Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1304 del 18/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/01/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 18/01/2019), n.1304

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15896-2011 proposto da:

BANCA FIDEURAM SPA in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA D’ARACOELI 1, presso lo

studio dell’avvocato GUGLIELMO MAISTO, che lo rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 300/2010 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 24/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/12/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato PARONI PINI per delega

dell’Avvocato MAISTO che si riporta agli atti; udito per il

controricorrente l’Avvocato DETTORI che ha chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Banca Fideuram s.p.a. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 300/14/2010, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio il 24.05.2010, con la quale, rigettando l’appello della società, era confermato l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla società l’indebita deduzione di costi per complessivi Euro 15.095.755,00 e liquidato per l’anno d’imposta 2003 Euro 5.132.557,00 a titolo di Irpeg, Euro 792.527,00 a titolo di Irap, oltre sanzioni e interessi.

Ha rappresentato che l’atto impositivo, originato da una verifica eseguita dalla GdF, prospettava l’errata identificazione dell’esercizio di competenza in cui dichiarare i costi sostenuti per la attuazione, nel 2002, di piani di incentivazione predisposti in favore dei propri promotori finanziari, denominati “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”.

La società si era opposta all’avviso di accertamento, rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Roma con sentenza n. 167/02/2008 e dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, con la sentenza ora impugnata.

La Fideuram censura con sette motivi la pronuncia del giudice regionale:

con il primo per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver pronunciato ultra petita poichè la contestazione della Agenzia riguardava l’erronea individuazione dell’esercizio di competenza e la sussistenza dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all’art. 109 TUIR, laddove la decisione era stata fondata sulla presunta mancata prova del sostenimento dei costi, mai messi in discussione;

con il secondo per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver argomentato sulla avvenuta archiviazione della notizia di reato, iscritta a seguito della denuncia dei militari accertatori;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver erroneamente interpretato i concetti di certezza e definitività del costo, applicando erroneamente il principio di cassa e non di competenza al caso de quo;

con il quarto per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla contraria soluzione adottata dal giudice regionale rispetto alla immediata deducibilità dei costi, ammortizzati in dieci anni, sostenuti relativamente ai premi fedeltà, ancorati a presupposti già riconoscibili in capo ai dipendenti e sottoposti solo a condizioni risolutive e non sospensive;

con il quinto motivo per insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per la decisione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’apodittica affermazione della scorretta modalità di contabilizzazione dei costi;

con il sesto per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, per non aver dichiarato inapplicabili le sanzioni tributarie previste dall’art. 8 cit.;

con il settimo per violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea quantificazione delle spese liquidate.

Chiedeva pertanto la cassazione della sentenza, con ogni conseguente decisione. Si costituiva l’Amministrazione, che contestava il ricorso avverso per inammissibilità o infondateiza dei motivi.

All’udienza pubblica dell’11 dicembre 2018, dopo la discussione, le parti presenti e il P.G. concludevano e la causa era riservata per la decisione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve premettersi che oggetto della controversia sono i costi dedotti dalla società, sostenuti per finanziare due piani di incentivazione dei propri promotori finanziari, varati nel 2002 e denominati “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”. Con il primo era riconosciuto il diritto ad un premio investito in prodotti previdenziali/assicurativi, calcolato in percentuale sul portafoglio del promotore secondo scaglioni predeterminati. Era destinato ai promotori che al 31.12.2002 avessero in gestione un portafoglio clienti di almeno Euro 15.000.000,00; la materiale erogazione era differita al 31.12.2012 o alla data più prossima in cui il promotore raggiungeva l’età pensionabile; era previsto che l’incentivo non spettasse più qualora il promotore: a) non desse preavviso di recesso dal contratto dodici mesi prima, b) non si cancellasse dall’albo dei promotori entro tre mesi dalla cessazione del rapporto con la Società; c) esercitasse nei successivi ventiquattro mesi una attività concorrenziale nei confronti della Società.

Il debito riferito al piano complessivo, pari ad oltre Euro 120.000.000,00, era iscritto a bilancio alla voce debitoria “Altre passività-debiti Vs private bankers”. Del costo sostenuto la Fideuram deduceva nel 2003 la quota di 1/10, corrispondente nel primo anno ad Euro 13.110.206.

Con il secondo si riconosceva un premio in favore del promotore che raggiungeva alla fine di ciascun anno gli obiettivi preventivamente fissati dalla società all’inizio del medesimo anno. Anche in questo la riscossione era differita al raggiungimento di una specifica anzianità di servizio. Esso veniva meno al verificarsi di talune circostanze, quali il mancato rispetto, al momento della risoluzione del rapporto, dell’obbligo di non concorrenza, nonchè dell’obbligo di cancellazione dall’albo dei promotori entro tre mesi dalla cessazione del rapporto con la società. I costi, imputati in ragione degli obiettivi raggiunti dai promotori secondo quanto fissato all’inizio di ciascun esercizio, erano ammontati nel 2003 ad Euro 1.939.804,00.

L’Amministrazione recuperava i costi negando la loro attualità per essere esborsi subordinati al verificarsi di determinate condizioni, accertabili solo a fine 2014, sicchè la loro deduzione violava i criteri della competenza ratione temporis disciplinata dall’art. 75 TUIR (ora dall’art. 109 TUIR).

Ciò chiarito, è infondato il primo motivo di ricorso, con il quale la contribuente lamenta che erroneamente il giudice regionale ha motivato il rigetto sostenendo la mancanza di prova della effettività del costo sostenuto, con ciò decidendo ultra petita. Nell’avviso di accertamento, sostiene la contribuente, non si contestava la mancata sopportazione del costo, riconosciuta anzi nell’avviso di accertamento, ma si contestava la sua erronea imputazione in violazione del criterio di competenza. Il motivo non coglie nel segno per essere la decisione impugnata basata su di un duplice ordine di ragioni, ciascuno di per sè idoneo a sorreggerla: il primo relativo alla valutazione della scorrettezza della contabilizzazione di costi non ancora certi per la molteplicità delle condizioni cui era subordinata l’erogazione del premio ai promotori al termine del rapporto lavorativo, il secondo all’effettivo sostenimento dei costi. Il primo ordine di ragioni trattato in sentenza era pertinente alle contestazioni mosse dalla Amministrazione, sicchè ciò è sufficiente a negare la nullità della sentenza per decisione ultra petita.

E’ infondato anche il secondo, con il quale si lamenta che la Commissione regionale avrebbe omesso la motivazione sulla questione, pur evidenziata dalla contribuente nei propri atti difensivi, che la denuncia penale scaturita dalla medesima verifica si era rivelata del tutto infondata, con richiesta di archiviazione e decreto di archiviazione. Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo. Con esso ci si duole di un vizio motivazionale mentre si denuncia un vizio processuale; nè il tenore del motivo può indurre al suo recupero sotto l’epigrafe dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, mancando dell’error in procedendo sia la prospettazione argomentativa sia anche la semplice invocazione della nullità della sentenza. Inoltre la ricorrente, violando il principio di autosufficienza, non riproduce il decreto di archiviazione, salvo un passaggio del tutto ininfluente, la cui motivazione era preliminarmente essenziale per valutare in che termini, a fronte delle questioni discusse nel presente giudizio, le sorti del procedimento penale potevano essere utili alla decisione del giudice d’appello.

Il terzo motivo è invece fondato e trova accoglimento.

Il giudice regionale, concordando con la tesi della Amministrazione, ha affermato che i costi non erano certi nè determinati, sulla base di una mera operazione matematica, mancando la certezza dell’effettivo esborso, in ragione della molteplicità delle condizioni previste dal regolamento disciplinante l’attribuzione degli incentivi e delle cause di esclusione.

Dalla descrizione dei piani di incentivazione dei promotori finanziari, emergente dagli atti difensivi e mai oggetto di contestazione, si trattava di tipici trattamenti volti alla fidelizzazione del promotore. Con il primo si assicurava ai promotori che, alla data del 31.12.2002 si fossero trovati nel possesso di specifici presupposti (età non ancora pensionabile, portafoglio clienti superiore ad Euro 15.000.000,00), la fruizione di un premio investito in prodotti previdenziali/assicurativi; con il secondo era assicurato un premio a chi raggiungesse gli obiettivi prefissati all’inizio di ogni anno, anch’esso differito al momento della cessazione del rapporto. Il regolamento di acquisizione dei benefici integrativi prevedeva condizioni, al verificarsi delle quali gli stessi venivano meno.

E’ altrettanto pacifico, perchè non contestato e comunque emergente anche dall’avviso di accertamentò, riportato nel ricorso per il passaggio qui di interesse, nel rispetto del principio di autosufficienza, che la Banca Fideuram spa effettuò un versamento con bonifico in favore della Fideuram Vita per il pagamento del premio unico di Euro 119.187.342,09 per la costituzione delle polizze collettive.

Ebbene, i criteri di determinazione del costo sono oggettivi, così come la certezza del costo emerge sia in riferimento ai versamenti già eseguiti con il premio unico per il piano “(OMISSIS)”, sia con riguardo agli importi annualmente imputati a conto economico, relativi al piano “(OMISSIS)”.

Ne consegue che sulla loro inerenza all’attività della società non possono formularsi dubbi, così come, tenuto conto dei principi di contabilità e del criterio della competenza ai sensi dell’allora vigente art. 75 TUIR (ora art. 109), non può mettersi in dubbio la correttezza della appostazione in bilancio tra i costi di una quota del 10% per il versamento in unica soluzione relativo al primo piano di incentivazione e dell’intero costo annualmente sopportato per il secondo.

D’altronde, premesso che questa tipologia di fondi, per natura e finalità cui sono destinati, può trovare sistemazione nella categoria generale dei fondi “per rischi e oneri”, esposti nel passivo dello stato patrimoniale ex art. 2424 c.c.(comprensivi di quelli per trattamento di quiescenza ed obblighi simili, tra cui si rinvengono appunto i “fondi di indennità per cessazione di rapporti di agenzia, rappresentanza, ecc., i fondi di indennità suppletiva di clientela, i fondi per premi di fedeltà riconosciuti ai dipendenti” secondo la classificazione prevista nel principio contabile OIC 19), nella giurisprudenza di questa Corte vi è sempre maggiore consapevolezza che per essi la previsione, regolamentata, di condizioni al cui verificarsi segua la perdita del trattamento premiale differito alla cessazione del rapporto non esclude la deducibilità dei relativi accantonamenti secondo il principio di competenza (cfr. Cass., sent. n. 7340/2008 in riferimento ai cd. premi fedeltà; Cass., sent. n. 26534/2014 e ord. n. 19620/2018). Può a tal fine affermarsi l’irrilevanza della aleatorietà della percezione del trattamento integrativo premiale, che certo non incide sulla natura delle condizioni al cui verificarsi il beneficio può andare perduto, le quali restano risolutive e non sospensive.

Nel caso specifico trattasi di un meccanismo di fidelizzazione del promotore, in possesso sin dall’origine di taluni requisiti, che segue il rapporto lavorativo per la sua durata sino a cessazione del medesimo, riconoscendogli il diritto ad un beneficio previdenziale integrativo sin dal momento in cui il piano viene posto in atto, con ipotesi risolutorie emergenti solo al verificarsi di condizioni specificamente predeterminate e tutte convergenti sull’unico comune denominatore del venir meno del patto di fedeltà tra promotore e società.

Il meccanismo triangolare attuato, tra società concedente, promotore, società assicurativa presso la quale vengono versati gli importi per l’accensione di prodotti assicurativi e previdenziali – di cui dopo il decennio e a conclusione del rapporto lavorativo beneficeranno i promotori – evidenzia il costo sostenuto dalla società ricorrente, ancor più che se gli accantonamenti fossero stati eseguiti presso propri fondi.

In conclusione i costi, comunque effettivamente sostenuti, erano stati correttamente dedotti dalla società nell’osservanza delle regole di contabilità.

L’accoglimento del terzo motivo assorbe gli altri.

La sentenza va pertanto cassata e, non richiedendosi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa anche nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della Banca Fideuram.

Ai fini della regolamentazione delle spese di causa si ritiene che sussistano le condizioni per la compensazione dei due gradi di merito, mentre l’Agenzia va condannata nella misura specificata in dispositivo alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo e il secondo, assorbiti gli altri, cassa e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della banca Fideuram spa; compensa le spese processuali dei due gradi di merito; condanna l’Agenzia alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di Euro 10.200,00 nonchè di Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019

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