Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13039 del 23/06/2016

Cassazione civile sez. II, 23/06/2016, (ud. 22/03/2016, dep. 23/06/2016), n.13039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29612-2011 proposto da:

C.L., (OMISSIS), B.M.C.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VICOLO

DELL’ORO 24, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COEN, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato RUGGERO PREGNI;

– ricorrenti –

contro

BE.MA.GR., C.F. (OMISSIS), S.L.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA B.

BLUMENSTIHL N. 71, presso lo studio dell’avvocato STEFANO

MARTINELLI, rappresentate e difese dagli avvocati PAOLO PONTRELLI,

EMANUELA STRINA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 232/2011 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 14/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/03/2016 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI;

udito l’Avvocato Fregni Ruggero difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Strina Emanuela difensore delle controricorrenti che

si riporta alle conclusioni in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con atto di citazione in data 30/1/2006, Be.Ma.Gr. e S.L. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Trento, Sezione distaccata di Cavalese, C.L. e B. M.C. per sentir dichiarare la nullità per mancanza di causa dell’atto di ricognizione di debito per Euro 100.000,00 da loro sottoscritto in data 13/6/2003 e della ipoteca volontaria costituita sulla base dell’atto medesimo; per sentire, quindi, dichiarare i convenuti inadempienti alle obbligazioni assunte con il preliminare di compravendita immobiliare stipulato nel maggio 2002, con conseguente risoluzione del contratto e condanna dei predetti convenuti al risarcimento dei danni.

Esponevano che: con preliminare di compravendita in data 24/5/2002 avevano promesso di vendere ai convenuti un appartamento di loro proprietà in quel di (OMISSIS) per il prezzo di Euro 129.114.23; i promissari acquirenti avevano versato una caparra confirmatoria di Euro 5.000,00 e poi un acconto di Euro 25.000,00 ed erano stati immessi del possesso del bene sin dal giugno 2002; si erano, peraltro, evidenziate alcune problematiche, essendo risultato che l’immobile era ancora intestato al loro dante causa, S. C., ed era altresì affetto da alcune difformità edilizio-

urbanistiche; erano state, quindi, avviate le procedure volte alla regolarizzazione del bene, sì da consentire la stipula del definitivo la vendita; nel frattempo, i promissari acquirenti avevano loro chiesto di concedere un’ipoteca volontaria, al fine di garantire che la vendita venisse effettuata esclusivamente in favore di essi promissari; vi erano stati a tal fine contatti fra il loro legale ed i convenuti ed era stato concordato che sarebbe stata rilasciata una ricognizione di debito per Euro 30.000,00 con costituzione di ipoteca per Euro 50.000,00; il giorno 13/6/2003, allorquando le parti si erano recate presso il Notaio Paolo Vincenzi di Carpi, il promissario acquirente C.L. aveva chiesto che l’importo della ricognizione di debito e della ipoteca venisse elevato ad Euro 100.000,00; esse, posto che era loro fatta intenzione vendere l’immobile ai convenuti, nulla avevano opposto e l’atto era stato redatto nel senso voluto dalle controparti; successivamente, nell’estate del 2005, l’immobile era stato regolarizzato, con il rilascio di concessione in sanatoria e di certificato di agibilità;

quindi em stata fissatala data del 12/12/2005 per la stipula del contratto definitivo; in tale sede, però, i promissari acquirenti avevano affermato di nulla più dovere per il saldo del prezzo (Euro 99,114,23), asserendo di averlo già versato per contanti prima della stipula dell’atto di ricognizione di debito e della relativa costituzione di ipoteca, così come provato dalla ricognizione di debito predetta; il contratto definitivo non era stato perciò stipulato e vani erano risultati poi i contatti intesi a risolvere la situazione, essendosi reso, dunque, necessario adire le vie giurisdizionali.

Si costituivano convenuti, che chiedevano il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, l’emissione di una sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso ex art. 2932 c.c..

Affermavano, infatti, di aver versalo il saldo del prezzo per contanti poco prima della redazione dell’atto notarile di ricognizione di debito e di costituzione di ipoteca, cosi come provava la ricognizione di debito medesima. Osservavano che le controparti, rifiutandosi di sottoscrivere il definitivo (assumendo di non avere ricevuto il saldo del prezzo pattuito), si erano rese inadempienti alle obbligazioni assunte con il contratto preliminare già a suo tempo stipulato.

Con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 5, i convenuti avevano integrato le proprie domande, formulando istanza subordinata, per il caso di accoglimento delle domande attoree, di restituzione delle somme da loro sborsate per lavori eseguiti all’interno dell’immobile, per spese condominiali e per versamento della tassa sui rifiuti e dell’ICI. Escussi alcuni testi, con sentenza 10-16/4/2010 il Tribunale adito rigettava le domande di parte attrice, accogliendo la riconvenzionale (pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c.) proposta dai convenuti.

In particolare, il primo giudice rilevava che la mancata indicazione della causa debendi non importava alcuna conseguenza negativa ai fini della validità della ricognizione di debito, cosicchè le attrici restavano gravate dall’onere della prova relativa alla inesistenza dazione della somma di Euro 100.000,00 da parte dei convenuti.

Osservava, a questo proposito, che non potevano assumere rilevanza le deposizioni dei testi Avvocato Francesco Frasca e Notaio Paolo Vincenzi.

Proponevano appello S.L. e Be.Ma.Gr., articolando cinque motivi.

A loro volta, C.L. e B.M.C., oltre a chiedere il rigetto dell’appello e la conferma dell’impugnata sentenza, proponevano appello incidentale subordinato, per il caso i cui le domande delle appellanti avessero trovato accoglimento.

Con sentenza n. 232/2011 del 14.9.2011, la Corte d’Appello di Trento, in accoglimento dell’appello principale, ha dichiarato la nullità dell’atto di ricognizione e, per l’effetto, l’estinzione dell’ipoteca volontaria e la risoluzione per inadempimento degli appellati del contratto preliminare ed ha condannato questi ultimi al risarcimento dei danni nella misura di Euro 6.000,00 per ogni anno di occupazione indebita dell’immobile; in accoglimento parziale dell’appello incidentale condizionato, ha condannato le appellanti al versamento della complessiva somma di Euro 11.762,68 (a titolo di restituzione degli esborsi cui gli appellati non sarebbero stati comunque tenuti).

La decisione della corte si è basata delle seguenti considerazioni:

a) gli appellati, articolando una prova per testi sulla natura e sulla ragione del credito garantito dalla ipoteca volontaria costituita il 13.6.2003 avevano implicitamente rinunciato al vantaggio dell’inversione dell’onere della prova che loro sarebbe derivato dalla ricognizione del debito;

b) l’esito della prova testimoniale (escussione del notaio rogante) cm stato per gli appellati sfavorevole;

c) gli appellali non avevano in alcun altro modo dimostrato l’avvenuto versamento della somma per contanti di Euro 100.000,00, soprattutto se si considerava che i precedenti versamenti per la minor somma complessiva di Euro 30.000,00 erano avvenuti con bonifico bancario e che nel contratto preliminare il versamento del saldo era stato previsto solo al momento della stipula del definitivo;

d) all’epoca dell’ipotetico pagamento integrale del prezzo il bene promesso in vendita non era stato ancora regolarizzato dal punto di vista urbanistico-edilizio nè vi era certezza sulla sanabilità.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.L. e B.M.C., sulla base di quattro motivi.

Hanno resistito con controricorso S.L. e B.M. G..

In prossimità dell’udienza pubblica, il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorrenti, con il primo motivo, deducono la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè la omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la corte ritenuto erroneamente che l’articolazione di uno specifico capitolo di prova testimoniale volto a dimostrare l’esistenza del rapporto sottostante alla ricognizione del debitore avesse comportato implicitamente la rinuncia al vantaggio probatorio di cui all’art. 1988 c.c.; per aver, in ogni caso, ritenuto che non avessero fornito la prova della dazione dei 100.000,00 Euro, nonostante i numerosi elementi presuntivi addotti in tal senso.

1.1. Il motivo è, nella sua complessità, infondato.

Fermo restando che non è assolutamente configurabile, nel caso di specie, una motivazione omessa (atteso che sulla questione la corte d’appello si è diffusa alle pagine 17-18 della sentenza impugnata), la contraddittorietà della motivazione richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 19443/11). Inoltre, la motivazione contraddittoria deve essere tale da non consentire di individuare la ratio decidendi, a causa della discordanza tra premesse e conseguenze (Cass. 25984/10).

Orbene, i ricorrenti individuano tale contraddittorietà nella circostanza che l’unico capitolo di prova per testi all’uopo articolalo sarebbe stato, a dire della corte d’appello, volto a dimostrare la dazione del saldo prezzo (e, quindi, di fatto, il rapporto fondamentale), laddove, in realtà, lo stesso mirava a provare la natura dell’atto notarile stipulato in data 13.6.2003.

A ben vedere, però. i ricorrenti non colgono la reale ratio decidendi sottesa al passaggio motivazionale. Invero, la corte trentina ha dedotto che, con il detto capitolo (“Vero che detto atto di ipoteca doveva garantire i sig.ri C.- B. per il pagamento anticipato del saldo del prezzo, prima ancora della stipula dell’atto definitivo di compravendita essi “hanno chiesto di provare la natura e ragione del credito garantito dalla ipoteca costituita il 13/6/2003, ovvero, appunto, il pagamento anticipato del saldo del prezzo della compravendita che a loro dire costituiva la causa della ricognizione di debito.. ” (cfr. pagg. 17-I8 della sentenza impugnata). In definitiva, secondo i giudici locali, il capitolo era finalizzato a fare luce sulle ragioni che avevano indotta le parti a porre in essere (un atto di ricognizione del debito e, per l’effetto) l’ipoteca volontaria. E’ chiaro, poi, che una volta individuato nell’avvenuta pagamento anticipato del saldo del prezzo il substrato della concessione dell’ipoteca, di fatto, i ricorrenti (allora convenuti) intendevano dimostrare quale fosse il rapporto fondamentale sottostante. Con riferimento a tale profilo, nessuna censura sul piano della correttezza giuridica e della coerenza logico-

formale è stata sollevata.

1.2. Avuto riguardo al profilo della rinuncia implicita al vantaggio processuale dell’inversione dell’onere probatorio, collegato alla ricognizione di debito, si assiste nella giurisprudenza di questa Corte ad un contrasto, in relazione al quale, tuttavia, non ricorrono, per quanto verrà esposto nel prosieguo motivazionale, i presupposti per sottoporre la questione alle Sezioni Unite.

Infatti, di recente è stato statuito che il vantaggio probatorio derivante dalla promessa di pagamento (ma il principio è, ovviamente, estensibile anche al riconoscimento del debito), che dispensa colui a favore del quale è fatta dall’onere di provare il rapporto fondamentale, è rinunciabile. ma, affinchè ciò si verifichi, non è sufficiente che la parte sulla quale non grava l’onere deduca od anche offra la prova, occorrendo, invece, la inequivoca manifestazione della parte medesima di voler rinunciare ai benefici ed ai vantaggi che le derivano dal principio che regola la distribuzione dell’onere stesso e di subire le conseguenze dell’eventuale fallimento della prova dedotta od offerta (Sez. 3, Sentenza n. 14066 del 11/06/2010).

Poco tempo prima la stessa sezione aveva affermato, in presenza di una ricognizione di debito, che l’esistenza del rapporto fondamentale si presume fino a prova contraria, a meno che il destinatario della promessa unilaterale non rinunci, anche implicitamente (ad esempio, attraverso la richiesta di ammissione di prova testimoniale sull’esistenza del rapporto fondamentale), al vantaggio dell’inversione dell’onere della prova (Sez. 3, Sentenza n. 7787 del 31/03/2010).

Nè a dirimere il contrasto può essere utile una più risalente pronuncia, a mente della quale, pur essendo rinunciabile anche implicitamente il vantaggio dell’inversione dell’onere della prova di un rapporto fondamentale derivante dalla titolarità di una promessa di pagamento (ad. 1988 c.c.), non è ravvisabile tale rinuncia, se il promissario si limita ad indicare il rapporto fondamentale (cosiddetta promessa titolata), ovvero, in subordine al non accoglimento della domanda principale fondata sulla promessa, offra di provare il rapporto ad essa sottostante (Sez. 3. Sentenza n. 11775 del 19/05/2006; conti Sez. 3, Sentenza n. 12292 del 05/07/2004).

Invero, nel caso di specie, non risulta che gli allora convenuti avessero articolato la prova testimoniale solo in via subordinata.

E’ chiaro che, a voler aderire alla seconda, meno rigorosa, interpretazione, applicata dalla corte d’appello, dovrebbe poi (venuta meno l’astrazione processuale, con inversione dell’onere probatorio, connessa alla ricognizione di debito) analizzarsi l’altra censura sollevata dai ricorrenti, alla luce del principio per cui, con riguardo alla promessa di pagamento, la posizione di vantaggio accordata al promissario dall’art. 1988 c.c., la quale lo dispensa dal provare il rapporto fondamentale (da presumersi iuris tantum), non impedisce che, in conseguenza della rinunzia, anche implicita, a tale posizione, trovino applicazione (in tutto o in relazione a determinate situazioni) i normali criteri sull’onere della prova (Sez. 1, Sentenza n. 9777 del 03/10/1990).

Si lascia, peraltro, preferire “opposta tesi, con la conseguenza che, permanendo la presunzione di esistenza del rapporto fondamentale (e, quindi, dovendosi presumere, sia pure iuris tantum, l’avvenuto pagamento integrale del prezzo), occorrerebbe valutare se le originarie attrici, sulla base delle prove testimoniali e di presunzioni gravi, precise e concordanti, abbiano vinto la predetta presunzione.

Occorre, pertanto, analizzare la successiva doglianza formulata dai ricorrenti.

1.3. A conforto della loro impostazione, gli stessi hanno dedotto di aver fornito i seguenti elementi presuntivi, al fine di dimostrare di aver effettivamente consegnato alle promittenti venditrici la somma in contanti di Euro 100.000,00 indicati nell’ano notarile del 13.6.2003:

1) la modifica dell’importo della ricognizione (da Euro 30.000 00 ad Euro 100000,00) era stata apportala, su sollecitazione del C., dinanzi al notaio Vincenzi dopo che questi aveva contattato telefonicamente l’allora legale delle promittenti venditrici (avv. Frasca) e, quindi, con il consenso di quest’ultimo;

2) qualora il legale delle controparti avesse avuto qualcosa da ridire (contestando, cioè, che l’importo da indicare nell’atto di ricognizione rispecchiasse la realtà), si sarebbe opposto alla stipula dell’atto o, almeno, avrebbe successivamente chiesto, per conto delle sue assistite, ulteriori acconti;

3) anche nella lettera del 27.7.2005, con la quale le prominenti li avevano invitati a presenziare davanti al notaio per stipulare l’atto definitivo di compravendita, le stesse non avevano operato alcun riferimento al saldo ancora da versare.

Con riferimento a tali elementi presuntivi, che i ricorrenti ritengono gravi, precisi e concordanti, gli stessi lamentano l’omessa valutazione da parte del giudice d’appello, il quale avrebbe sul punto fornito una motivazione del tutto contraddittoria.

La censura si rivela infonda.

Invero, tutti i tre profili su riportati sono stati analizzati dalla corte trentina, la quale li ha confutati con argomentazioni corrette sul piano giuridico e logiche dal punto di vista della coerenza formale.

in primo luogo, alla stregua di quanto dichiarato dal teste Vincenzi (notaio rogante), l’importo dell’ipoteca era staso indicalo nell’importo maggiorato di Euro 100000,00 non in quanto la cifra corrispondesse alla somma effettivamente fino ad allora versata dai promissari acquirenti, bensì al fine di tutelare maggiormente questi ultimi a garantirli che l’immobile sarebbe stato, una volta sanate le irregolarità urbanistiche, trasferito esclusivamente a loro (pagg. 18, 21.24 e 29 della sentenza impugnata).

In secondo luogo, una volta individuata l’esatta funzione dell’atto posto in essere davanti al notaio Vincenzi. le attrici originarie non avevano alcun motivo per recriminare qualcosa nei due anni successivi che avevano preceduto l’invito alla stipula del contratto definitivo (pag. 29 della sentenza).

In terzo luogo, essendo previsto nel preliminare l’obbligo, in capo ai promissari acquirenti, di versare il saldo del prezzo alla stipula del definitivo, nessuna ragione vi sarebbe stata per sollecitare gli stessi a versare altri acconti prima di allora, vieppiù se si considera che le irregolarità urbanistiche vennero sanate solo nell’estate del 2005 (pagg. 20-21).

Di contro, una serie di elementi presuntivi ed indizia gravi, precisi e concordanti sono stati valorizzati dalla corte d’appello: a) mancanza della prova, da parte dei promissari acquirenti.

dell’avvenuto versamento della somma per contanti di Euro 100000,00;

b) anomalia riconducibile al versamento in contanti di una somma di Euro 100.000,00, laddove il minor importo complessivo di Euro 30.000,00 fino ad allora corrisposto in due tranches era stato erogato can bonifico bancario; e) incompatibilità tra il versamento immediato della rilevante ulteriore somma di Euro 100.000,00, a fronte della previsione, contenuta nel contratto preliminare, secondo cui la corresponsione del saldo sarebbe dovuta avvenire solo al momento della stipula del definitivo; d) contrasto tra l’ipotetico pagamento integrale del prezzo e la circostanza che in quel momento il bene promesso in vendita non era stato ancora regolarizzato dal punto di vista urbanistico-edilizia nè vi era certezza sulla sanabilità; e) scarsa credibilità che il significativo versamento di cui sopra non fosse stato accompagnato dal rilascio di una quietanza o, almeno, di una ricevuta; o irragionevolezza della mancata indicazione, a quel punto, dell’intera somma di Euro 130.000.00, che fino ad allora sarebbe stata versata, nell’atto di ricognizione del debito.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, per quanto l’impostazione originaria adottata dalla Corte territoriale risulti non corretta sul piano giuridico, i ricorrenti non colgono che la motivazione si fonda su una doppia, autonoma ratio decidendi e che, in ogni caso, la corte trentina ha fondato la sua pronuncia di accoglimento dell’appello principale su una valutazione delle risultanze istruttorie congrua dal punto di vista logico-formale e, comunque, non inficiata da specifici rilievi e/o contestazioni.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nonchè contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la corte erroneamente ritenuto che le promittenti venditrici. per il tramite di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, avessero fornito la prova di non aver mai ricevuto il saldo prezzo, laddove l’atto notarile del 13.6.2003 conteneva, oltre che una ricognizione di debito, anche una vera e propria confessione di aver ricevuto dai promissari acquirenti la somma di Euro 100.000 (la cui valenza probatoria si sarebbe potuto inficiare non già con una prova testimoniale contraria, bensì solo dimostrando l’errore di fatto o la violenza).

2.1. Il motivo è preliminarmente inammissibile.

Invero, in violazione del principio dì autosufficienza, non è accompagnata dalla riproduzione integrale del contenuto dell’atto ricognitivo (viene riportato a pagina 15 del ricorso solo uno stralcio dell’atto notarile datato 13.6.2003). in lai guisa precludendo a questa Corte qualsivoglia valutazione complessiva in ordine alla portata (anche) confessoria dell’atto medesimo.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione di norme dì diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la corte rigettato la loro domanda di restituzione della somma di Euro 30.000 versata come caparra cd acconto, nonostante le attrici, avendo chiesto il risarcimento dei danni, non potessero ottenere anche la caparra.

3.1 E’ evidente che i ricorrenti incorrono in una confusione di piani.

Non sono, infatti, in contrasto tra loro la considerazione dei ricorrenti, secondo cui la richiesta risarcitoria avanzata contestualmente alla domanda di accertamento della legittimità del recesso preclude la possibilità di trattenere la caparra confirmatoria ricevuta (peraltro, sul punto, non risulta che siano state sollevate contestazioni), e l’affermazione della corte d’appello, alla stregua della quale, sebbene l’obbligo delle reciproche restituzioni sia effetto automatico della risoluzione contrattuale, non può comunque prescindersi, per poter disporre in tal senso, dalla domanda delle parti.

In materia contrattuale, pur essendo l’obbligo di restituzione della prestazione ricevuta un effetto naturale della risoluzione del contratto, non di meno sul piano processuale e necessario che la parte proponga specifica domanda ai lini di detti effetti restitutori; ne consegue che, ove sia stata proposta in primo grado la domanda di risoluzione del contratto con richiesta dì risarcimento danni, al giudice d’appello è preclusa, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la possibilità di prendere in esame la domanda restitutoria avanzata per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova (Sez. 2, sentenza n. 2562 del 02/02/2009).

La risoluzione del contratto pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti dispone degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza ansa (Sez. Sentenza 2075 del 29/01/2013).

4. Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono della omessa e contraddittoria motivazione. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la corte rigettalo la loro domanda di restituzione delle somme sborsate per le migliorie apportate all’appartamento.

nonostante avessero fornito idonea prova in tal senso a mezzo di documenti e del teste I.L..

4.1. La motivazione resa sul punto (pag. 34 della sentenza) dalla corte di mordo non si presenta affetta da profili di contraddittorietà.

Invero, la stessa ha analiticamente analizzato gli elementi cui i ricorrenti hanno attribuito la valenza di “principi di prova” delle migliorie asseritamene apportate all’appartamento:

1) l'”elenco delle spese sostenute, pari ad Euro 31.720,00″ rappresenta un mero “preventivo” che non è dato sapere se poi si sia tradotto in effettive opere.

2) le fotografie, siccome priva di riferimenti temporali, non possono essere idonee a rappresentare una ipotetica situazione dei luoghi prima e dopo la dedotta ristrutturazione;

3) non vi sono elementi per sostenere che la matrice dell’assegno di Euro 50000 si riferisca effettivamente a spese sostenute per l’appartamento in questione.

Quanto alle dichiarazioni rese dall’unico teste I.L., la corte, con argomentazioni coerenti sul piano logico, ha reputato non sufficiente ai fini probatori l’asserzione secondo cui al medesimo fosse “sembrato” che il bagno fosse stato rifatto di recente e, soprattutto, ha rilevato che il teste ha ricondotto alle appellanti (e non agli appellali) il pagamento dei lavori di messa a norma dell’impianto elettrico.

I ricorrenti non hanno mosso alcuna specifica censura avverso l’impianto motivazionale, essendosi limitati a reiterare le considerazioni già formulate nei precedenti gradi di giudizio. E’ propriamente inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n 5), qualora esso prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio (interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass., 26.3.2010, n. 7394; altresì Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

5. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5200, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di Cassazione, il 22 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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