell’imposta di registro in Euro 470.800,00, e così definitivamente accertato nei confronti della società che aveva acquistato le quote dell’immobile. In sostanza, l’Ufficio rideterminava la plusvalenza a carico della contribuente-alienante sulla scorta del valore dell’immobile rettificato nei confronti dell’acquirente ai fini dell’imposta di registro.

1.2 A seguire, e in parziale autotutela del proprio operato, rideterminava nella misura del 100% della maggiore imposta accertata le sanzioni inizialmente irrogate nella misura del 120%.

2. La contribuente adiva pertanto la CTP, censurando la quantificazione operata dall’Ufficio nella parte in cui aveva calcolato la plusvalenza sul valore rettificato ai fini dell’imposta di registro piuttosto che sul valore dichiarato al momento della stipula dell’atto di rogito. Sottolineava che l’importo rettificato era stato “definito” solo dalla parte acquirente e non dalla parte alienante.

2.1. Si costituiva l’Amministrazione finanziaria richiamando l’orientamento di questa Corte secondo cui sarebbe ammessa la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato accertato in definitiva in sede di registro ai sensi dell’art. 81 TUIR, comma 1, lett. b), e il prezzo incassato. Circa la circostanza che il prezzo rettificato era stato definito dal solo acquirente, l’Ufficio rilevava che l’avviso di liquidazione ai fini dell’imposta era stato notificato ad entrambi e quindi anche alla contribuente.

3. La CTP accoglieva il ricorso affermando che ai fini della determinazione delle imposte sui redditi rilevano quelli percepiti, non potendo avvallarsi una quantificazione eseguita un valore rettificato ma non incassato.

4. Insorgeva con ricorso in appello l’Amministrazione finanziaria, censurando la sentenza sia per motivazione insufficiente in relazione agli elementi gravi, precisi e concordanti posti a base dell’accertamento, sia per violazione degli artt. 67 e 68, per aver erroneamente i giudici stabilito di non poter quantificare la plusvalenza sul valore rettificato dell’immobile. E ciò giacchè il valore della cessione, rettificato ai fini dell’imposta di registro, doveva ritenersi coincidente con il corrispettivo che poteva essere conseguito con la cessione. In via subordinata chiedeva che fosse dichiarato legittimo l’avviso di accertamento nei limiti del corrispettivo dichiarato nella vendita, pari ad Euro 305.000,00 oltre interessi e sanzioni.

4.1. Replicava la contribuente rilevando, oltre alla congruità della motivazione, anche la correttezza della decisione impugnata laddove aveva osservato che la plusvalenza rilevante ai fini dei redditi doveva essere calcolata sul corrispettivo dichiarato e incassato.

5. La CTR respingeva l’appello precisando che se era corretto il computo dell’imposta di registro sul valore rettificato in quanto corrispondente al valore di mercato, non era invece corretto determinare la plusvalenza su detto valore, dovendo invece guardare al corrispettivo incassato. Rilevava la differenza dei presupposti della tassazione ai fini dell’imposta di registro, la cui base imponibile era costituita dal valore venale del bene indipendentemente dal prezzo pagato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51 e 52, rispetto a quelli previsti per la determinazione dell’imposta sui redditi, la cui base imponibile era invece costituita dalla plusvalenza tra il prezzo di acquisto e il corrispettivo percepito per effetto della vendita ai sensi degli art. 67 e 68 TUIR. Respingeva altresì la domanda svolta in via subordinata.

Insorge con ricorso per cassazione l’Avvocatura dello Stato che svolge due motivi di ricorso, cui resiste la contribuente con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio denunzia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67 T.U.I.R., comma 1, lett. b), e art. 68 T.U.I.R., del nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1 L’Amministrazione finanziaria afferma, in buona sostanza, che la plusvalenza deve essere determinata sulla base del valore definito in sede di applicazione dell’imposta di registro, concretando questo un precedente accertamento rispetto al quale anche l’Ufficio ha l’obbligo di adeguarsi per l’applicazione di altri tributi. Deduce ancora che l’Ufficio può avvalersi della presunzione di corrispondenza tra il prezzo incassato e il valor di mercato accertato in sede di applicazione dell’imposta di registro, residuando in capo al contribuente l’onere di dimostrare di aver riscosso un importo inferiore.

Il motivo è infondato.

2. Occorre premettere che nelle more del giudizio è stato approvato il D.Lgs. n. 147 del 2015, il quale, all’art. 5, comma 3, stabilisce che “il testo unico delle imposte sui redditi, artt. 58, 68, 85 e 86, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il D.P.R. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonchè per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347”. In buona sostanza la norma deve essere interpretata nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende e per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato accertato (con rettifica operata motu proprio dall’Ufficio) a fini dell’imposta di registro di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale.

2.1 Peraltro, la disposizione in commento deve essere qualificata come norma interpretativa sicchè essa può ritenersi applicabile anche ai giudizi in corso quale è quello odierno, tenuto conto che, come affermato dalla Corte Cost. n. 246 del 1992, il carattere retroattivo costituisce elemento connaturale alle leggi interpretative in conformità anche ai recenti arresti di questa Corte (Cass. n. 24857/2016; Cass. n. 7488/2016; Cass. n. 6135/2016).

Il motivo è pertanto infondato.

3. Con il secondo motivo la parte ricorrente contesta la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, e dell’art. 345 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 112 e 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

3.1. Segnatamente l’Amministrazione finanziaria lamenta la statuizione di rigetto, da parte del Collegio di secondo grado, sulla domanda svolta in via subordinata e tesa a consentire la tassazione sul corrispettivo dichiarato di Euro 305.000,00. Afferma, in particolare, che la CTR aveva errato nel qualificarla come una domanda nuova, perchè proposta per la prima volta in appello e quindi inammissibile, in considerazione del fatto di aver chiesto, in primo grado, la mera conferma dell’avviso di accertamento. Ne sarebbe prova, a detta dell’appellante, la stessa decisione della CTP nella parte in cui aveva stabilito che la plusvalenza doveva determinarsi sulla base della differenza tra il corrispettivo pattuito (di 305.000,00) e il valore iniziale: il fatto che la CTP non avesse determinato essa stessa la plusvalenza aveva fatto sorgere il diritto e il dovere, in capo alla soccombente, di svolgere il motivo di appello.

Il motivo è infondato.

3.2. La stessa ricorrente riconosce di aver chiesto, in primo grado, la mera conferma dell’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio. La circostanza che la CTP abbia omesso, di statuire sulla domanda non legittima la parte a formulare una domanda nuova in appello, pena la violazione dell’art. n. 546 del 1992, art. 57. Tutt’al più tale circostanza costituisce il presupposto per contestare la decisione impugnata sotto il profilo dell’art. 112 c.p.c., ossia per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Doglianza che però l’Ufficio non ha svolto avanti al Giudice d’Appello.

Il motivo è pertanto infondato e il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite a favore della sig.ra S.L. che liquida in Euro duemilatrecento/00, oltre ad Euro 200 per esborsi, rimborso nella misura forfettaria del 15%, Iva e Cpa come per legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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