Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13032 del 14/05/2021

Cassazione civile sez. trib., 14/05/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 14/05/2021), n.13032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15011-2013 proposto da:

UNO MAGIC SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour

presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata e

difesa dall’avvocato CARLA RAGNA giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2013 della COMM.TRIB.REG.UMBRIA, depositata

il 09/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2020 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIOVANNI GIACALONE, che ha concluso per il rigetto;

udito per il ricorrente l’Avvocato RAGNA CARLA che si riporta e

insiste per l’accoglimento.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 10.10.2012, Uno Magic s.r.l. chiese alla C.T.R. dell’Umbria la revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, della sentenza n. 92/04/12, dalla stessa emessa il 19.3.2012 e pubblicata il 4.5.2012. La sentenza revocanda era stata resa nel giudizio d’appello, promosso dalla società, in relazione all’impugnazione di due avvisi di accertamento a suo tempo notificati, con cui si contestavano le violazioni di cui all’art. 6, commi 1, 4, 5 e 8, nonchè del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, comma 4, e ciò in relazione ad alcune fatture di acquisto di “gratta e vinci, cartoline riproduttive e ricariche telefoniche” degli anni 2006 e 2007, erroneamente fatturate dalle cedenti in esenzione IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74, comma 1, lett. c), e così rivendute dalla stessa società. Con il ricorso in revocazione, Uno Magic s.r.l. sostenne che la decisione della C.T.R. – che aveva rigettato il gravame da essa proposto – era fondato su un errore di fatto, consistente nell’erronea mancata considerazione che, tra le cedenti le cartoline in contestazione, oltre a quelle per cui era stato predisposto il p.v.c. del 20.7.2009 (Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A.), ve n’erano altre pure emergenti dagli allegati al p.v.c., con conseguenti ricadute sul quantum dovuto sia per IVA, che per le sanzioni (in quanto ricomprendenti transazioni per cui la qualità di editore del cedente non era contestata). Disposta la sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione con decreto del 13.11.2012, con sentenza del 9.12.2013 la C.T.R. dell’Umbria dichiarò però il ricorso inammissibile, non essendo configurabile nella specie alcun errore di fatto.

Uno Magic s.r.l. ricorre ora per cassazione, impugnando sia la sentenza n. 54/1/13 del 9.5.2013, sia la sentenza n. 92/04/12 del 4.5.2012, rispettivamente sulla base di uno e due motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si impugna la sentenza che ha disposto sulla revocazione (sentenza n. 54/1/13) per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. ha ritenuto sussistente una circostanza non provata (o provata solo in parte), non essendo stati esaminati gli allegati al p.v.c. del 20.7.2009, da cui emergevano le transazioni operate in esenzione IVA D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 74, comma 1, lett. c), anche con soggetti cedenti diversi – e incontestabilmente dotati della qualità di editori – dalle predette Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A..

1.2 – Con il secondo motivo, si impugna la sentenza d’appello (sentenza n. 90/04/12) per omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La ricorrente si duole anche qui del fatto che la C.T.R. è giunta ad affermare la correttezza del rilievo fiscale ritenendo che l’intero ammontare delle operazioni contestate concernesse le sole predette Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A., senza però esaminare gli allegati al p.v.c. del 20.7.2009, da cui emergevano transazioni operate in esenzione IVA con altri soggetti, ciò che è desumibile anche dal mero confronto tra il numero di fatture emesse da queste ultime e riscontrate dai verbalizzanti (una per il 2006 e 17 per il 2007) a fronte del totale fatture in esenzione (25 per il 2006 e 66 per il 2007).

1.3 – Con il terzo motivo, infine, si impugna la sentenza d’appello (sentenza n. 90/04/12) per violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente evidenzia che l’obbligo di regolarizzare la fattura irregolare, in capo al cessionario, non può estendersi al controllo sulle valutazioni giuridiche espresse dal soggetto emittente, come nella specie avvenuto riguardo alle fatture emesse da Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A., auto-qualificatesi società editrici, con conseguente fatturazione delle relative merci in esenzione IVA.

2.1 – Il primo motivo, inerente alla sentenza con cui l’impugnazione per revocazione è stata dichiarata inammissibile, è a sua volta inammissibile per almeno due ragioni.

Anzitutto, perchè esso è stato formalmente proposto in relazione al previgente disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendosi denunciata l’omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Tale vizio, com’è noto, non è più proponibile in sede di legittimità in relazione alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, come è nella specie, occorrendo quindi far riferimento al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, che solo consente la denuncia dell’omesso esame di fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ma anche a voler “recuperare” il vizio denunciato sotto l’egida del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (invero, nel corpo del mezzo più volte si fa riferimento all’omesso esame di fatto decisivo), il motivo è comunque inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

Infatti, la censura muove dalla considerazione che la C.T.R. della revocazione ha dato per scontato che l’intera ripresa per IVA, relativa ad operazioni fatturate come esenti, concernesse le sole operazioni con Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A., mentre invece dagli allegati al p.v.c. del 20.7.2009 era evincibile il contrario. Ora, l’esposizione cui ha fatto ricorso Uno Magic s.r.l., al riguardo, non consente di apprezzare la decisività della doglianza, giacchè – pur vero essendo che dagli allegati al p.v.c., riportati in ricorso, emerge l’esistenza di operazioni con cedenti diversi (di cui non parrebbe contestata la qualità di società editrice) – non è stato riportato in ricorso il contenuto degli avvisi di accertamento impugnati, dal raffronto con il quale contenuto detta decisività avrebbe potuto ben apprezzarsi. In altre parole, dalla mera lettura del ricorso non è possibile arguire che la ripresa fiscale per cui è processo sia basata integralmente sulle operazioni elencate negli stralci degli allegati al p.v.c. del 20.7.2009 e non si fondi, invece, sulle sole operazioni con le predette Venus s.r.l. e Dainet.it di M.A., come pure affermato claris verbis dalla C.T.R.

3.1 – Il secondo motivo – inerente alla sentenza d’appello – è stato invece correttamente proposto ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la sentenza essendo stata pubblicata il 4.5.2012), ma è anch’esso inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

Anche in tal caso, seppur nell’ottica dell’omessa o insufficiente motivazione, manca infatti la corretta e completa esposizione, nonchè l’adeguata indicazione dei documenti, anche sotto il profilo contenutistico, che consenta di apprezzare dalla mera lettura del ricorso la decisività della censura, proprio per le medesime ragioni prima esposte.

4.1 – Il terzo motivo, inerente all’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, per non aver la ricorrente regolarizzato le fatture per cui è processo, implica la soluzione della questione del se la qualità di impresa editrice delle emittenti rientri o meno nell’ambito di valutazione del cessionario, ai fini dell’obbligo in discorso.

Sul piano generale, è ormai ampiamente ricevuto il principio per cui “In tema di IVA, l’obbligo, in capo al concessionario o committente, di regolarizzare le fatture emesse dal cedente sussiste nel solo caso in cui le mancanze da questi commesse riguardino l’identificazione dell’atto negoziale e i dati fiscalmente rilevanti, ma non si estende anche a controlli sostanziali sulla corretta qualificazione fiscale dell’operazione, non soltanto perchè ciò non sarebbe coerente con il contestuale obbligo del soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l’imposta non versata o versata in misura insufficiente, ma anche perchè l’inclusione, tra i suoi compiti, di un apprezzamento critico su quanto dichiarato in ordine all’imponibilità dell’operazione, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore, con supplenza di funzioni di esclusiva pertinenza dell’Ufficio finanziario. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto violato l’obbligo di regolarizzazione gravante sul cessionario, in quanto le fatture, che erano state emesse dalla cedente senza applicazione dell’Iva, contenevano un’irregolarità formale, dovendo esse contenere l’indicazione dell’aliquota, dell’ammontare dell’imposta e dell’imponibile)” (così, da ultimo, Cass. n. 14275/2020).

Ciò posto, ritiene la Corte che la questione circa la qualità del soggetto cedente (id est, se sia o meno “editore”), come correttamente evidenziato dall’Agenzia in controricorso, sia una mera questione di fatto e non di diritto, risolvendosi nell’apprezzamento di caratteri di esteriorità propri del soggetto cedente, come estrinsecantisi nell’attività d’impresa. Ne discende che, ove questi non sia in possesso di caratteri esteriori tali da parametrarlo all’attività d’impresa editrice, non possa che sussistere l’obbligo di regolarizzazione da parte del cessionario, trattandosi di apprezzare in fatto un elemento fenomenicamente percepibile (la natura di “editore” o meno del cedente), ai fini dell’assoggettamento delle operazioni all’esenzione in discorso; la relativa statuizione del giudice d’appello, coinvolgendo questione di merito, può dunque essere censurata in sede di legittimità solo sotto il profilo motivazionale, vizio tuttavia non denunciato dalla società, riguardo alla detta questione, sicchè il mezzo in esame si rivela inammissibile.

Può pertanto affermarsi, in proposito, il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, in caso di cessione indebitamente sottoposta al regime di esenzione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, comma 1, lett. c), l’obbligo, in capo al concessionario o committente, di regolarizzare le fatture emesse dal cedente, pur non estendendosi anche a controlli sostanziali sulla corretta qualificazione fiscale dell’operazione, sussiste se il cedente stesso non sia in possesso di caratteri esteriori che denotino per l’esercizio dell’attività d’impresa editoriale, questione da accertarsi con valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è tutt’ora proponibile”.

3.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato, con condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, come in dispositivo.

In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 maggio 2021

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