Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13028 del 25/05/2017

Cassazione civile, sez. lav., 24/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.24/05/2017),  n. 13028

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3404/2011 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.A., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO TRIESTE 185, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE

VERSACE, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DI PALMA,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 468/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/01/2010 R.G.N. 10922/2005.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza pubblicata il 28.1.10 la Corte d’appello di Napoli, in totale riforma della sentenza di rigetto emessa in primo grado dal Tribunale della stessa sede, dichiarato nullo il termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato (per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”) tra Poste Italiane S.p.A. e D.A., per il periodo 18.5.02 30.6.02, aveva accertato la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti, con conseguente condanna della società a riammettere ín servizio il lavoratore e a pagargli gli arretrati retributivi a far data dalla notifica del ricorso introduttivo di lite; che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a sei motivi;

che D.A. resiste con controricorso;

che l’udienza originariamente fissata per il 14.1.16 è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulle ordinanze di rimessione nn. 14340/15 e 15705/15.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 2 e art. 4, comma 2, dell’art. 12 preleggi, degli artt. 1362 c.c. e segg. e art. 1325 c.c. e segg., per avere la Corte territoriale dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto de quo per mancanza di specificità della clausola giustificatrice.

che analoga censura viene fatta valere anche con il secondo motivo, sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;

che il terzo motivo prospetta violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, artt. 115,116,244,253 c.p.c. e art. 421 c.p.c., comma 2, perchè il medesimo errore di interpretazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, denunciato nei primi due motivi è stato alla base dell’inversione dell’onere della prova posta in essere dalla Corte territoriale e dell’illegittimo rigetto dell’istanza di prova testimoniale formulata dalla società per dimostrare la fondatezza della causale apposta al contratto per cui è causa;

che analoga censura viene sostanzialmente fatta valere con il quarto motivo sotto forma di vizio di motivazione; che il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1218,1219,2094,2099 e 2697 c.c., nella parte in cui la gravata pronuncia non ha affermato che alla lavoratrice spettano le retribuzioni solo a decorrere dal momento dell’effettiva ripresa del servizio;

che analoga censura viene mossa anche nel sesto motivo, con l’aggiunta della richiesta di applicare quanto meno lo ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32;

che ritiene il Collegio l’infondatezza del primo e del secondo motivo (da esaminarsi congiuntamente perchè connessi), atteso che, con riferimento a fattispecie nelle quali erano state adoperate clausole giustificatrici di contenuto analogo a quello utilizzato nel caso in esame, questa Corte di legittimità (cfr.,ex aliis, Cass. 1.2.2010 n. 2279) ha affermato che il legislatore, richiedendo l’indicazione da parte del datore di lavoro di specificate ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, ha inteso stabilire, in consonanza con la direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza 23.4.2000, in causa C-378/07 ed altre; sentenza 22.11.2005, in causa C-144/04), un onere di specificazione delle ragioni oggettive del termine finale, vale a dire di indicazione sufficientemente dettagliata della causale nelle sue componenti identificative essenziali, riguardo sia al contenuto che alla sua portata spazio-temporale e più in generale circostanziale, perseguendo in tal modo la finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè la loro immodificabilità nel corso del rapporto;

che l’onere di specificazione nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta all’imprenditore di fare ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate e che tale onere ha lo scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze ammesse dalla legge, imponendo la riconoscibilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto;

che il venir meno del, sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate, ma obiettive, con riferimento alle realtà in cui il contratto viene ad essere calato;

che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, con conclusione adeguatamente motivata e che resiste, pertanto, alle censure formulate dalla società ricorrente;

che il terzo e il quarto motivo – anche essi da esaminarsi congiuntamente perchè connessi – sono inconferenti in quanto attengono a profili estranei alla ratio decidendi della gravata pronuncia, basata esclusivamente sulla mancanza di specificità della clausola giustificatrice, che rende a monte nulla l’apposizione del termine, a prescindere da successive attività processuali e dal loro esito;

che il sesto motivo è fondato nella parte in cui si chiede l’applicazione dello ius superveniens, il che assorbe ogni censura formulata nello stesso motivo e nel quinto, dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.pc.., comma 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), atteso che il ricorso per cassazione ha ad oggetto non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio in giudicato da escludersi essendo ancora sub iudice la questione relativa alla validità del termine);

che, in conclusione, accolto nei sensi di cui sopra il sesto motivo, rigettati i primi quattro ed assorbito il quinto, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

 

accoglie il motivo concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017

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