Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13034 del 10/06/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 13034 Anno 2014
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: BIANCHINI BRUNO

ORDINANZA

responsabilità- risoluzione
contratto-

sul ricorso iscritto al n.r.g. 16904/12 proposto da:

– Olga CASCIARO ( c.f.: CSC LGO 32D44 I549N)
rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, sia
congiuntamente che disgiuntamente tra loro, dall’avv. Leonardo Mariorano e-dall’avv.
Gennaro Di Maio e con essi elettivamente domiciliata in Roma, via Appia Pignatelli n.
292, presso lo studio dell’avv. Vincenzo Cotardo

– ricorrente contro

– Impresa individuale di Valerio SINDACO ( p. IVA: 03372150759)
In persona dell’omonimo titolare ; rappresentata e difesa dall’avv. Mauro Finocchito;

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Giovanni Pellegrino in Roma, corso
Rinascimento n.11 , giusta procura a margine del controricorso

– Controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce n. 18/12 ; pubblicata il 18
gennaio 2012 e non notificata.

Data pubblicazione: 10/06/2014

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2014 dal Cons dr. Bruno
Bianchini;

RILEVATO
che è stata depositata relazione ex art. 380 bis cpc del seguente tenore:

di Maglie, l’impresa edile di Valerio Sindaco chiedendo che fosse risolto, per
inadempimento della stessa, il contratto di appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di
un immobile di proprietà dell’attrice: quest’ultima aveva dedotto che l’appaltatrice, in
modo del tutto ingiustificato, si era rifiutata di concludere i lavori ed aveva abbandonato
il cantiere, pretendendo che essa esponente rilasciasse una dichiarazione liberatoria in
merito ai possibili danni a persone e cose che sarebbero potuti derivare in caso di
continuazione dei lavori medesimi.
2 – Costituitasi l’impresa — che svolse domanda risarcitoria per il mancato guadagnol’adito Tribunale respinse entrambe le domande; tale pronunzia venne confermata dalla
Corte di Appello di Lecce che evidenziò come la condotta dell’appaltatrice sarebbe stata
giustificata, da un lato, dalla pericolosità delle opere come imposte dalla direzione dei
lavori — che aveva ordinato di puntellare il solaio oggetto di ristrutturazione su quello
sottostante- , dall’altro dalla perdurante responsabilità dell’appaltatrice, in caso di esito
negativo della opera ordinata , non agendo la stessa come nudus minister

della

committente e quindi non potendo divergere sulla stessa i risultati negativi del proprio
lavoro..
3 — Per la cassazione di tale decisione la Casciaro ha proposto ricorso, affidandolo a tre
motivi; la intimata ha risposto con controricorso.

RILEVA IN DIRITTO
I — Con il primo motivo viene denunziata la violazione e la falsa applicazione degli artt.
1453 e 1669 cod. civ. assumendo che la Corte leccese avrebbe omesso di considerare che
la caratteristica dell’appalto risiede nell’assunzione delle responsabilità derivanti

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– 2 –

“1 — Olga Casciaro convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, sezione distaccata

dall’esecuzione dell’opera commissionata e che pertanto ingiustificata sarebbe stata la
pretesa dell’appaltatrice di riversate detta responsabilità sulla committente; richiama altresì
la ricorrente l’indirizzo interpretativo di questa Corte che ha sancito la inefficacia di
qualunque clausola di esonero di responsabilità laddove si faccia valere la responsabilità

dell’appaltatrice, di abbandonare il cantiere, pur in presenza di un rifiuto di essa
committente a rilasciare la dichiarazione liberatoria circa le conseguenze in ordine alla
continuazione dei lavori, in presenza di altri strumenti normativi per veder dichiarare
risolto il contratto.
I.a — E’ convincimento del relatore che il motivo sia in parte inammissibile ed in parte
infondato.

I.a.1 — Determina l’inammissibilità del mezzo il reiterato richiamo ad elementi di fatto
emergenti, secondo la ricorrente, sin dal giudizio di primo grado ( con particolar riguardo
alla condotta tenuta da essa appaltante nei rapporti con l’appaltatrice), la valutazione dei
quali, all’evidenza, sfugge al sindacato di legittimità.

I.a.2 — La infondatezza della censura in esame emerge poi dalla irrilevanza della
considerazione delle obbligazioni nascenti dal contratto di appalto, dal momento che era
pacifico e costituiva il presupposto dell’agire dell’impresa — correttamente evidenziato
dalla Corte di appello- l’assunzione di responsabilità per quanto oggetto del contratto; il
proprium della fattispecie risiedeva invece nel rifiuto — ritenuto legittimo dalla Corte
territoriale- dell’appaltatrice di continuare i lavori che sarebbero stati fonte di
responsabilità per la stessa, senza idoneo ordine della committente che, dando atto delle
perplessità espresse dalla impresa, avesse assunto su di sé la responsabilità per la
continuazione delle opere, nelle modalità avversate dalla appaltatrice.

Ia.3 –

Del pari ininfluente, al fine di valutare la condotta dell’impresa in termini di

inadempimento, doveva dirsi il mancato esercizio dell’azione di risoluzione da parte della
appaltatrice, atteso che rientrava nella discrezionalità del soggetto non inadempiente

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extracontrattuale ex art. 1669 cod. civ.; sottolinea inoltre la illegittimità della condotta

reagire alla condotta di controparte rifiutando un adempimento che sarebbe stato fonte di
responsabilità, piuttosto che agire per la risoluzione del contratto.
H — Con il secondo motivo viene denunziata la violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma I n.5 cpc, assumendo che la pronunzia

riprendere i lavori da parte di essa committente, richiesta che, non solo vi sarebbe stata,
ma che avrebbe implicitamente avuto il significato di assunzione di quella responsabilità
che l’impresa poneva come condizione per l’esecuzione dell’appalto.

II.a — Il mezzo è inammissibile perché formulato in modo da non far comprendere se
venga denunziato un vizio di motivazione (come potrebbe desumersi dal richiamo all’art.
360, I comma n.5 cpc) — mancando in tal caso ogni riferimento a quale difetto sarebbe
stato denunziato nell’ iter logico seguito dal giudice dell’appello- oppure si lamenti una
violazione del dovere del giudice di decidere in base alle emergenze di causa, dando il
debito rilievo a ciascuna di esse

IIa.1 — La censura non sarebbe ammissibile neppure in termini di violazione delle norme
da ultimo richiamate in quanto rientra nel potere discrezionale del giudice del merito
valutare quali prove porre a sostegno del proprio convincimento, così che è sottratto al
controllo di legittimità l’esercizio di tale potere se esso, come nel caso di specie, sia stato
congruamente motivato; non può infine sfuggire all’interprete l’aporia logica nella quale
cade la ricorrente che ha sempre sostenuto di non aver voluto dare assicurazioni alla
impresa in merito all’accollo di responsabilità e che quindi non può affermare, in questa
sede, che tale accollo doveva dirsi implicitamente ricompreso nell’ordine di riprendere i
lavori.
III — Con il terzo motivo si denunzia la violazione della corrispondenza tra chiesto e
pronunziato, in cui sarebbe incorso il giudice dell’appello, nel non esaminare la richiesta
di essa ricorrente di valutazione della ordinanza — resa in prime cure- con la quale il
Tribunale aveva revocato l’ammissione di una consulenza tecnica.

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_

di secondo grado si sarebbe fondata sul rilievo di una mancata richiesta formale di

III.a

Il mezzo è inammissibile in quanto la richiesta di cui sopra non costituiva né una

domanda né — a quanto risulta- uno specifico motivo di appello e quindi non rientrava
nel novero delle questioni che, se non esaminate, determinano la violazione dell’art. 112
cpc; omette poi parte ricorrente di specificare l’oggetto della primitiva richiesta di

alla presenza di un interesse a proporre la questione.

IV

Si formula pertanto la proposta di definizione del ricorso in camera di consiglio con

declaratoria di manifesta infondatezza del ricorso”

RITENUTO
Che sono condivisibili le argomentazioni contenute nella relazione, non contestate dalla
stessa ricorrente né con memorie depositate a’ sensi dell’art. 380 bis, III comma, cpc, né
con discussione in sede di adunanza camerale;
che pertanto il ricorso va rigettato con ogni onere di spese sulla parte soccombente

P.Q.M.

La Corte di Cassazione
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro
2.900,00 di cui euro 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma il 17 aprile 2014, nella c era di consiglio della VI sezione della
Corte di Cassazione.

effettuazione della CTU, privando così la Corte di un parametro di riferimento in merito

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