Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13025 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 13025 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

SENTENZA

R.G.N. 13897/2008

sul ricorso 13897-2008 proposto da:

cr.-i)002s

CELCOT S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (p.i. 00562940064), Rep.2Z2S
in persona del liquidatore rag. BELLATO ALESSANDRO,

Ud. 13/05/2014

e GARBARINO MARINA (c.f. GRBMRN56S64A182U), nella pu
qualità

di

liquidatore

del

Data pubblicazione: 10/06/2014

concordato,

elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA MAZZINI
2014
1009

27, presso l’avvocato DI GIOIA GIOVAN CANDIDO, che
le rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GUGLIERMERO PATRIZIA MARIA, giusta procura a
margine del ricorso;

1

- ricorrenti contro

LUIGI SALVADORI S.P.A. (C.F./P.I. 00397360488), in
persona del legale rappresentante p.t. SALVADORI
LUIGI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA

TERESA, rappresentata e difesa dall’avvocato COMINI
STEFANIA, giusta procura a margine del
controricorso;

controri corrente

avverso la sentenza n. 1263/2007 della CORTE
D’APPELLO di TORINO, depositata il 31/07/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 13/05/2014 dal Consigliere
Dott. FRANCESCO ANTONIO GENOVESE;
udito, per le ricorrenti, l’Avvocato GIOVAN CANDIDO
DI GIOIA che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per

PANETTERIA 15, presso l’avvocato AVITABILE MARIA

il rigetto del ricorso.

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La

Luigi Salvadori Spa,

operante nel settore della

produzione e distribuzione di prodotti sanitari per la
medicazione, titolare dei diritti inerenti il marchio
«Luxor», relativo ai propri prodotti di cotone idrofilo (e

commercio di prodotti similari praticato dalla

garze semplici e medicate, ecc.) chiedeva, in relazione al
srl Celcot,

che utilizzava il marchio «Luxor India» (solo in un secondo
tempo sostituito con quello di «India superiore»), dapprima
il sequestro delle confezioni di cotone ed altre misure da
adottarsi a carico della intimata e, poi, con atto di
citazione, notificato il 21 gennaio 1998, proponeva azione
di contraffazione del marchio, con pronuncia di inibitoria
e, in subordine, azione di concorrenza sleale, con
richiesta di risarcimento danni. La

srl

Celcot

si

costituiva contestando tutte le domande e il Tribunale,
concesso il sequestro, successivamente revocato in sede di
reclamo, uditi i testimoni e disposta Ctu, respingeva tutte
le domande.
2.

L’appello proposto dalla

Luigi Salvadori Spa

veniva,

invece, integralmente accolto dalla Corte d’appello di
Torino che,

con sentenza depositata il 31 luglio 2007,

dichiarava che il marchio «Luxor» o «Luxor India» usato
dalla Celcot srl costituiva una contraffazione di quello di
cui era titolare la

Luigi Salvadori Spa

e ne inibiva
3

l’utilizzazione,

condannando

la

contraffattrice

al

pagamento di una somma di danaro oltre accessori, alla
pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani, alle
spese del doppio grado di giudizio e a una somma per ogni
confezione di prodotto messa in vendita in violazione della

decisione e successivamente alla sua pronuncia.
i

Secondo il giudice di appello, premesso che
«Luxor» è un marchio forte, nei fatti la

il marchio

Celcot srl se ne

sarebbe appropriata, con un’aggiunta linguistica («India»)
poco significativa e senza che i segni grafici apposti
sulle confezioni potessero rilevare e dar luogo ad una
significativa differenza dei segni distintivi, dimostrando,
invece, l’esistenza della denunciata contraffazione, la cui
domanda di accertamento veniva accolta esimendo la Corte
territoriale dall’esame della subordinata (quella proposta
per l’accertamento della concorrenza sleale). Il danno
veniva quantificato, in via globale ed equitativa, ai sensi
dell’art. 1226 c.c., dalla Corte d’appello, attraverso la
Ctu disposta in primo grado, con la quale era stato
verificato l’ammontare del fatturato della

Celcot

nel

periodo di tempo esaminato, considerato un ricarico del 20%
sul venduto e sottratta una quota di prodotto di cui era
ipotizzabile la vendita con un diverso marchio.
3.Avverso tale decisione la Celcot srl ha proposto ricorso
per cassazione, affidato a quattro motivi di censura,
4

contro

cui

resiste

la

Luigi

Salvadori

Spa,

con

controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.Con il primo motivo di ricorso (violazione delle norme

quesito di diritto:

sulla competenza) la ricorrente ha formulato il seguente
Se alla luce della decisione della

Corte costituzionale n. 112 del 2008, la sezione
specializzata in materia di proprietà industriale e
intellettuale presso la Corte d’Appello di Torino fosse
competente a decidere la controversia di cui sopra, ove il
primo grado si era svolto secondo le norme antecedenti
all’entrata in vigore del cd. codice della proprietà
industriale, ai sensi del D. Lgs. n. 30 del 2005 o se non
fosse competente la Corte d’appello di Torino.
Secondo la ricorrente, posto che la menzionata sentenza
della Corte costituzionale n. 112 del 2008, che ha
dichiarato l’illegittimità dell’art. 245, coma 2, del
decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, nella parte in
cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle
sezioni specializzate le controversie in grado d’appello
iniziate dopo l’entrata in vigore del codice della
proprietà industriale, è sì sopravvenuta alla pronuncia di
appello ma la stessa, pendendo il ricorso per cassazione,
per non essere ancora passata in cosa giudicata, sarebbe
invalida perché pronunciata da un organo incompetente,
5

analogamente a quanto avviene per le decisioni adottate da
sezioni non specializzate rispetto alla competenza delle
sezioni specializzate agrarie.
1.2.Con il secondo motivo di ricorso (violazione e falsa
applicazione degli artt. 2711, 2697 c.c. e 184 e 210 c.p.c.

nonché omessa motivazione) la ricorrente in relazione alla
violazione di legge, ha formulato i seguenti quesiti di
diritto: a)

Se sia conforme al disposto di cui agli artt.

2711 c.c., nonché 210 e 212 c.p.c., l’ordine rivolto alla
parte di esibire integralmente le proprie scritture
contabili, in assenza di un’istanza della controparte
formulata entro il termine per il deposito delle memorie
istruttorie di cui all’art. 184 c.p.c. (nella formulazione
previ gente) e in assenza di una indicazione e/o deduzione
circa il contenuto rinvenibile dal documenti da esibirsi;b)
Se si sostituisca o meno all’onere probatorio incombente
alla parte, a norma dell’art. 2697 c.c., il giudice civile
che ordini ad una parte, in assenza di apposita istanza
della controparte, di esibire in giudizio, senza alcuna
precisa indicazione, la documentazione necessaria per
addivenire alla determinazione del danno rivendicato dalla
controparte medesima.

In relazione al vizio motivazionale

ha così riassunto la doglianza:

Nonostante la Celcot avesse

contestato l’ammissibilità della Ctu nei termini sopra
indicati e, quindi, l’utilizzabilità della stessa al fini
della decisione, la Corte d’Appello di Torino, senza
6

motivare sul punto, ha preso a riferimento le risultanze
della stessa per pervenire alla liquidazione del danno
patito dalla Salvadori.
97
La ricorrente ha premesso che la decisione relativa alla
quantificazione del danno si è basata sulla Ctu svolta in
primo grado, che ha accertato l’entità ed il fatturato

M

complessivo realizzato con la vendita del prodotto oggetto
della contraffazione, ed ha ricordato le fasi processuali
della sua ammissione nonché del suo svolgimento. Ha
ricordato che l’eccezione di inammissibilità della Ctu,
ribadita anche nella comparsa conclusionale, con riguardo
alla tassatività delle ipotesi in cui questa è consentita
dall’art. 2711 c.c., sarebbe stata riproposta anche nella
comparsa di costituzione in appello ma, la Corte, non ne
avrebbe tenuto conto né avrebbe motivato in merito. In tal
modo sarebbero state violate le regole riguardanti il
riparto dell’onere probatorio consentendo, con la
disposizione dell’ordine di esibizione impartito d’ufficio,
un indebito vantaggio per la società attrice ed appellante.
1.3.Con il terzo motivo di ricorso (violazione degli artt.
1226 e 2697 c.c.) la ricorrente ha formulato il seguente
quesito di diritto:

Se sia conforme ai disposti di cui agli

artt. 1226 e 2697 c.c., nella liquidazione del danno a
seguito di contraffazione di marchio, ricorrere al criterio
equitativo, in assenza di alcuna prova da parte del
:

7

titolare del diritto di marchio della contrazione di
vendite subita o del calo di fatturato patito a causa
dell’asserito illecito, prendendo come riferimento il solo
dato delle vendite effettuate dall’impresa contraffattrice.
Assume la ricorrente che la Corte territoriale avrebbe

errato nella sua decisione in quanto l’attrice non avrebbe
allegato, come era suo dovere, né una contrazione di
vendite né un calo del fatturato per effetto della
contraffazione. Aver quantificato il danno con il criterio
equitativo è equivalso a eludere il dovere probatorio in
capo alla società attrice.
1.4.Con il quarto motivo di ricorso (violazione dell’art. l
della legge marchi, nel testo vigente

ratione temporis,

nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione) la ricorrente, in relazione alla presunta
violazione di legge, ha formulato il seguente quesito di
diritto: Se sia conforme all’art. 1 della legge marchi (nel
testo vigente all’epoca dei fatti) aver ritenuto l’asserita
contraffazione senza effettuare alcun giudizio sulla
identità e/o affinità tra i prodotti oggetto dei due marchi
in contestazione.

In relazione al vizio motivazionale ha

così riassunto la doglianza:

La Corte d’appello ha

completamente omesso ogni valutazione circa l’identità e/o
affinità tra i due prodotti.

8

Infatti, non esisterebbe alcuna identità o affinità tra i
due prodotti commerciati secondo il criterio relativo
all’attitudine a soddisfare lo stesso bisogno. Nella specie
le due confezioni di cotone comparate apparterrebbero a
differenti settori merceologici (cotone per uso sanitario

destinato alle farmacie e agli ospedali e cotone per la
cosmesi e l’igiene, destinato al mercato della grande
distribuzione).
***

2.1.11

primo motivo di ricorso, con il quale si lamenta

l’illegittimità della sentenza di appello per essere stata
pronunciata in difetto di «competenza», quale risultante
dalla pronuncia di illegittimità costituzionale a seguito
della sopraggiunta decisione della Consulta n. 112 del
2008, è infondato.
Non è in discussione il presupposto, secondo il quale la
sentenza di appello non è passata in cosa giudicata
formale, essendo ancora pendente il giudizio di cassazione
al momento della pronuncia di illegittimità costituzionale,
ma forma oggetto di dibattito la questione delle
conseguenze della sopravvenuta pronuncia del Giudice delle
Leggi il quale ha accolto l’eccezione di incostituzionalità
della disposizione denunciata, in conseguenza della quale
la questione non avrebbe dovuto essere decisa da quel
particolare organo giurisdizionale.
9

2.2.Pur non essendo in discussione un problema di
legittimità costituzionale dell’organo giurisdizionale in
sé e per sé, ma solo la misura delle sue attribuzioni
giurisdizionali, appare utile partire dalle considerazioni
che questa stessa Corte ha svolto in relazione all’ipotesi

di accoglimento della contestata legittimità costituzionale
dell’organo giurisdizionale in sé medesimo.
In

tali

casi,

di

riconosciuta

incostituzionalità

dell’organo (o di una sua particolare composizione), questa
Corte ha affermato (Sez. U, Sentenza n. 9217 del 2003 e
successive conformi) che le «dichiarative della
incostituzionalità (in sé o in relazione ad alcune sue
componenti) di un organo giurisdizionale non comportano
l’inefficacia della fase processuale svoltasi innanzi a
tale organo e del provvedimento che l’abbia conclusa, ove
intervengano dopo l’esaurimento di essa, salvo che la
relativa questione di legittimità costituzionale sia stata
sollevata prima della conclusione di detta fase, ovvero
dedotta, come motivo impugnatorio della sentenza, per il
profilo del difetto di costituzione del giudice, ai sensi
dell’art. 161, primo comma, cod. proc. civ., in relazione
all’art. 158 dello stesso codice» (fattispecie relativa
alla composizione della Giunta speciale per le
espropriazioni presso la Corte di appello di Napoli, con
l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico erariale di Napoli o
un suo delegato – cui ha fatto seguito l’intervento
10

correttivo del legislatore attuato con l’art. 7 del D.L. n.
251 del 2002, convertito nella legge n. 1 del 2003 -). E
ciò in ragione del principio secondo cui la nullità
derivante dal vizio di costituzione del Giudice, ancorché
assoluta e rilevabile d’ufficio, non si sottrae, ai sensi

dell’art. 158 cod. proc. civ. (che fa espressamente salva
la disposizione del successivo art. 161), al principio di
conversione delle cause di nullità in motivi
d’impugnazione, con la conseguenza che, in caso di mancata,
tempestiva denuncia del vizio de

quo

attraverso lo

strumento dell’impugnazione, il rilievo della detta nullità
resta precluso per tutto l’ulteriore corso del processo»
(Sez. U, Sentenza n. 3074 del 2003).
Dunque, anche in casi estremi siffatti, la pronuncia di
merito resta salva, a meno che l’organo – ovvero la sua
composizione – sia, nella sua tenuta costituzionale, stato
“contestato” tempestivamente (o prima della pronuncia o
successivamente ad essa, con i motivi di impugnazione
formulati prima della pronuncia di costituzionalità): ciò
che non è avvenuto nel caso di specie.
2.3. Già tanto basterebbe a confutare il motivo di ricorso

che, invece, si riferisce a vizio (di minor gravità) che il
ricorrente erroneamente ascrive alle questioni di
competenza (assimilando il caso delle sezioni specializzate
per la proprietà industriale a quelle agrarie, che hanno
11

una composizione quali-quantitativa diversa da quelle delle
sezioni ordinarie della Corte d’appello ed a quella
specializzata per la proprietà industriale) che la costante
giurisprudenza di questa Corte riduce a questione avente
solo rilievo organizzativo e semmai di rito. Come da ultimo
ha fatto questa Corte (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 21668 del

In

2013) ricordando che «la ripartizione delle funzioni tra le
sezioni specializzate e le sezioni ordinarie del medesimo
tribunale non implica l’insorgenza di una questione di
competenza, attenendo piuttosto alla distribuzione degli
affari giurisdizionali all’interno dello stesso ufficio; ne
consegue che una sezione ordinaria del tribunale non è
incompetente a trattare una causa che, secondo l’art. 134
del codice della proprietà industriale (d.lgs. 10 febbraio
2005, n. 30), andrebbe assegnata alla sezione specializzata
dello stesso tribunale istituita ai sensi del d.lgs. 27
giugno 2003, n. 168».
2.4.

Sennonché,

nel caso di specie,

il vizio di

costituzionalità relativo all’art. 245, comma 2, del
decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, nella parte in
cui stabilisce che sono devolute alla cognizione delle
sezioni specializzate le controversie in grado d’appello
iniziate dopo l’entrata in vigore del codice della
proprietà industriale, anche se il giudizio di primo grado
è iniziato e si è svolto secondo le norme precedentemente
in vigore, è stato sanato dall’intervento del legislatore
12

il quale ha dato un nuovo testo all’art. 245, secondo
comma, del d.lgs. cit. (con l’art. 19, quinto comma, della
legge 23 luglio 2009, n. 99). In base ad esso, i giudizi in

menzionato d.lgs. restano devoluti alla cognizione delle

sezioni specializzate anche se quello di primo grado od il

grado di appello intrapresi dopo l’entrata in vigore del

giudizio arbitrale siano cominciati o si siano svolti
secondo le norme precedentemente in vigore, a meno che non
sia intervenuta nell’ambito di essi una pronuncia sulla
competenza.
Perciò questa Corte ha considerato validamente decise anche
le controversie che — iniziate dopo il 19 marzo 2005 e
pendenti alla data del 15 agosto 2009 — siano state
promosse dinanzi a corti d’appello presso le quali non
siano state istituite le sezioni specializzate (Sez. 6 – 1,
Ordinanza n. 2102 del 2013), in conformità a quanto già
affermato da questa stessa sezione (Ordinanza n. 2203 del
2007) secondo cui «ai sensi del capoverso dello stesso
art. 6, d.lgs. n. 168 del 2003, che fa applicazione della
regola generale di cui all’art. 5 cod. proc. civ., restano
invece assegnate al giudice competente in base alla
normativa previgente le controversie già pendenti e
iscritte al ruolo alla data del 30 giugno 2003, quale che
sia il grado di giudizio nel quale esse si trovino al
momento dell’entrata in vigore della legge».
:

13

2.5. Nel caso di specie, in conclusione, la Corte d’appello

che ha deciso della controversia in esame è quella di
Torino presso la quali è stata – ab initio

istituita la

sezione specializzata per la proprietà industriale, al
. quale la causa è stata attribuita secondo Tabella

dell’Ufficio, e che quindi aveva pieno titolo a trattarla
senza che sia neppure applicabile la sanatoria di legge,
intervenuta dopo la pubblicazione della decisione della
Corte costituzionale (e in difetto di qualsiasi eccezione
di contestazione della costituzionalità dell’organo
giurisdizionale), e ciò alla luce della giurisprudenza di
legittimità sopra richiamata in materia di composizione
dell’organo giurisdizionale (generico e specifico),
peraltro costituito in maniera non difforme da quello
ordinario della Corte (per quantità ed estrazione dei suoi
componenti) e con le garanzie della specializzazione della
stessa proprio per l’esperienza accumulata nella materia
del diritto industriale.
3.

Il quarto motivo, che ha priorità logica e giuridica

rispetto ai restanti, deve essere esaminato subito dopo il
primo.
Infatti, è giusto il richiamo operato dalla ricorrente
circa la necessità che il giudizio di comparazione venga
effettuato anche in rapporto ai due tipi di prodotti messi
in commercio.
14

Questa Corte (Sez. 1, Sentenza n. 1424 del 2000), infatti,
ha già chiarito che «La norma di cui all’art. 1 del R.D. n.
929 del 1942 (come novellato dalla legge del 1992) sanziona
uno specifico illecito concorrenziale, che si realizza
quando un imprenditore determini, sul mercato, il rischio
di

confusione

tra prodotti

adottando

un marchio

r

confondibile con quello adoperato da un imprenditore
concorrente per contraddistinguere un prodotto affine. Il
giudizio di confondibilità va, in particolare, fondato sul
previo accertamento della eventuale identità o
confondibilità

tra

i

segni

adoperati,

nonché

sul

contestuale esame circa la identità o confondibilità tra
prodotti, sulla base (quantomeno) della loro ontologica
.

affinità».
3.1.

Tuttavia la doglianza non ha pregio perché è dato

pacifico che le due confezioni comparate riguardano lo
stesso tipo merceologico ossia il cotone idrofilo di prima
medicazione, e tale circostanza non ha mai formato oggetto
di contestazione, non emergendo dalla motivazione della
sentenza impugnata neppure la trattazione del punto.
Né la ricorrente dice se, come e quando ha agitato la
questione nel corso del giudizio di impugnazione .
4. Il secondo motivo di ricorso attiene a due diversi vizi,

.

uno di violazione di legge e l’altro di vizio della
motivazione.
15

4.1.Con riferimento al primo, con il quale si lamenta
l’erroneità dell’ordine di esibizione impartito dal
giudice, le censure e le argomentazioni attengono
palesemente al giudizio di primo grado e, quindi, come tali
esse sono inammissibili perché non censurano questioni
poste ed esaminate nel corso del giudizio di appello.
Invero,

la

ricorrente

afferma

di

aver

eccepito

l’inammissibilità della Ctu nella comparsa di costituzione
del giudizio di appello (senza ulteriori e più chiare
specificazioni), ma si tratta di richiamo che non attiene
all’ordine di esibizione bensì ad altro mezzo istruttorio
la cui ammissione discrezionale è principio consolidato
nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 15219 del 2007: la consulenza tecnica d’ufficio
è mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle
parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di
merito, rientrando nel suo potere discrezionale la
valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario
giudiziario e la motivazione dell’eventuale diniego può
anche essere implicitamente desumibile dal contesto
generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione
del quadro probatorio unitaramente considerato effettuata
dal suddetto giudice).
4.2.

Con riferimento al secondo profilo, con il quale la

ricorrente la censura si duole della acritica adesione
16

della Corte territoriale alla Ctu, l’inammissibilità della
doglianza risulta dalla mancata esposizione dei rilievi
mossi contro la Ctu da parte della ricorrente. Peraltro, a
tale proposito, va ricordato il principio di diritto (v.
Cass. Sez. L, Sentenza n. 125 del 2003) secondo cui quando

il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni

del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad una
particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo
obbligo ritenersi assolto con l’indicazione, come fonte del
proprio convincimento, della relazione di consulenza. Tanto
più quando manchino le critiche e i rilievi mossi contro di
essa.
5.

Infine, anche il terzo motivo è infondato, atteso che la

quantificazione del danno è stata operata sulla base delle
risultanze della Ctu relative al fatturato specifico della
società, dedotta una quota di prodotto che, ove non fosse
stato contraffatto il marchio, sarebbe stata venduta dalla
ricorrente, all’epoca dei fatti per cui è causa.
A tal proposito, deve affermarsi il principio secondo il
quale il danno cagionato all’impresa titolare del marchio
contraffatto non necessariamente consiste in una riduzione
delle vendite o in un calo del fatturato, rispetto al
periodo precedente considerato, potendo esso manifestarsi
solo in una riduzione del potenziale di vendita e quindi
consistere in una minore crescita delle vendite, senza che
17

si abbia una corrispondente riduzione od un calo rispetto
agli anni precedenti considerati. Cio’ accade, infatti,
quando le vendite sono in crescita nel corso del periodo

o

alcun calo o riduzione delle vendite, pur potendosi

manifestare un danno da riduzione del potenziale.

**
In conclusione il ricorso, complessivamente infondato, deve
essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento
delle relative spese, liquidate come da dispositivo.
PQM

Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali sostenute dalla resistente e che si
liquidano nella misura di e 5.200,00, di cui £200,00 per
esborsi, oltre alle spese forfettarie, nella misura del
15%, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1
sezione civile della Corte di cassazione, il 13 maggio
2014, dai magistrati sopra indicati.

preso in considerazione e, in tali casi, non si manifesta

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