Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13036 del 23/06/2016

Cassazione civile sez. II, 23/06/2016, (ud. 17/02/2016, dep. 23/06/2016), n.13036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30222-2011 proposto da:

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI CIGLIOLA;

– ricorrente –

contro

SCIP CARTOLARIZZAZIONE IMMOBILI PUBBLICI S.R.L. in persona del

legale rappresentante pro tempore INPS elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato GAETANO

DE RUVO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANIELA ANZIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2871/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/10/2011;

udita la relazione della causa svelta nella pubblica udienza del

17/02/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato CIGLIOLA Giovanni, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato MERRAZZOLI Francesca, con delega depositata n

udienza dell’Avvocato ANZIANO Daniela, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procurato Generale Dott.

CAPASSO LUCIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con allo di citazione notificato il 26 febbraio 2003 il signor C.P., conduttore di un immobile in proprietà S.C.I.P. srl (già INPDAI), conveniva in giudizio la S.C.I.P. srl esponendo, per quanto qui ancora interessa, che:

– a seguito dell’instaurazione della procedura di vendita dell’immobile, aveva dichiarato di voler esercitare il diritto di opzione all’acquisto usufruendo delle condizioni di favore previste dal D.L. n. 351 del 2001, convertito in legge, con modificazioni, con la L. n. 410 del 2001;

– con raccomandata del 7 settembre 2002 aveva richiesto il nominativo dei preposti cui affidare il mandato collettivo, il nominativo del notaio e la data presunta del rogito;

– in data 9 ottobre 2002 aveva conferito mandalo collettivo ai signori Ca. e P.;

– nell’attesa di conoscere la data del rogito, aveva saputo che i mandatari ed il rappresentante della proprietà si sarebbero incontrati il 23 ottobre 2002 davanti al notaio Roveda per effettuare il trasferimento immobiliare in favore dei conduttori che avevano conferito il mandato collettivo;

davanti al dello notaio, il procuratore della parte venditrice non aveva prestato il proprio assenso alla definizione dell’atto di compravendita, non accettando assegni bancari.

Sulla scorta di tale narrativa di fatto il signor C. chiedeva una sentenza costitutiva di trasferimento della proprietà del suddetto immobile alle condizioni previste dalla legge, ai sensi dell’art. 2932 c.c..

Nella contumacia della S.C.I.P. il tribunale di Milano accoglieva la domanda dell’attore.

La Corte d’appello di Milano, adita con l’appello della S.C.I.P., riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda del C.. In particolare la Corte distrettuale argomentava che le modalità di versamento del prezzo indicate dall’attore e fissate nella sentenza di primo grado (versamento del 15% del prezzo contestuale al trasferimento della proprietà e versamento del residuo 85% differito in 25 anni) non erano previste dalla legge (che prevedeva esclusivamente la possibilità che i compratori potessero ricorrere a mutui agevolati, con rateizzazione del rimborso fino a 25 anni erogati da istituii convenzionati con l’ente venditore) e poneva a fondamento del rigetto della domanda del sig. C. le seguenti, distinte, ragioni del decidere:

a) l’attore era in mora nel pagamento dei canoni e degli oneri accessori;

b) l’attore si era presentato davanti al notaio munito di soli assegni bancari, così offrendo la propria prestazione in maniera “non conforme al dettato normativa che regalava la dismissione dell’unità abitativa” (pag. 9 della sentenza gravata).

Avverso detta sentenza il C. ricorre per cassazione con tre motivi.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente attinge la ratio decidendi sopra riportala sub a), denunciando la violazione degli artt. 180 e 345 c.p.c. in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa fondando la propria decisione su una eccezione di morosità inammissibile, perchè proposta dalla S.C.I.P. soltanto in grado d’appello, e basata su un documento (prospetto contabile dei pagamenti dei canoni effettuati dal C.) la cui produzione non poteva essere ammessa perchè effettuata solo in secondo grado e, per di più, non con l’atto di appello ma all’udienza di discussione.

Con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente denuncia il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione (con riferimento agli artt. 1218, 1175 e 1375 c.c.).

Il motivo si articola in due distinte censure, rispettivamente riferite, la prima, alla ratio decidendi sopra riportata sub a) e la seconda, alla ratio decidendi sopra riportata sub b).

Con la prima censura del secondo motivo il ricorrente deduce che la Corte territoriale, affermando che la stipula del contratto sarebbe stata impedita dalla morosità del C. nel pagamento dei canoni, avrebbe omesso di considerare che con l’ano di costituzione in appello esso C. aveva prodotto:

1) lo schema del testo contrattuale utilizzato dal notaio Roveda per la stesura dei contratti di compravendita del fabbricato in questione, il cui art. 3 prevedeva espressamente la declaratoria di mancata definizione delle pendenze economiche derivanti dal rapporto di locazione e la contestuale assunzione, da parte degli acquirenti, dell’impegno di corrispondere il dovuto alla venditrice a semplice richiesta; circostanza, questa, da cui il ricorrente trae la conseguenza che, al contrario di quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il mancato pagamento di parte dei canoni locatizi non avrebbe impedito la stipula del contratto di compravendita.

2) il mandato collettivo conferito dal medesimo C. ai signori Ca. e P. per la stipula dell’atto di trasferimento.

Con la seconda censura del secondo motivo il ricorrente deduce che la Corte territoriale, affermando che la stipula del contratto sarebbe stata impedita dalla circostanza che il C. si era presentato dal notaio rogante munito soltanto di assegni bancari, avrebbe omesso di considerare, da un lato, la violazione del dovere di buona fede ascrivibile alla S.C.I.P. per non aver essa convocato il C. dal notaio, nonostante che il medesimo avesse comunicato la propria intenzione di acquistare l’immobile locato con lettera del 7.9.2002;

d’altro lato, le successive reiterate richieste di acquisto avanzate dal medesimo C..

Con il terzo motivo, riferito promiscuamente all’art. 360 c.p.c., n. 3 (con riferimento all’art. 2932 c.c.) e n. 5, il ricorrente attinge la ratio decidendi sopra riportata sub b) lamentando l’omessa considerazione, da parte della Corte distrettuale, delle reiterate offerte di pagamento del prezzo in unica soluzione contenute nell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio e nelle successive raccomandate del 4.10.05 e del 5.5.011.

La S.C.I.P. ha resistito con controricorso.

Soltanto il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 17.2.16 nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Osserva preliminarmente il Collegio che nel ricorso si attinge la prima ratio decidendi della sentenza gravata, secondo cui il C. non era in regola con il pagamento dei canoni, con il primo motivo e con la prima censura articolala nel secondo motivo; si attinge poi la seconda ratio decidendi della sentenza gravata, secondo cui il C. aveva offerto la propria prestazione in maniera “non conforme al dettato normativo che regolava la dismissione dell’unità abitativa”, con la seconda censura del secondo motivo e con il terzo motivo.

Procedendo all’esame del primo motivo – con cui il ricorrente argomenta che la Corte territoriale avrebbe dovuto giudicare inammissibile l’ eccezione di morosità del C. proposta dalla S.C.I.P. soltanto in grado d’appello e la produzione documentale effettuata dalla S.C.I.P., a sostegno di tale eccezione, soltanto nell’udienza di discussione del giudizio di appello – il Collegio osserva che il D.L. n. 351 del 2001, art. 3, comma 6, prevede che: “I diritti dei conduttori e degli affittuari dei terreni sono riconosciuti se essi sono in regola con il pagamento dei canoni…”;

la premessa regolarità dei pagamenti dei canoni costituisce dunque, secondo la disposizione in esame, un presupposto del riconoscimento del diritto all’acquisto dell’immobile beato. Pertanto, alla stregua del disposto dell’art. 2697 c.c., l’onere di allegare e provare tale presupposto grava sulla parte che intenda far valere il diritto all’acquisto dell’immobile, con la duplice conseguenza che:

la negazione di detto presupposto ad opera della controparte non costituisce eccezione, bensì mera difesa, ed è quindi deducibile anche in secondo grado (cfr. Cass. SSUU 89/97, Cass. Sez. 3 15211/05);

poichè l’onere della prova di essere in regola con il pagamento dei canoni gravava sul C., la S.C.I.P. non aveva alcun onere di dimostrare l’esistenza della morosità, con conseguente inammissibilità, per carenza di interesse a ricorrere, della doglianza con cui il ricorrente censura la sentenza gravata per non aver dichiarato inammissibile la produzione del prospetto contabile dei pagamenti dei canoni effettuati dal C..

Il primo motivo va quindi rigettato.

Parimenti da rigettare è la prima censura svolta nel secondo motivo, con la quale il ricorrente lamenta l’omessa considerazione, da parte della Corte distrettuale, di documenti da lui allegati all’atto di costituzione in appello (lo schema del testo contrattuale utilizzato dal notaio Roveda per la stesura dei contratti di compravendita del fabbricato in questione e il mandato collettivo conferito dal C. ai signori Ca. e P. per la stipula dell’ano di trasferimento). Nello stesso ricorso, infatti, si riferisce (pag. 11) che si tratta di documenti prodotti dal C. solo “con la costituzione in grado di appello”; tali documenti erano dunque inammissibili ex art. 345 c.p.c., comma 3, e pertanto la Corte territoriale non poteva tenerne conto (nè nel ricorso si propone alcuna specifica censura relativa alla mancata valutazione di indispensabilità di tali documenti ai fini della ammissibilità della relativa produzione in appello).

Tutte le censure mosse dal ricorrente alla ratio decidendi sub a) vanno quindi rigettate. Poichè tale ratio è autonomamente idonea a sorreggere il decisum, le censure proposte avverso la ratio decidendi sub b) nella seconda parte del secondo motivo e nel terzo motivo del ricorso devono giudicarsi inammissibili per sopravvenuta cessazione dell’interesse a ricorrere (tra le tante Cass. 3386/11).

Il ricorso va quindi in definitiva rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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