Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1303 del 18/01/2019

Cassazione civile sez. trib., 18/01/2019, (ud. 11/12/2018, dep. 18/01/2019), n.1303

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8905/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– ricorrente –

contro

B.B.S. S.R.L., in persona del legale rappresentante, rappresentata e

difesa, giusta procura a margine del controricorso con ricorso

incidentale, dall’avv. Alessandro Bertolini, con domicilio eletto

presso lo studio dell’avv. Mario Scialla, in Roma, Largo Trionfale,

n. 7;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 88/1/11 della Commissione Tributaria regionale

della Toscana depositata il 17 febbraio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 11/12/2018 dal

Consigliere Dott. Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott.ssa Sanlorenzo Rita, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso principale e la inammissibilità del

ricorso incidentale;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Bruno Dettori.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società B.B.S. s.r.l. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, in relazione all’anno d’imposta 2003, ai fini I.V.A., Irpeg e Irap, rilevava:

a) maggiori ricavi non dichiarati per Euro 103.291,28 derivanti dalla vendita di un immobile;

b) I.V.A. indebitamente detratta per Euro 392.899,00 relativa alla compravendita di due immobili;

c) maggiore I.V.A. a debito per Euro 34.000,00.

La Commissione provinciale accoglieva il ricorso ad eccezione della ripresa, ai fini I.V.A., dell’importo di Euro 34.000,00, derivante da nota di credito della società Zeio s.r.l. con cui si annullavano due fatture emesse nell’anno 2002.

Interposto appello principale dalla Agenzia delle Entrate ed appello incidentale dalla contribuente, la Commissione regionale respingeva il primo ed accoglieva il secondo.

Disattesa la eccezione di inammissibilità dell’appello principale, i giudici di secondo grado ritenevano, con riferimento al primo rilievo contenuto nell’atto impositivo impugnato, che l’operato dell’Ufficio era ” viziato dal presupposto che, in caso di indizio o di sospetto di non redditività della azienda, si dovesse immediatamente, con ulteriori presunzioni, elevare il reddito in base a parametri più o meno statistici ” e che in caso di sospetta vendita sottofatturata era necessario rinvenire in contabilità prove della presunta evasione, solo in presenza delle quali poteva presumersi che il bene fosse stato venduto ” nell’ambito delle forbici di valore di mercato “; relativamente alla indebita detrazione dell’I.V.A. per Euro 382.899,00, affermavano che la ripresa non era suffragata da valida motivazione, poichè non teneva conto del fatto che l’I.V.A. era a carico del consumatore finale e che il prezzo era quello fatturato, salvo che l’Ufficio non dimostrasse che era stata corrisposta una somma più bassa.

Aggiungevano che dagli atti risultava che l’Amministrazione non aveva preso come elemento di raffronto valori di immobili situati nella medesima località, nè aveva offerto prova documentale che la società alienante (SIFIM) avesse dichiarato, ai fini I.V.A., un volume di affari inferiore all’imponibile delle due compravendite immobiliari.

Riformavano la sentenza di primo grado relativamente al terzo rilievo contestato con l’avviso d’accertamento, osservando che ” secondo la B.B.S. s.r.l. la ripresa aveva come presupposto la nota di credito presentata dalla società 2 Eco s.r.l. ” e che ” l’anomalia riscontrata dall’Ufficio era stata giustificata, dalla B.B.S., con il fatto che nell’anno 2002 tutte le fatture erano state pagate e, quindi, nessun rapporto reciproco di dare/avere poteva emergere in sede di bilancio “.

Avverso la decisione di secondo grado ricorre per la cassazione l’Agenzia delle Entrate, con cinque motivi.

La contribuente resiste mediante deposito di controricorso e propone ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente esaminato l’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale la controricorrente – deducendo violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta che la Commissione regionale ha rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Ufficio, da essa sollevata, sebbene l’atto non contenesse alcun rilievo critico alla sentenza di primo grado, essendosi l’Agenzia delle Entrate limitata a dolersi del mancato accoglimento delle difese svolte in primo grado ed a richiamare per relationem l’avviso di accertamento, omettendo di specificare le ragioni per cui il percorso argomentativo dei giudici di primo grado fosse erroneo o insufficiente.

L’esame del ricorso incidentale risulta pregiudiziale in quanto il suo eventuale accoglimento precluderebbe l’esame dei motivi dedotti con il ricorso principale.

1.1. Il motivo va rigettato.

1.2. Anche prescindendo dalla considerazione che la ricorrente ha erroneamente rubricato il vizio di legittimità come “error in iudicando”, anzichè come vizio di nullità afferente l’attività svolta nel processo ascrivibile al paradigma dell'”error in procedendo” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la censura risulta comunque infondata, in quanto dalla stessa esposizione delle argomentazioni poste a base dell’appello proposto dall’Ufficio, richiamate, seppure sinteticamente, nel controricorso con ricorso incidentale, si evince che l’Agenzia delle Entrate ha adeguatamente contestato le singole statuizioni della sentenza della Commissione provinciale, pure riassunte nel controricorso.

1.3. Secondo il costante orientamento di questa Corte, ” nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere di impugnazione specifica previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “i nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo d’impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito ” (Cass. n. 7369 del 22/3/2017; Cass. n. 3064 del 29/2/2012; Cass. n. 1200 del 22/1/2016).

1.4. E’ pur vero che si è anche affermato che in tema di contenzioso tributario è inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, l’appello che, limitandosi a riprodurre le argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado, senza il minimo riferimento alle statuizioni di cui è chiesta la riforma, non contenga alcuna parte argomentativa che miri a contestare il percorso logico-giuridico della sentenza impugnata (Cass. n. 1461 del 20/1/2017).

1.5. Nella specie, tuttavia, come emerge dallo stesso controricorso, l’Agenzia delle Entrate con l’atto di appello non ha soltanto ribadito la fondatezza dell’accertamento operato, ma ha anche puntualmente aggredito le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, contestando il percorso logico-giuridico posto dalla Commissione provinciale a fondamento del proprio convincimento, assolvendo in tal modo l’onere di specificità richiesto dal cit. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53.

2. Con il primo motivo del ricorso principale, la difesa erariale deduce, in ordine alla ripresa relativa al recupero di maggiori ricavi non dichiarati per Euro 103.291,28, rilevante ai fini Irpeg, Irap ed I.V.A., motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Riportando uno stralcio dell’avviso di accertamento, evidenzia che da una analisi delle fatture emesse dalla contribuente è stato rilevato che la B.B.S. s.r.l. aveva ceduto la proprietà di un fabbricato, ricostruito ex novo a seguito di abbattimento di quello originario, alla società Fineco Leasing s.p.a. per un importo di Euro 516.457,00, dopo avere annotato, fra le rimanenze iniziali del bilancio 2003, i lavori eseguiti nel cantiere, quantificandoli in Euro 619.748,28.

A seguito di risposta al questionario – con la quale la B.B.S. s.r.l. si era limitata ad evidenziare che la società acquirente Fineco s.p.a., a seguito di valutazione dei propri periti, aveva ritenuto congruo il prezzo di vendita dell’immobile richiesto e che la vendita dell’immobile era ricompresa in un più ampio progetto immobiliare che prevedeva tra le parti acquisti e vendite di diversi beni – è stato emesso l’atto impositivo sul presupposto che la cessione dell’immobile ad un prezzo inferiore rispetto a quello stimato dalla stessa società contribuente in sede di giacenza iniziale costituisse comportamento antieconomico.

Ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata è viziata in quanto non tiene conto del fatto che il reddito dichiarato è stato elevato “non in base ai parametri più o meno statistici”, ma tenendo conto del valore del bene come contabilizzato dalla stessa contribuente nelle giacenze iniziali per l’anno 2003, e che la risposta fornita dalla contribuente in sede di questionario si riferiva esclusivamente alla ritenuta convenienza economica dell’affare per la acquirente Fineco, ma non indicava le ragioni di convenienza economica per la contribuente.

2.1. Il motivo è fondato e va accolto.

2.2. I giudici di appello hanno annullato la ripresa a tassazione in esame ritenendo che: ” l’operato dell’Ufficio è viziato dal presupposto che, in caso di indizio e di sospetto di non redditività dell’azienda, si debba immediatamente, con ulteriori presunzioni, elevare il reddito in base ai parametri più o meno statistici”; ” in caso di sospetta vendita con sotto fatturazione, ai fini del reddito è necessario rinvenire tra la contabilità e gli altri documenti….., prove di evasione”; ” solo con una qualche, pur minima, prova di evasione era legittimo presumere che il bene era stato venduto nell’ambito delle forbici di valore di mercato…”; ” non risulta che l’Agenzia abbia fatto indagine circa la veridicità dei fatti addotti a giustificazione del minor prezzo. In particolare, l’Ufficio aveva il dovere, avendolo tra i suoi documenti, di verificare l’esistenza dell’affitto, tra la B.B.S. e la società poi fallita, prima di emettere accertamento…”.

2.3. Così argomentando, la Commissione regionale non ha correttamente considerato il quadro presuntivo legittimante il ricorso all’accertamento induttivo operato dall’Amministrazione ed ha adottato una motivazione che si rivela generica ed affetta da vizi logici, in quanto, a fronte dei diversi elementi posti a base dell’accertamento, lo ha ritenuto viziato senza fornire argomenti validi a supporto del proprio convincimento.

2.4. Va, in proposito, sottolineato che l’atto impositivo oggetto di impugnazione, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di secondo grado, non è stato emesso facendo ricorso ” a parametri più o meno statistici” e neppure si fonda sulla incongruità del prezzo rispetto ai valori di mercato dell’immobile, ma poggia piuttosto sulla incongruità del prezzo dell’immobile dichiarato nell’atto di compravendita rispetto ai valori esposti nella contabilità della stessa B.B.S. s.r.l. ed è, pertanto, finalizzato ad evidenziare un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia, in ordine al quale il contribuente non è riuscito a fornire una adeguata spiegazione.

2.5. Infatti, in presenza di un comportamento antieconomico, che il contribuente non giustifichi in alcun modo, è del tutto legittimo l’accertamento sulla base presuntiva ed il giudice di merito, per poter annullare l’accertamento, deve specificare, con argomenti validi, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie (Cass. 10802 del 24/7/2002; Cass. 14428 del 8/7/2005; Cass. 20422 del 21/10/2005; Cass. n. 9084 del 7/4/2017).

Nel caso di specie, i giudici di appello, non tenendo conto degli elementi presuntivi posti a fondamento dell’atto impositivo e delle giustificazioni addotte dalla contribuente nella “risposta al questionario”, hanno valorizzato la circostanza del preesistente contratto di affitto che la contribuente aveva stipulato con una società poi dichiarata fallita, non spiegando le ragioni per cui l’esistenza di detto contratto possa essere ritenuta decisiva al fine di determinare la congruità del prezzo di vendita dell’immobile, e non hanno considerato che si trattava di cespite interamente ricostruito dalla stessa contribuente e che il ricavo dichiarato risultava insufficiente a coprire l’ammontare dei costi dalla stessa sostenuti per l’abbattimento e la ricostruzione ex novo dell’immobile.

2.6. In sostanza giudici di secondo grado hanno omesso di valutare il rapporto logico tra i dati fattuali dai quali emergeva la obiettiva antieconomicità dell’operazione e l’onere della prova.

Infatti, una volta contestata l’antiecononnicità di un’operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, diviene onere dello stesso contribuente dimostrare la liceità fiscale di detta operazione, senza che si possa invocare l’apparente regolarità contrattuale e contabile, ed il giudice tributario non può limitarsi a constatarne la regolarità cartacea (Cass. n. 11599 del 18/5/2007).

3. Con il secondo motivo, la Agenzia delle Entrate, in ordine al secondo rilievo concernente il recupero di detrazione I.V.A per Euro 392.899,00 in relazione a due compravendite immobiliari, deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54.

Premettendo che da una analisi della documentazione contabile e extracontabile era emerso che la società vantava un credito I.V.A. nel 2003 per un ammontare di Euro 357.430,00, che scaturiva da due acquisti immobiliari relativi a terreni siti nel Comune di Magliano in Toscana, la ricorrente evidenzia che:

a) per il primo immobile sito in località (OMISSIS), era stato stipulato in data 23/6/2003 rogito notarile, con il quale la contribuente aveva acquistato dalla S.I.FI.M. s.r.l., a cui era legata da una interessenza societaria pari al 98%, un immobile al prezzo di Euro 730.000,00, da pagarsi a saldo entro il 30.6.2004, senza interessi sulla somma; detta proprietà era stata acquistata nell’ottobre 2002 dalla Sifim s.r.l. al minor prezzo di Euro 70.000,00;

b) per il secondo immobile, sito in località (OMISSIS), in data 28/6/2003 era stato stipulato rogito notarile, con il quale la B.B.S. s.r.l. aveva acquistato dalla S.I.F.I.M. al prezzo di Euro 1.239.496,00, già pagato con rilascio di quietanza a saldo, non assistita da documentazione di pagamento; detta proprietà era stata acquistata, circa tre anni prima, dalla Sifim s.r.l. al prezzo di Euro 387.343,00;

c) quanto alle modalità di pagamento, la B.B.S. s.r.l., come evidenziato nell’avviso di accertamento ritrascritto nel ricorso per cassazione, in data 31/7/2003 aveva registrato nel libro giornale le due fatture di acquisto (nn. 43 e 44 del 2003), rilevando, rispettivamente, per l’immobile sito in località (OMISSIS), un debito nei confronti del socio Sifim s.r.l. pari ad Euro 876.000,00 (Euro 730.000,00, oltre I.V.A.) ed I.V.A. a credito pari ad Euro 146.000,00 e, per l’immobile sito in località (OMISSIS), un debito verso il socio Sifim s.r.l. pari ad Euro 1.487.395,20 (Euro 1.239.496,00, oltre I.V.A.) ed I.V.A. a credito pari ad Euro 247.899,20;

d) in data anteriore, e precisamente il 7/7/2003, la contribuente aveva tuttavia aperto il “conto funzionamento passivo (272101)”, intestato alla Sifim s.r.l., iscrivendo nella sezione “Dare” un importo corrispondente al valore totale delle compravendite e movimentando come contropartita il conto di finanziamento passivo 271504 “Finanziamento socio SIFIM”.

La ricorrente, dopo avere sottolineato che nella situazione fattuale sopra delineata ha ravvisato una operazione parzialmente fittizia creata allo scopo di far sorgere in capo alla contribuente costi inesistenti da portare in detrazione, considerato che il prezzo dei due immobili non è stato mai pagato, in quanto la controllante Sifim s.r.l. ha concesso alla B.B.S. s.r.l. un finanziamento – documentato solo mediante una annotazione contabile – di pari importo che include anche la somma chiesta a rimborso I.V.A., e che la alienante Sifim s.r.l. ha dichiarato nell’anno 2003, ai fini I.V.A., un volume di affare pari ad Euro 1.031.163, importo di gran lunga inferiore all’imponibile complessivo derivante dalle due sole compravendite concluse con la B.B.S. s.r.l., lamenta che la sentenza impugnata ha annullato la ripresa a tassazione sul presupposto che l’I.V.A. è una imposta neutra, per cui alla maggiore imposta che l’acquirente B.B.S. s.r.l. ha detratto corrisponde la maggiore I.V.A. che la venditrice Sifim s.r.l. dovrà versare, e che il recupero dell’I.V.A. indebitamente detratta dal cessionario impone la prova dell’evasione da parte del cedente.

4. Con il terzo motivo, riguardante il medesimo recupero a tassazione, l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54 e degli artt. 2698 e 2729 c.c., nella parte in cui la Commissione regionale ha affermato che “il prezzo è quello fatturato salvo che l’Ufficio non dimostri che è stata pagata un’imposta più bassa….” e che “manca la prova documentale che confermi la circostanza che la Sifim aveva dichiarato ai fini IVA un volume di affari inferiore all’imponibile nella compravendita con BBS”.

Sostiene che tale motivazione contrasta con il consolidato orientamento giurisprudenziale che esclude l’esistenza, a carico del fisco, dell’onere della prova della inesistenza della operazione, ponendo a suo carico solo l’onere di fornire riscontri indiziari, in presenza dei quali scatta a carico del contribuente l’onere di dimostrare l’effettività delle operazioni.

5. Con il quarto motivo (erroneamente indicato in ricorso con il numero 3), la ricorrente, sempre con riguardo alla ripresa relativa al recupero della detrazione I.V.A., censura la sentenza per motivazione insufficiente e contraddittoria in ordine ad un fatto decisivo e controverso del giudizio.

In particolare, si duole del fatto che la C.T.R. non tiene conto:

a) che la società venditrice degli immobili era anche la controllante della B.B.S. s.r.l. (di cui possedeva il 98% delle quote);

b) i valori di mercato degli immobili nel Comune di Orbetello non costituivano la base logica dell’accertamento, la quale era invece data dalla considerazione che gli immobili acquistati dalla Sifim s.r.l. erano stati da questa rivenduti poco tempo dopo ad un prezzo notevolmente aumentato;

c) nell’avviso di accertamento era stato indicato che la alienante aveva dichiarato nell’anno 2003 ai fini I.V.A. un volume d’affari di gran lunga inferiore all’imponibile complessivo derivante dalle sole compravendite;

d) il prezzo di vendita non era stato mai pagato e ciò in virtù di un presunto finanziamento che la venditrice Sifim avrebbe erogato alla cessionaria controllata B.B.S. s.r.l.

6. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo che possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione logica, sono infondati.

7. Nelle ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, non spetta al contribuente provare che l’operazione è effettiva, ma spetta all’Amministrazione, che adduce l’esistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, in realtà non è mai stata posta in essere. Tale prova è raggiunta se l’amministrazione fornisca validi elementi – alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, – che possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente fittizie), ovvero che – ai sensi del medesimo decreto, art. 54, comma 3, dimostrino “in modo certo e diretto” la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione; in tal caso verrà a gravare sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. n. 2847 del 7/2/2008; Cass. 17977 del 24/7/2013; Cass. 18111 del 14/9/2016; Cass. n. 11873 del 15/5/2018).

Pertanto, il giudice tributario è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione e, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. c.c.e 2697 c.c. (Cass. n. 9784 del 23.4.2010).

8. Tanto premesso in via generale, la sentenza impugnata, all’esito dell’esame dei presupposti fattuali, è pervenuta alla valutazione conclusiva della mancanza di “presunzioni gravi, precisi e concordanti” desumibili dagli elementi offerti dall’Amministrazione.

I giudici di merito hanno, infatti, rilevato che l’Agenzia delle Entrate non ha dimostrato che il prezzo pattuito nei rogiti notarili non fosse quello effettivo e reale, atteso che la presunta fittizietà delle operazioni non poteva ricavarsi dai valori degli immobili del Comune di Orbetello, che l’Ufficio aveva preso come elemento di raffronto, trattandosi di immobili situati in località diversa da quella in cui si trovavano i cespiti acquistati dalla contribuente; hanno, inoltre, posto in rilievo che il maggior prezzo pattuito dalle parti teneva conto della concessione edilizia già rilasciata, della progettazione esecutiva, del contratto di appalto e degli oneri accessori già assolti dalla venditrice, nonchè del fatto che i beni immobili, prima dell’acquisto da parte della Sifim, avevano caratteristiche completamente diverse rispetto al momento in cui erano stati venduti alla B.B.S. s.r.l.

Hanno, quindi, ritenuto che la circostanza, pure dedotta dall’Ufficio, che la Sifim aveva dichiarato, ai fini I.V.A., un volume d’affari inferiore all’imponibile delle due compravendite concluse con la B.B.S. s.r.l. non fosse supportata da idoneo riscontro documentale e che le questioni attinenti al pagamento del prezzo pattuito ed al finanziamento effettuato dal socio Sifim erano state riproposte in sede di appello senza apportare elementi specifici ed ulteriori rispetto a quelli già sottoposti ai giudici di primo grado e da questi già esaminati e valutati.

La Commissione regionale ha dunque svolto una completa valutazione di ciascun indizio offerto dall’Agenzia delle Entrate, ponendolo in collegamento con gli altri secondo lo schema legale della presunzione semplice, ed ha fatto corretta applicazione dei criteri di ripartizione in materia di onere probatorio, addivenendo, con apprezzamento di fatto, che, essendo adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, ad un accertamento che esclude la sussistenza della indebita detrazione di I.V.A.

Non sono, pertanto, configurabili le denunciate violazioni di legge, nè il prospettato vizio di motivazione.

9. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, ed assume, relativamente al rilievo che riguarda una nota di credito asseritamente emessa in carenza dei presupposti di legge, che la Commissione regionale ha violato la disposizione normativa richiamata, perchè la nota di variazione non faceva alcun riferimento alla fattura di vendita modificata.

Richiamando la motivazione dell’avviso di accertamento, ritrascritto in ricorso, l’Agenzia delle Entrate sottolinea che l’esame delle scritture contabili ha consentito di accertare l’esistenza di due acconti dell’importo di Euro 30.000,00 ricevuti dalla Zeio s.r.l. e fatturati con causale “acquisto di un fondo commerciale sito in via Sauro”, registrati in data 2/1/2003 e 1/2/2003, nonchè l’annotazione, in data 1/4/2003, di “anticipi da clienti” per Euro 34.000,00, relativi ad una nota di credito emessa nei confronti della Zeio s.r.l. con causale “storno per errata fatturazione” senza alcun riferimento alla fattura precedente.

10. Il motivo è fondato.

10.1. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, consente al cedente di portare in detrazione l’I.V.A. in ogni caso in cui ” un’operazione per la quale sia stata emessa fattura…. viene meno in tutto od in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile “.

L’applicabilità di tale disposizione presuppone: a) la realizzazione di un’operazione imponibile, per la quale sia stata emessa fattura, che sia vera e reale (Cass. n. 5979 del 14/3/2014 e n. 24231 del 18/11/2011); b) il sopravvenire di una causa di scioglimento del contratto (Cass. n. 15059 del 2/7/2014), non occorrendo uno specifico accertamento negoziale o giudiziale dell’intervenuta risoluzione; c) la sussistenza di un titolo idoneo a realizzare gli effetti solutori del precedente contratto, con il rispetto delle eventuali forme prescritte ad substantiam o ad probationem; d) l’identità delle parti dell’accordo risolutorio e del negozio oggetto di risoluzione consensuale; e) il regolare adempimento degli obblighi di registrazione previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972; f) un lasso di tempo infrannuale, entro il quale deve verificarsi la vicenda risolutiva, qualora essa trovi titolo in un accordo di mutuo dissenso (Cass. n. 20445 del 6/10/2011; Cass. n. 13250 del 2015).

10.2. Dal tenore della norma si evince chiaramente che ciò che rileva non è la modalità con cui si manifesta la causa di variazione dell’imponibile I.V.A., ma piuttosto il fatto che sia della variazione che della sua causa sia stata effettuata la dovuta registrazione, conformemente a quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23,24 e 25. Poichè lo scopo perseguito dalla legge è quello di evitare forme di elusione degli obblighi del contribuente, attraverso l’introduzione del principio di immodificabilità delle registrazioni obbligatorie, con la sola eccezione di successive variazioni dell’imponibile o dell’imposta, ai sensi del citato art. 26, ne discende che il contribuente è tenuto a fornire la prova della corrispondenza tra le due operazioni (originaria e sopravvenuta) mediante la specifica indicazione di quei dati che risultino idonee a collegarle, ossia dimostrando l’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie e l’oggetto della registrazione della variazione, in modo da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (Cass. n. 9188 del 6/7/2001). Qualora tale corrispondenza non emerga dal contenuto di tali atti, il contribuente può ricorrere anche ad altri mezzi probatori, purchè rispetti i principi generali in materia di prova (Cass. n. 8535 del 2014; n. 13250 del 2015).

10.3. Nel caso in esame, il giudice d’appello si è discostato dai principi sopra indicati, in quanto, affermando che “secondo la B.B.S. s.r.l. la ripresa aveva come presupposto la nota di credito presentata dalla società 2 Eco s.r.l.” e che “l’anomalia riscontrata dall’Ufficio era stata giustificata, dalla B.B.S., con il fatto che nell’anno 2002 tutte le fatture erano state pagate, e, quindi, nessun rapporto reciproco di dare/avere poteva emergere in sede di bilancio”, ha annullato l’accertamento senza verificare se la società contribuente avesse fornito un “documentata giustificazione” della emissione della nota di accredito in questione.

11. In conclusione, va rigettato il ricorso incidentale proposto dalla contribuente e, in accoglimento del primo e del quinto motivo del ricorso principale, rigettati i restanti motivi, la sentenza va cassata, con rinvio della causa, per nuovo esame della fattispecie ed adeguata motivazione sui rilievi sopra enunciati sub. p. 2.2., 2.3., 2.4., 2.5., 2.6. e 10.1, 10.2. e 10.3., alla Commissione tributaria regionale della Toscana, che, in diversa composizione, liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie il primo ed il quinto motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2019

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