Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1303 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 738/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Tiger Flex s.r.l., corrente in (OMISSIS) (FI), in persona del legale

rappresentante p.t., con gli avv.i prof. Pasquale Russo, prof.

Guglielmo Fransoni e Francesco Padovani e con domicilio eletto

presso lo studio del secondo in Roma, viale Bruno Buozzi n. 102;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la

Toscana – Firenze n. 98/09/12, pronunciata l’01 ottobre 2012 e

depositata il 05 novembre 2012, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

1.La società contribuente, operante nel settore della produzione di calzature, era oggetto di una verifica di carattere generale per il periodo d’imposta 01/02/2004 – 31/01/2005, all’esito della quale veniva assunto un p.v.c del (OMISSIS). Ivi veniva contestato l’omesso versamento dell’IRAP 2004 per il quale i verificatori proponevano direttamente il recupero a tassazione. In relazione all’IRPEG 2004 i verificatori esponevano invece dei meri rilievi, rinviando all’Ufficio ogni valutazione.

1.1. In particolare detti ultimi rilievi avevano ad oggetto un cospicuo numero di operazioni di cessione (circa il 95% del fatturato) alla società svizzera Luxury Goods International, quale distributrice di un’altra società svizzera ( G.), cui era affiliata la contribuente. Le indagini avrebbero dunque dovuto accertare il cd. transfer pricing.

2. L’Ufficio notificava così in data (OMISSIS) un primo avviso di accertamento parziale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, con il quale recepiva i rilievi svolti dai verificatori in merito all’IRAP 2004, applicando le relative sanzioni.

2.1. Successivamente, e cioè in data 12 novembre 2008, l’Ufficio notificava un secondo avviso di accertamento avente invece ad oggetto i rilievi in materia di transfer pricing, e con cui il reddito veniva ricostruito in base al valore “normale” calcolato ai sensi dell’art. 76 T.U.I.R., comma 1), quale risultato di un lungo lavoro di indagine che aveva condotto alla determinazione dei maggiori ricavi determinati in Euro 1.830.264,00 (i verificatori avevano ipotizzato un’omessa valorizzazione dei ricavi per Euro 3.737.022,00).

3. La contribuente adiva pertanto il giudice di prossimità lamentando la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 40 e 43, ivi contestando l’emissione di due distinti avvisi di accertamento per lo stesso periodo d’imposta. Costituitosi l’Ufficio, la CTP accoglieva il ricorso nel merito, dopo aver rigettato l’eccezione preliminare svolta dalla contribuente, ossia riconoscendo all’Amministrazione finanziaria la possibilità di accertare anche in via parziale l’imposta dovuta e non versata (ivi compresa la maggiore imposta).

4. Interponeva appello principale l’Ufficio, censurando la sentenza per aver erroneamente valutato l’operato dell’Amministrazione, in particolar modo per aver travisato la correttezza del metodo utilizzato nel calcolo del valore normale dei prezzi di trasferimento infragruppo. La società contribuente si costituiva contestando l’appello principale e svolgendo appello incidentale in relazione alla questione preliminare, ivi ribadendo il principio di unicità dell’accertamento e, per l’effetto, l’illegittimità dei due avvisi assunti in relazione a medesimo periodo d’imposta.

5. La CTR accoglieva l’appello incidentale svolto dalla contribuente affermando che, stante la verifica fiscale conclusasi con un unico p.v.c. contenente n. 6 rilievi, avrebbe dovuto essere emesso un unico avviso di accertamento. Di contro era stato emesso un primo avviso contenente n. 3 rilievi e, a seguire, un secondo avviso contenente il sesto rilievo indicato nel p.v.c.. Il secondo avviso di accertamento era quindi stato emesso per colmare la lacuna del precedente, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, secondo cui un accertamento integrativo è legittimo solo se fondato su elementi nuovi e sopravvenuti, come tali precedentemente sconosciuti all’Ufficio. Donde l’illegittimità del secondo avviso di accertamento, essendo preclusa all’Ufficio la possibilità di frammentare gli avvisi di accertamento scaturenti da un’unica verifica generale. Concludeva la CTR statuendo che: a) le pretese impositive accertate in una verifica generale debbono essere trasfuse in un solo atto di rettifica, essendo preclusa all’Amministrazione finanziaria la possibilità di formare plurimi avvisi di accertamento. Tale regola generale sconta solo due eccezioni: l’accertamento parziale e l’accertamento integrativo, sempre che ricorrano i rispettivi presupposti: b) con la notifica del primo avviso l’Ufficio avevo consumato il proprio potere accertativo, essendo in possesso di un p.v.c. generale con dei rilievi già identificati, i quali necessitavano solo di conferma: avendo concentrato il primo avviso su n. 3 rilievi, l’Ufficio aveva implicitamente rinunciato agli altri 3; c) in ogni caso, il secondo avviso di accertamento, che la CTR qualificava “chiaramente integrativo/modificativo”, era stato emesso in assenza dei presupposti di legge (sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi) e così in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4.

6. Insorge con ricorso per cassazione l’Amministrazione finanziaria che svolge un unico motivo di ricorso, cui resiste la contribuente con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

1. Con l’unico motivo di ricorso l’Ufficio censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 41-bis e 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. L’Amministrazione finanziaria prende le mosse dall’esegesi dell’art. 41-bis, relativo all’avviso di accertamento parziale, per affermarne l’applicabilità ai casi in cui la capacità contributiva emerge ictu oculi da una segnalazione, di guisa che all’Ufficio è rimesso il solo onere di trasfondere la suddetta segnalazione in un avviso, demandando ad un momento successivo una valutazione più approfondita nei confronti del contribuente. Di tal via, afferma la ricorrente, è riconosciuta all’Ufficio la facoltà di emettere nuovi avvisi superando il condizionamento derivante dalla conoscenza sopravvenuta di nuovi elementi, quale metodologia ammessa anche da questa Corte.

1.2. Con richiamo invece al D.P.R., art. 43, l’Ufficio sostiene che l’avviso di accertamento integrativo o modificativo può essere ammesso quando sopraggiungano dei motivi nuovi, che devono essere specificati a pena di nullità.

2. Su tali premesse l’Amministrazione rilevava che:

a) era fatto pacifico che il p.v.c. non contenesse gli esiti completi dell’indagine, tenuto conto che quella relativa al transfer pricing doveva ancora essere eseguita: ne era prova la circostanza che l’Ufficio stimava l’omessa valorizzazione dei ricavi in Euro 1.830.264,00, quale importo ben inferiore ai 3.373.022,00 Euro quantificati dai verificatori;

b) il secondo avviso trovava pertanto il suo fondamento su dati accertati successivamente al p.v.c.;

c) legittimo era dunque l’operato dell’Amministrazione che aveva emesso un primo avviso parziale sulla scorta dei dati indicati nel p.v.c., rinviando l’accertamento ordinario ad un’indagine successiva;

d) precisava infine che l’illegittimità dell’accertamento avrebbe potuto essere dichiarata solo nel caso in cui il secondo avviso fosse stato assunto sulla scorta di elementi acquisiti sin dall’origine: ipotesi non ravvisabile nel caso di specie ove l’Amministrazione aveva dovuto condurre ampia indagine successiva anche per determinare il valore normale dei beni ceduti.

3. La difesa del contribuente contesta la ricostruzione dei fatti così come riassunta dalla difesa erariale. Rappresentando che oggetto di ripresa a tassazione era l’IRES e non l’IRPEG, la parte contribuente afferma che i due avvisi di accertamento avevano ad oggetto entrambe le imposte IRES e IRAP rilevate nel medesimo p.v.c. In altri termini, non corrisponderebbe al vero che i due avvisi avevano contenuto diverso, riguardando differenti imposte. Al contrario, tanto l’IRES quanto l’IRAP erano oggetto di entrambi gli atti impositivi e, soprattutto, lo erano del primo avviso.

3.1 Corretta era dunque la conclusione cui era pervenuto il giudice d’appello: posto che il primo avviso aveva ad oggetto entrambe le imposte di cui all’unico p.v.c. e che con esso l’Ufficio aveva di fatto contestato tutte le pretese impositive derivanti da quel processo verbale, il suo potere accertativo doveva dirsi esaurito. Conseguentemente un nuovo avviso di accertamento non poteva prescindere da fatti nuovi e sopravvenuti come previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4.

3.1. Su tali basi eccepisce, in via preliminare, l’inammissibilità del motivo di ricorso per difetto del requisito di autosufficienza per non aver l’Avvocatura dello Stato trascritto gli avvisi di accertamento e avendo così reso impossibile a questa Corte la verifica della questione sottoposta mediante il solo esame del ricorso.

4. L’eccezione è infondata e dev’essere rigettata.

4.1. Costituisce ormai ius receptum di questa Corte il principio secondo cui la parte ricorrente ha solo l’onere di trascrivere nelle sue parti essenziali ovvero di riassumere e poi localizzare nell’incarto processuale o altrimenti allegare i documenti di riferimento, in aderenza a quella nozione di completezza ed esaustività virtuosa (cfr. Cass., S.U. n. 16628/09, recentemente, Cass., V, n. 8425/2020). In questo senso, l’Ufficio precisa in ricorso il punto essenziale del PVC esibito ex 369 c.p.c., e indica le indagini ulteriori trasfuse nell’avviso finale parimenti esibito ex 369 c.p.c..

4.2. Ciò premesso, la censura in esame si fonda su quattro circostanze: a) la ripresa a tassazione, nei confronti della contribuente, di due imposte (Ires e Irap); b) un p.v.c. parziale che dettagliava la pretesa impositiva in materia di Irap, limitandosi a fare solo un minimo cenno all’Ires; c) due avvisi di accertamento relativi ciascuno a una sola delle imposte; d) l’adozione, in ultima analisi, di due avvisi parziali e non di un avviso parziale, seguito da un avviso integrativo.

Il motivo è fondato.

Questa Corte ha affermato che il ricorso all’accertamento parziale previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, rappresenta uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie. Inoltre esso non preclude una integrazione dell’accertamento medesimo, sicchè ad esso può fare seguito un successivo accertamento senza che sia necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come invece prescritto per l’accertamento integrativo dal successivo art. 43, che invero risponde a diverse finalità.

Invero, l’accertamento parziale, a differenza di quello generale previsto dal medesimo D.P.R., art. 43, non richiede la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte della Amministrazione, da indicare in modo specifico a pena di nullità del nuovo accertamento (Cfr. Cass., V, n. 22237/2019; n. 23685/2018). E’ poi indubbio che il quadro sì delineato possa trovare applicazione anche ove la fattispecie concreta abbia preso le mosse da una verifica generale che abbia dato luogo ad un unico processo verbale di constatazione (cfr. Cass., sent. n. 11057/2006; n. 2833/2008; n. 2761/2009).

Nella fattispecie in esame è incontroverso che la contribuente sia stata oggetto di verifica generale conclusasi con un p.v.c. contenente rilievi sia in punto di Irap sia in punto di Irpeg. Parimenti incontroverso è che il primo avviso di accertamento notificato dall’Ufficio avesse ad oggetto solo il recupero a tassazione per l’IRAP, mentre il secondo avviso avesse ad oggetto il solo recupero a tassazione per l’Irpeg, peraltro in forza di accertamenti condotti in un momento successivo.

Non può dunque trovare condivisione il ragionamento logico-giuridico seguito dal Giudice d’appello secondo cui il primo avviso di accertamento sarebbe stato successivamente integrato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3. Come correttamente rilevato dalla difesa erariale, nel caso di specie sono stati assunti due distinti avvisi di accertamento parziali. E’ pacifico che l’accertamento parziale è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile (Cass. V, n. 28681/19; 8406/18). In particolare l’utilizzazione dello strumento dell’accertamento parziale, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41-bis, è nella disponibilità degli Uffici quando ad essi pervenga una segnalazione della Guardia di finanza che fornisca elementi per ritenere la sussistenza di un reddito non dichiarato, senza che tale strumento debba (neppure prima delle modificazioni apportate dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311) essere subordinato ad una particolare semplicità della segnalazione pervenuta (Cass. V, n. 11057/06) e può essere integrato da un successivo accertamento, senza che sia necessario che vengano indicati gli elementi sopraggiunti, come prescritto per l’accertamento integrativo dal medesimo D.P.R., art. 43 (cfr. Cass. V, n. 23685/18). Peraltro la conoscenza sopravvenuta di altri elementi di fatto, nuovi rispetto a quelli posti a fondamento del primo avviso, è pacifica attesa la difficoltà dell’indagine internazionale per il transfer priceing precisata nel PVC, che prescinde dell’IRPEG e autolimita al valore normale dell’IRAP.

In conclusione il ricorso è fondato e merita accoglimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Toscana, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

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