Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13036 del 24/06/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 13036 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: CIRILLO ETTORE

SENTENZA

sul ricorso 6268-2010 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2015
1741

contro
DIBA SPA in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA L.G0 DEL
TEATRO VALLE 6, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO
FILIPPO BRACCI, rappresentato e difeso dall’avvocato
BRUNO AIUDI con studio in FANO V.LE KENNEDY 10,

Data pubblicazione: 24/06/2015

(avviso postale ex art. 135), giusta delega a margine;

avverso

il

provvedimento

n.

controricorrente
10/2009

della

COMM.TRIB.REG. di ANCONA, depositata il 27/01/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

CIRILLO;
udito per il controricorrente l’Avvocato AIUDI che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 05/05/2015 dal Consigliere Dott. ETTORE

RITENUTO IN FATTO
1. Con avviso di accertamento notificato il 4 maggio 2005 per l’anno
d’imposta 2001 l’Agenzia delle entrate, sulla scorta del processo verbale
di constatazione della Guardia di finanza del 5 dicembre 2002, contestava alla Soc. Di.Ba, esercente all’attività di commercio di autoveicoli,
la correttezza di talune operazioni di cessione effettuate verso la Repubblica di San Marino in regime di non imponibilità e recuperava a tassa-

Dalle verifiche eseguite dai militari e recepite dall’ufficio era emerso che:
(I) in violazione dell’art. 4 lett. a) del d.m. 24 dicembre 1993 l’esemplare della fattura restituito dall’acquirente di San Marino alla Soc. Di.Ba.,
pur dotato dotato della “marca di sui al successivo art. 6, debitamente,
debitamente perforata”, era tuttavia privo del “timbro a secco circolare
contenente intorno alla stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura Rep. di San Marino – Uff. tributario”;
(II) in violazione della lett. b), “sul registro di cui all’art. 23 d.p.r.
633/1972 è emersa la mancanza dell’indicazione dell’avvenuto ricevimento dell’esemplare delle fattura vidimata dall’uffcio tributario delle
Repubblica di San Marino”;
(III), in violazione della lett. c) non era stato compilato il modello Intral
per tre fatture riguardanti un operatore di San Marino;
(IV) in riferimento alle ammissioni del responsabile amministrativo della
Soc. Di.Ba., Marco De Angelis, “la cessione dei beni veniva fatturata nei
confronti delle società finanziarie sammarinesi, ma la consegna dei beni
avveniva in Italia (presso la sede della società) nelle mani dei singoli
conduttori”.
2. L’atto impositivo è stato impugnato dalla Soc. Di.Ba. e annullato dalla
commissione tributaria provinciale di Pesaro con decisione confermata in
appello dalla commissione tributaria regionale delle Marche mediante la
sentenza n. 10-2009-04 del 27 gennaio 2009.
Il giudice di secondo grado, premesso che le operazioni non richiedevano documenti accompagnatori (circ. n. 15/381322 del 1980), ha ritenuto
che l’omissione degli adempimenti stabiliti dall’art. 4 lett. b) e lett. c)
d.m. cit. costituissero violazioni meramente formali, avendo tali previsioni la sola funzione di agevolare i controlli da parte del fisco, diversamente dalla previsione della lett. a) destinata a definire le modalità di
prova dell’effettiva esportazione dei beni e, quindi, del presupposto cardine per la non imponibilità delle cessione. Su punto specifico il giudice
d’appello ha, però, osservato che “nello stesso p.v.c. è affermato che la
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zione VIVA non versata dalla cedente.

società possedeva le fatture restituite dai cessionari debitamente vistate
dall’ufficio tributario della Repubblica di San Marino”.
3. Per la cassazione di tale decisione, l’Agenzia delle entrate propone
ricorso affidato a tre motivi, ai quali la Soc. Di.Ba. resiste con controricorso e memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

norme di diritto sostanziali (artt. 8 e 71 del decreto IVA; art. 4 del d.m.
24 dicembre 1993; art. 14 delle preleggi), l’Agenzia censura la sentenza
d’appello laddove afferma che “a non tutti gli adempimenti elencati nel
citato decreto ministeriale, può essere attribuita valenza di presupposto
condizionante” il regime di non imponibilità (motivo 1) e ritiene sufficiente, per l’applicazione di tale regime, il fatto che si tratta di “fatture
debitamente vistate dall’ufficio tributario della Repubblica di San Marino”
(motivo 2).
Sostiene, infatti, che gli adempimenti indicati nell’art. 4 del d.m. 24 dicembre 1993 e omessi nel caso in esame (timbro a secco delle autorità
sammarinesi; annotazione della ricezione delle fatture vidimate nel registro delle vendite; compilazione del modello Intral) sono tutti previsti
come requisiti essenziali e condizionanti l’applicazione del regime di non
imponibilità delle operazioni.
Aggiunge che il decreto ministeriale non stabilisce affatto che le fatture
debbano essere “vistate” dalle competenti autorità sammarinesi ma che
debbano essere dotate di marca (art. 6) perforata con indicazione della
data e munite di timbro a secco circolare dell’ufficio tributario della Repubblica di San Marino.
Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia errori di giustificazione della
decisione di merito sul fatto, in primo luogo, laddove la sentenza di appello, che pure in linea di principio riconosce valenza condizionante al
possesso di fattura con marca e timbro a secco sammarinese, cade in
contraddizione nel riconoscere egualmente il regime di non imponibilità
pur in assenza di tale bollatura e, in secondo luogo, laddove non spiega
le ragioni di tale conclusione anche alla luce dell’ammissione da parte
del responsabile amministrativo circa l’effettuazione delle consegne dei
beni ai terzi utilizzatori in Italia e presso la sede della Soc. Di.Ba..
2. Il ricorso è parzialmente fondato.
Le peculiarità degli scambi commerciali con la Repubblica di San Marino
hanno indotto il legislatore nazionale a introdurre del decreto IVA, con
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1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso, denunciando violazioni di

l’art. 71, una particolare disciplina sostanzialmente derivata dall’art. 8
mediante la equiparazione delle cessioni verso operatori sammarinesi
alle esportazioni e la loro classificazione nel novero delle operazioni non
imponibili, secondo modalità da definire con appositi decreti ministeriali,
l’ultimo dei quale è quello del 24 dicembre 1993.
Esso è stato preceduto dall’accordo interinale di commercio e unione doganale con la CEE del 27 novembre 1992, il quale, all’art. 5, stabilisce

no vengono effettuati in esenzione da tutti i dazi all’importazione e all’esportazione”, senza però che territorio sammarinese sia fatto rientrare
nel territorio doganale comunitario.
Allo scopo di rendere efficace il conseguente aggiornamento delle procedure amministrative dell’interscambio italo-sammarinese, il Ministro degli esteri italiano e il Segretario di Stato sammarinese hanno proceduto,
in data 10 novembre 1993, allo scambio di lettere diplomatiche nelle
quale le alte Parti hanno concordato che sull’esemplare della fattura restituito dall’acquirente deve essere applicata una marca sammarinese
“debitamente perforata con l’indicazione della data” e apposto anche un
“timbro a secco circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura ” (punto III). Ciò rimanda all’art. 1 del d.m. 26 gennaio 1983 ove già si parlava di esemplare della fattura restituito dall’acquirente e munito “della
marca in uso nella Repubblica di San Marino, (…) debitamente perforata
con l’indicazione della data” e “del timbro a secco circolare, contenente
intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura “.
3. Con il precitato d.m. 24 dicembre 1993, attuativo dell’art. 71 del decreto IVA e dell’accordo italo-sammarinese, si stabilisce che gli operatori economici italiani i quali cedono beni ad operatori economici
aventi sede, residenza o domicilio nella Repubblica di San Marino sono
tenuti ad emettere, in quadruplice esemplare, la fattura di cui all’art. 21 del d.p.r. 633/1972: tre di tali esemplari devono essere consegnati o spediti all’acquirente, che ne restituisce uno agli effetti di
quanto stabilito ai successivi articoli 3, n. 3), e 4 del medesimo d.m.
(art. 1); i beni ceduti devono essere trasportati o spediti nel territorio sammarinese dal cedente o dall’acquirente o da terzi per loro
conto (art. 2) e l’operatore economico italiano deve, tra l’altro, registrare a norma dell’art. 23 del d.p.r. 633/1972 la fattura emessa (art. 3).
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che “gli scambi commerciali tra la Comunità e la Repubblica di San Mari-

Più in dettaglio, l’art. 4 del d.m. cit. prescrive: “In relazione alle cessioni di cui all’art. 1, si applicano le disposizioni di cui agli articoli
8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972,
n. 633, e successive modifiche e integrazioni, a condizione che l’operatore italiano: a) sia in possesso dell’esemplare della fattura indicata all’art.
3, n. 3; b) ne abbia preso nota a margine delle corrispondenti scritture
eseguite nel registro di cui all’art. 23 del decreto del Presidente della

zioni; c) abbia provveduto a redigere, per la sola parte fiscale, ed
a presentare l’elenco riepilogativo delle cessioni di cui all’art. 6 del
decreto-legge 23 gennaio 1993, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1993, n. 75 (…)”.
Inoltre, a mente dell’art. 3, sull’esemplare della fattura restituito dall’acquirente “è (…) applicata la marca di cui al successivo art. 6, debitamente perforata con l’indicazione della data, e munito di timbro a secco
circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la seguente dicitura «Rep. di San Marino – Uff. Tributario»” e, a mente dell’art. 6, “L’ufficio tributario sammarinese sull’esemplare della fattura
di cui all’art. 1 appone una marca non avente valore facciale, stampata su carta filigranata, recante le seguenti caratteristiche: 1) nella
parte sinistra: la riproduzione della Statua della Libertà; 2) a fianco della predetta riproduzione, dall’alto verso il basso, le seguenti
scritte: Repubblica di San Marino; ovvero ; il numero progressivo di ciascuna marca; ; “.
Orbene, la parte saliente degli atti impositivi trascritta in controricorso
(pag.2) pone in luce “che per le operazioni oggetto di contestazione, la
ditta è comunque in possesso di un esemplare della fattura restituita
dall’acquirente, munita della marca apposta dall’ufficio tributario di San
Marino”, il che si correla con il preteso accertamento di fatto compiuto
da giudice di merito secondo cui “la società possedeva le fatture restituite dai cessionari debitamente vistate dall’ufficio tributario di San Marino
(fatture anche agli atti del processo)”.
4. Per la circolare del 7 agosto 2000 n. 158 – Min. Finanze – il mancato
rispetto di una della condizioni citate nel d.m. 24 dicembre 1993 (art. 4)
comporta che l’imponibilità dell’operazione, ribadendo in particolare che
uno dei tre esemplari consegnati al cessionario sammarinese “dovrà da
questi essere restituito munito della marca apposta dall’ufficio tributario
di San Marino, con timbro a secco dello stesso”.
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Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modifiche ed integra-

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta sul tema con le sentenze
gemelle n. 16450 e n. 16451 del 18 luglio 2014 e, affermando la prevalenza della “sostanza” sulla “forma” dell’operazione italo-sammarinese,
ritiene che le disposizioni di diritto interno devono essere lette alla luce
del diritto dell’UE e che, dunque, la non imponibilità non può essere
condizionata all’esecuzione di adempimenti di natura esclusivamente
formale. Tale conclusione si basa tanto sul principio di effettività (art. 10

ritto dell’UE in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano
ostarvi preclusioni procedimentali o processuali di sorta (Cassazione civile sez. un. 18/12/2006, n. 26948, e sez. trib. 23/9/2011, n. 19546),
quanto il fondamentale principio di neutralità fiscale, dato che gli Stati
membri non possono rendere soggetta a imposta un’operazione che, per
l’art. 15 della “sesta direttiva” o per art. 131 della “direttiva rifusa” è
esente secondo la terminologia europea ovvero non imponibile secondo
la terminologia italiana.
Ciò è confermato dalla Corte di giustizia laddove stabilisce che il principio di neutralità fiscalità osta a qualsiasi distinzione persino tra esportazioni lecite e illecite, siccome l’esenzione – ossia la in imponibilità – riguarda l’operazione in sé e non la sua liceità in base alla disciplina nazionale (sent. 2 agosto 1993, in causa C-111/92, Wilfried Lange). Pertanto, se il regime di non imponibilità non può essere negato per le
esportazioni illecite, a maggior ragione tale regime va accordato quando
l’operazione è soltanto irregolare, per essere stata realizzata con violazione di obblighi rilevanti sul piano esclusivamente formale.
5. La fattispecie esaminata dalla Corte nella sentenze gemelle n. 16450
e n. 16451 del 18 luglio 2014 è riconducibile a quest’ultima categoria,
dato che si tratta di esportazioni materialmente effettuate da società
italiana e dimostrate dagli esemplari delle fatture, restituite dai cessionari sammarinesi, debitamente perforate con l’indicazione della data e
munite del timbro a secco circolare apposto dall’Ufficio tributario di San
Marino. Perciò, disapplicando la norma nazionale incompatibile con quella comunitaria o comunque dando ad essa una valenza comunitariamente orientata, la Corte ritiene che il trattamento di non imponibilità previsto per le cessioni di beni verso San Marino si applica anche se l’operatore nazionale non ha adempiuto allo specifico obbligo di registrazione
mediante “presa nota a margine” nel registro IVA delle fatture di vendita. Il che porta ad escludere, anche nel caso in esame, che la mancanza
di detto adempimento, richiesto dall’art. 4 del d.m. cit., osti alla non im5
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del Trattato CE), laddove impone al giudice nazionale di osservare il di-

ponibilità dell’operazione di esportazione italo-sammarinese effettuata in
violazione di tale previsione.
6. Ad analoghe conclusioni si deve giungere, nelle odierne fattispecie,
anche per la mera condotta omissiva della mancata comunicazione delle
operazioni mediante il cosiddetto modello “Intra1”. Infatti le omissioni,
irregolarità o inesattezze riguardo al “sistema Intrastat” danno luogo, in
tesi generale, alla sola applicazione di sanzioni amministrative (Cassa-

III, 01/12/2010, n. 8962), non essendo il mancato invio o utilizzo del
modello di per sé stesso un indice rivelatore di false rappresentazioni
delle operazioni (Cassazione civile sez. trib., 25/05/2007, n. 12265, e
Cassazione penale sez. III, 01/12/2010, n. 8962).
7. A diversa conclusione si deve giungere, invece, riguardo alla mancanza nelle fatture restituite dall’acquirente sammarinese, a riprova del corretto perfezionamento dell’operazione di esportazione, del “timbro a
secco circolare contenente intorno allo stemma ufficiale sammarinese la
seguente dicitura «Rep. di San Marino – Uff. Tributario»” prescritto dal
d.m. 24 dicembre 1993, attuativo degli artt. 71 e 8 del decreto IVA, e
dal presupposto accordo (scambio di lettere) italo-sammarinese.
Com’é noto, in via generale, per beneficiare dell’esenzione prevista per
le cessioni all’esportazione di cui all’art. 8 del decreto IVA, la destinazione della merce all’esportazione deve essere provata mediante documentazione doganale, ovvero vidimazione doganale sulla fattura o su un
esemplare della bolla di accompagnamento o del documento di trasporto, oppure secondo modi e tempi previsti da appositi decreti ministeriali
per le spedizioni postali, oppure mediante attestazioni di pubbliche amministrazioni del Paese di destinazione dell’avvenuta presentazione dei
beni alle autorità competenti di quel Paese, mentre strumenti di origine
privata, quale ad esempio la documentazione bancaria dell’avvenuto pagamento, non possono costituire prova idonea allo scopo. (Cassazione
civile sez. trib., 05/12/2012, n. 21809). Ciò è ricavabile dalla disciplina
doganale ai sensi dell’art. 346 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43 (Cassazione civile sez. trib., 06/09/2013, n. 20487) e degli artt. 792, 793 e
795 del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454 (Cassazione civile sez.
trib., 18/02/2015, n. 3193).
Pertanto la previsione del d.m. 24 dicembre 1993, secondo cui uno dei
tre esemplari consegnati al cessionario sammarinese deve da questi essere restituito munito della marca con timbro a secco apposto dall’uffi6
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zione civile sez. trib., 25/05/2007, n. 12265, e Cassazione penale sez.

cio tributario di San Marino, tiene il posto, per le esportazioni dall’Italia
verso quella Repubblica, della documentazione doganale e di quella assimilata ordinariamente prevista dalla normativa generale per assicurare
la certezza e la incontrovertibilità delle esportazioni extracomunitarie
mediante un’adeguata rappresentazione documentale.
Ne deriva che, mancando la “eadem rado”, è del tutto incoerente il richiamo, contenuto nella memoria della contribuente, alla giurisprudenza

te il diverso tema delle registrazioni formali relative alle operazioni neutrali in regime di “reverse charge”.
8, Nella specie, in luogo della prescritta bollatura delle fatture mediante
“timbro a secco circolare contenente intorno allo stemma ufficiale
sammarinese la seguente dicitura «Rep. di San Marino – Uff.
Tributario»”, il giudice d’appello afferma che “la società possedeva le fatture restituite dai cessionari debitamente vistate dall’ufficio tributario di
San Marino”, ma non è dato comprendere (a) su che cosa si basi tale
conclusione, (b) in che cosa consista il c.d. “visto”, (c) come e perché
tale preteso “visto” sia equipollente al prescritto timbro a secco ufficiale.
Si aggiunga che, nelle parti salienti degli atti impositivi e del processo
verbale di constatazione richiamate in ricorso (pag. 9-10) e controricorso (pag. 2-8), si dà atto che le fatture sono dotate della marca ma non
del timbro secco (v. doc. 10, fatt. all. p.v.c.) e che, per ammissione del
responsabile amministrativo, “la cessione dei beni veniva fatturata nei
confronti delle società finanziarie sammarinesi, ma la consegna dei beni
avveniva in Italia (presso la sede della società) nelle mani dei singoli
conduttori”.
Ne deriva che non risultano adeguatamente indagati dal giudice d’appello i requisiti sostanziali, giuridici e fattuali, dell’effettiva esportazione
delle autovetture nella Repubblica di San Marino.
Nè il giudice di merito può, quando esamina i fatti di prova, limitarsi ad
enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, ma deve impegnarsi, anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il
quale è passato dall’iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio (Cassazione civile sez. trib., 23/01/2006, n. 1236).
Ne deriva, nella specie, anche la carente giustificazione della decisione
di merito sul fatto.
9. Pertanto, limitatamente ai punti specifici sopra esaminati sub §7 e §8,
la lacunosa sentenza d’appello va cassata con rinvio al giudice competente che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame e decide7
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comunitaria e nazionale formatasi attorno al cd. caso Idexx e riguardan-

rà con adeguata motivazione applicando i superiori principi giuridici e
regolativi.
P.Q.M.
La Corte accoglie parzialmente il ricorso nei sensi di cui in motivazione,
cassa la sentenza d’appello in relazione a quanto accolto e rinvia, anche
per le spese, alla commissione tributaria regionale delle Marche in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2015.

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