Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13033 del 24/05/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 24/05/2017, (ud. 18/11/2016, dep.24/05/2017),  n. 13033

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. GRILLO Renato – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28111/2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA DI GENOVA, in persona del Commissario Straordinario e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

SCAGLIA giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA SUCCEDUTA EX LEGE in persona del

Sindaco Metropolitano, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE

GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

SCAGLIA giusta delega a margine;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 44/2012 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 18/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO;

udito per il controricorrente l’Avvocato CIPROTTI per delega

dell’Avvocato PAFUNDI che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 529/2011, la Commissione tributaria regionale di Genova confermava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Genova che, in accoglimento di ricorso della Provincia di Genova, aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate la quale, in relazione alla compravendita a trattativa privata di un immobile, pretendeva l’applicazione della maggiore imposta derivante dall’applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, che prevede, per i casi di alienazione espropriazione e trasferimento coattivo, la commisurazione dell’imposta di registro al prezzo di aggiudicazione, mentre la contribuente aveva invece pagato l’imposta commisurata al valore catastale.

2. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a unico motivo.

La Provincia di Genova si è costituita, chiedendo la declaratoria di inammissibilità e il rigetto del ricorso.

La Città Metropolitana di Genova, subentrata ex lege all’omonima Provincia, si è costituita e contestualmente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., deducendo la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale del predetto art. 44, con sentenza n. 6/2014 nonchè il passaggio in giudicato della sentenza favorevole per l’acquirente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La ricorrente lamenta, richiamando l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.P.R. 131 del 1986, art. 44 (T.U.I.R.). Dopo l’analisi delle caratteristiche della normativa che regola le vendite all’asta, sostiene che nel caso in esame erano presenti gli elementi caratterizzanti la procedura di evidenza pubblica, e infatti il dirigente della Provincia aveva autorizzato un secondo esperimento di gara mediante trattativa privata ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, art. 41, comma 1, dopo che la precedente procedura era andata deserta.

2. Il ricorso è ammissibile.

Va disattesa l’eccezione con la quale la resistente denuncia l’inammissibilità del ricorso, assumendo che lo stesso postulerebbe una nuova valutazione di una questione già decisa dal giudice di primo grado e non oggetto di impugnazione davanti al giudice dell’appello. Contrariamente a quanto sostenuto dalla resistente, l’impugnazione in esame non tende a mettere in discussione la qualificazione giuridica dell’atto di vendita sottoposto a tassazione in termini di trattativa privata, ma lamenta l’erroneità della decisione impugnata per non aver affermato la riconducibilità di tale procedura nell’ambito della categoria delle procedure ad evidenza pubblica, con conseguente assoggettamento alla relativa disciplina fiscale.

3. Il ricorso è infondato.

Il criterio generale per determinare la base imponibile degli atti che hanno ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, stabilito dal D.P.R. n. 131 del 1986, è costituito dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto (art. 43, comma 1, lett. a) – da intendersi nel senso di valore venale in comune commercio (art. 51, comma 1) – oppure dal corrispettivo pattuito, se questo sia superiore al valore venale (art. 51, comma 2).

La L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 497, ha introdotto una deroga a tale criterio generale di determinazione della base imponibile per le cessioni immobiliari, stabilendo che, in presenza di determinati requisiti (soggettivi e oggettivi) e di specifiche condizioni, la base imponibile, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale, sia costituita dal valore catastale, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato in atto (c.d. criterio “tabellare”). Tale criterio, basato appunto sul sistema del “prezzo-valore”, non poteva trovare applicazione per i trasferimenti degli immobili ad uso abitativo avvenuti a seguito di espropriazione forzata e, in generale, per i trasferimenti coattivi, in quanto, ai sensi dell’art. 44 del citato D.P.R., per tali trasferimenti la base imponibile è determinata con riferimento al prezzo di aggiudicazione o all’indennizzo riconosciuto.

Il tema dell’applicabilità del sistema del prezzo-valore ai trasferimenti posti in essere in sede di espropriazione forzata e di pubblico incanto di cui all’art. 44, tuttavia, è stato oggetto della sentenza n. 6 del 23 gennaio 2014 della Corte Costituzionale, intervenuta nella pendenza tra le parti del presente giudizio di cassazione.

Con tale pronuncia è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, i quali non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche e professionali, di chiedere che, in deroga al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, comma 1, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 4 e 5, fatta salva l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ultimo periodo.

La Corte Costituzionale ha rilevato che “La mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità, in particolare, con riguardo, all’esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato”. La norma oggetto della declaratoria di incostituzionalità persegue la finalità di consentire al contribuente di scegliere la soluzione più conveniente in relazione all’andamento del mercato immobiliare. Secondo la Corte, “L’attuale sistema consente, infatti, non solo di esercitare il diritto potestativo consistente nella scelta del valore determinato secondo il criterio tabellare, ma anche, in presenza di fasi congiunturali avverse, quando i prezzi degli immobili in regime di libero mercato risultino – anche a seguito dell’eventuale concomitante aggiornamento dei dati catastali inferiori al medesimo criterio tabellare, di non chiedere l’applicazione di tale criterio”. La preclusione della facoltà di scelta per gli acquirenti della stessa categoria di immobili destinati ad uso abitativo, che parimenti non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, ma acquisiscono la proprietà in esito a procedure esecutive o per asta pubblica, contrasta, pertanto, con l’art. 3 Cost., poichè implica un’ingiustificata discriminazione del trattamento tributario riservato ad una categoria omogenea di beni.

A seguito di tale decisione, deve ritenersi che la previsione di cui alla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 497, include la possibilità per il contribuente – di richiedere l’applicazione del criterio del prezzo valore anche ai trasferimenti derivanti da espropriazione forzata e da pubblico incanto di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, qualora ne ricorrano le condizioni.

La sentenza della Corte costituzionale opera, dal giorno della sua pubblicazione, con effetto ex tunc, con il solo limite dei rapporti già esauriti.

Nella fattispecie in esame, si è in presenza non solo di rapporto ancora pendente tra le parti, ma di proposizione da parte del contribuente di istanza di determinazione della base imponibile secondo il criterio del c.d. prezzo-valore, in ragione dell’applicazione dei parametri catastali, sin dal momento della richiesta di registrazione dell’atto di vendita.

Alla luce dell’intervenuta pronuncia della Corte costituzionale, il ricorso, a prescindere dall’esame della questione relativa alla riconducibilità della procedura con la quale è stato trasferito l’immobile nella disposizione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 44, è infondato. L’imposta di registro, in ogni caso, poteva essere computata secondo il criterio del valore catastale dell’immobile compravenduto, come richiesto specificatamene dall’acquirente in sede di rogito notarile. L’avviso di liquidazione in contestazione, quindi, risulta illegittimo poichè fondato sull’erroneo presupposto dell’inapplicabilità dell’agevolazione del prezzo del valore ai trasferimenti effettuati nell’ambito di procedure esecutive e/o aste pubbliche.

4. Per le ragioni esposte, il ricorso per cassazione va rigettato. Considerata la complessità della questione e l’intervento della sentenza della Corte Costituzionale sopra richiamata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite per tutte le fasi del giudizio.

PQM

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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