Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13034 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/05/2017, (ud. 20/02/2017, dep.24/05/2017),  n. 13034

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.D., M.S. e MA.An., in qualità di eredi

di ma.sa., rappresentati e difesi all’avv. Maurizio

Villani, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la decisione della Commissione tributaria centrale, sezione

di Bari, n. 380/03/10, depositata il 22 marzo 2010.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20 febbraio 2017 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione tributaria centrale, sezione di Bari, indicata in epigrafe, con la quale è stato rigettato il ricorso dell’Ufficio e confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di ma.sa. a titolo di IRPEF ed ILOR, per maggior reddito d’impresa derivante da omessa fatturazione di operazioni di acquisto e vendita di oro;

il giudice a quo ha affermato che: a) “i mezzi di prova che stanno alla base degli avvisi di accertamento e rettifica impugnati sono presunzioni semplici, prive del requisito della gravità, precisione e concordanza e come tali non possono assurgere a prova certa e concreta atta a legittimare l’operato dell’ufficio”; b) il procedimento sulla frode valutaria e il procedimento penale “si sono conclusi con l’assoluzione degli imputati non potendo essere considerato il patteggiamento chiesto dal contribuente uguale ad un decreto di condanna, ma una più semplice sentenza di proscioglimento”; c) “d’altra parte il ricorso dell’Ufficio si rivela, altresì, inammissibile trattandosi di questioni di valutazione estimativa, non potendo essere considerata quale atto istruttorio legittimante la relazione del C.T.U., che ha concluso con la rilevazione di un ricarico medio del 9,46% diverso da quello dichiarato dal contribuente dell’8,39%”;

M.D., M.S. e Ma.An., eredi di ma.sa., hanno resistito con controricorso;

il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

i controricorrenti hanno depositato memoria.

Considerato che:

va preliminarmente rilevato che il ricorso non investe il capo della decisione impugnata riportato sopra sub c), che è pertanto passato in giudicato, col quale è stata dichiarata inammissibile l’impugnazione relativa a questione di valutazione estimativa, con riferimento alla determinazione della percentuale di ricarico operata dal consulente tecnico d’ufficio;

con il primo motivo l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione dell’art. 444 cod. proc. pen., censurando la sentenza impugnata là dove il giudice a quo ha ritenuto che la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi della norma citata (c.d. patteggiamento) è equiparabile ad un proscioglimento;

il motivo è fondato, in base al consolidato principio secondo cui una tale pronuncia costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice, il quale, ove intenda disconoscerne l’efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione: detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento (tra altre, Cass. nn. 2724 del 2001, 19505 del 2003, 24587 del 2010);

col secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 cod. proc. civ. e art. 118 disp. att. cod. proc. civ., lamentando la mera apparenza della motivazione della sentenza in relazione alle censure proposte dall’Ufficio ricorrente;

va disattesa l’eccezione di inammissibilità per violazione dell’art. 111 Cost., sollevata dai resistenti, poichè, premessa l’erroneità del presupposto su cui si fonda – in quanto le decisioni della Commissione tributaria centrale alle quali è applicabile, come nella specie, la disciplina introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 possono essere impugnate con ricorso per cassazione anche per il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie, come detto, la ricorrente si duole della carenza assoluta della motivazione, riconducibile nell’ambito applicativo dell’art. 111 Cost., comma 7 (già secondo), art. Cost.;

il motivo è fondato, nella parte in cui il giudice a quo ha affermato che le presunzioni addotte dall’Ufficio fossero prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza: trattasi di asserzione – riportata sopra sub a) – del tutto apodittica e, quindi, di motivazione solo apparente, in quanto obiettivamente inidonea a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (da ult. Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016);

in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata, per nuovo esame, alla Commissione tributaria regionale della Puglia, la quale provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Puglia.

Così deciso in Roma, il 2 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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