Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13021 del 10/06/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 13021 Anno 2014
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23815 del R.G. anno 2007
proposto da:
D’Arcangeli Maria Luisa dom.ta in Roma via Costabella 23
presso l’Avv. Giuseppe Lavitola con l’avv. Claudio Manzia che la
rappresentano e difendono per procura a margine del ricorso
IsRe /115
INS04 F ricorrentecontro
Comune di Roma (oggi Roma Capitale)

in persona del

Sindaco, dom.to in Roma via del Tempio di Giove 21 presso l’avv.
Giorgio Pasquali che lo rappresenta e difende per procura speciale
in atti

-C

o tt(V81-S0586
contro ricorrente

nonché sul ricorso iscritto al n. 27169 del R.G. anno 2007
proposto da:
Comune di Roma (oggi Roma Capitale) in persona del Sindaco,
dom.to in Roma via del tempio di Giove 21 presso l’avv. Giorgio
Pasquali che lo rappresenta e difende per procura speciale in atti
ricorrente incidentale

Data pubblicazione: 10/06/2014

contro
D’Arcangeli Maria Luisa

intimata

avverso la sentenza 3597 del 4.09.2006 della Corte di Appello di
Roma ; udita la relazione della causa svolta nella p.u. del 09.04.2014
dal Pres.relatore Luigi MACIOCE; uditi gli avv.ti Claudio Manzia e Girgio
Pasquali; presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Pasquale Fimiani che ha concluso per l’accoglimento del principale
e per il rigetto dell’incidentale

Maria Luisa D’Arcangeli – in proprio e quale erede di Cesare Augusto e
Giuseppe D’Arcangeli – con citazione del 6.09.2002 convenne innanzi
alla Corte di Roma il Comune di Roma richiedendo determinarsi la giusta
indennità di una sua area di mq. 6.681 che, in attuazione della delibera
G.M. 2652 del 1995, era stata sottoposta a procedura di esproprio, e,
dopo l’occupazione avvenuta il 28.10.1996, definitivamente espropriata
con decreto 4.5.2000 notificato il 31.8.2000 e rinnovato in rettifica il
17.10.2000, previa fissazione di inadeguato indennizzo provvisorio di
lire 40.946.000. Con distinta successiva citazione del 27.01.2005 il Comune di Roma convenne la D’Arcangeli innanzi alla stessa Corte opponendosi alla stima effettuata dalla CPE nella somma di C 152.822, somma dal Comune ritenuta eccessiva in relazione alla assenza di potenzialità edificatoria dell’area. In entrambi i giudizii si costituirono i rispettivi
convenuti e la Corte di Roma, riuniti i procedimenti, con sentenza
4.09.2006 determinò l’indennità di esproprio dovuta dal Comune nella
somma di C 831.460 e l’indennità di occupazione legittima, per il periodo corrente dall’occupazione del 28.10.1996 sino all’adozione della espropriazione del 17.10.2000, nella somma di C 114.240 e di essa ordinò il deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti.
In motivazione la Corte di merito ha affermato che i terreni erano interni
ai piani particolareggiati dei PRG 1931 – 1965 del Comune di Roma e
quindi erano stati inseriti in z.o. D di edificabilità con indice non superiore a 3mc/mq, che applicando il metodo analitico ricostruttivo il CTU aveva individuato il valore venale delle aree in C 1.661.800, che applicando il criterio di cui all’art. 5 bis legge 359 del 1992 si perveniva
all’ammontare dimidiato (dopo l’incremento di legge) di C 831.460, che
erano teorici e non condivisibili i rilievi della D’Arcangeli sulla incostituzionalità dell’art. 5 bis, che la tesi del Comune di esaurimento della potenzialità edificatoria dell’area a beneficio di particella confinante era rimasta mera affermazione, che anche la tesi del Comune per la quale
sull’area già gravava una servitù di uso pubblico stradale era stata for2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

mulata solo in conclusionale ma attineva al merito ed era quindi esaminabile, che però il Comune non aveva dimostrato quando e con quali
finalità vi sarebbe stata la pretesa consegna bonaria della strada, che le
altre contestazioni del Comune sulla assenza di piani particolareggiati o
sulla individuazione del corretto indice di edificabilità erano state, la
prima, frutto di deduzione non conferente e, la seconda, di contro valorizzata dal CTU che aveva infatti applicato il minor indice territoriale di
1,95 mc/mq alla luce degli standards urbanistici.

12.09.2007 contenente due motivi e articolata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 5 bis, cui il Comune ha opposto difese nel controricorso del 22.10.2007 contenente ricorso incidentale articolato su tre
motivi. Le parti hanno depositato memorie finali ed i loro difensori hanno
discussoi oralmente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., ritiene il Collegio che il
ricorso principale meriti piena condivisione nel mentre non abbiano fonndamento le censure articolate nel ricorso incidentale
IL RICORSO PRINCIPALE
Il primo motivo dell’impugnazione principale denunzia la disattenzione mostrata per l’argomento, addotto da essa attrice, relativo alle
conseguenze inique, e contrarie ai parametri CEDU, dell’applicazione a
regolare l’indennizzo da espOpiazione per p.u., dell’art. 5 bis legge 359
del 1992. Il secondo motivo denunzia direttamente la violazione dell’art.
1 protocollo addizionale CEDU perpetrata dall’art. 5 bis. Il terzo motivo
contiene una articolata ed assai diffusa denunzia di incostituzionalità
dell’art. 5 bis dispiegata secondo vari profili da pag. 12 a pag. 57 del ricorso.
La fondatezza delle censure tutte, articolate quando già questa Corte
aveva rimesso alla Corte Costituzionale la relativa questione di illegittimitrà, non abbisogna di alcuna diffusa illustrazione alla luce della pronunzia di incostituzionalità, appunto sollecitata ampiamente nel ricorso,
operata dalla sentenza 348 del 2007 e che è successiva al ricorso.
Ma, quand’anche tali censure non fossero state così puntuali sulla
questione, quel che rileva è che, come più volte ribadito (Cass. 11274 e
2774 del 2012, 9763 del 2011, 25567 del 2010), anche la sola pre-

senza di censure sulla liquidazione dell’indennità, sia con riguardo al
criterio sia in relazione al quantum dell’indennizzo o del risarcimento ,
ìkvrebbe reso contestata da parte dell’espropriato detta statuizione e
avrebbe consentito, provvedendo sul ricorso, di dare ingresso al nuovo

3

Per la cassazione di tale sentenza la D’Arcangeli ha proposto ricorso il

criterio di indennizzo-risarcimento emergente dopo le sentenze 348 e
349 del 2007 della Corte Costituzionale (ancora il valore venale pieno di
cui all’art. 39 della legge 2359 del 1865), come più volte statuito da
questa Corte (Cass. n. 22409 del 2008 – n. 28431 del 2008 – n.
11004 del 2010).

A tal risultato di adozione del parametro del valore

venale pieno si perviene nel caso che occupa non già “provvedendo sul
ricorso” ( che avesse dispiegato censure sul quantum) ma accogliendone le ragioni di doglianza, esattamente quanto fondatamente articolate.

niens, invoca poi la decurtazione del 25% consentita dall’ art. 2 c. 89
della legge 244 del 2007 e da praticarsi sul valore venale accertando, in
ragione del carattere “economico sociale della riforma” a base
dell’esproprio de quo: ad avviso del Comune, la applicazione della decuretazione avrebbe luogo d’ufficio all’atto stesso del ricalcolo del dovuto
valore venale a beneficio della ricorrente principale. Ritiene il Collegio
che la decurtazione invocata – ed astraendo dalla questione della applicabilità ad esproprio del 17.10.2000 della norma del 2007 – sia da escludere radicalmente per l’assorbente rilievo per il quale in nessun
modo dalla dichiarazione di p.u. posta a base della avvenuta espropriazione di specie, volta a realizzare una rete stradale urbana, si potrebbe
desumere una ipotesi di esproprio per riforma econonomico-sociale (S.U.
5265 del 2008 e 9595 del 2012), difettando radicalmente, nella decisione espropriativa quale quella occorsa nella specie, i requisiti di cui
alla invocata previsione di legge (Cass. 13252 del 2013 e 6836 del
2014).
In parte qua – pertanto ed in accoglimento delle censure – si cassa
la sentenza impugnata, che, a fronte di espressa invocazione di ricalcolo
dell’indennizzo secondo i criteri poi fatti propri dalla sentenza 348/2007
della Corte Costituzionale, ha ritenuto di non accogliere la richiesta perché essa presentava un carattere affatto “teorico”.
IL RICORSO INCIDENTALE DEL COMUNE DI ROMA
Primo motivo: esso contesta che si sia – senza motivazione – negato
rilievo alla affermata e documentata cessione della strada al Comune da
parte del proprietario, essendo invece pacifico che essa avvenne e che
con tal cessione si verificò una vera e propria dicatio ad patriam costitutiva di servitù di uso pubblico.
Il motivo non ha fondamento alcuno: la Corte di merito, ha esaminato
specificamente la questione, disattendendo con ampia motivazione
(pagg. 6 e 7) i rilievi di improponibilità sollevati dalla espropriata, ed ha
negato rilevanza alla difesa comunale affermando che del verbale di ces-

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In memoria finale il Comune, che prende atto dello jus superve-

sione bonaria della strada non era traccia in atti e che neanche era specificato quando e per qual ragione la proprietà avesse ceduto la strada, e
se e per qual ragione detta cessione dovesse considerarsi definitiva e
non meramente precaria e contingente. Tale articolata ratio non risulta
neanche compresa dal motivo, il quale, affatto privo della necessaria
sintesi conclusiva (cfr. S.U. 16258 del 2008), reitera le proprie valutazioni sulla piena prova della dicatio ad patriam e nulla osserva e nulla
critica in ordine alle appena sintetizzate valutazioni negative della sen-

Secondo motivo: esso lamenta la commissione di violazione di legge
nel fatto che la decisione abbia desunto dalla pertinenza dell’area alla
z.o. D del PRG e dalla presenza dell’art. 7 nn. 1 e 3 delle relative NTA la
spettanza dell’intero indice fondiario di 3 mc/mq, senza tenere conto
delle possibilità effettive di edificazione.
Il motivo è del tutto fuor di segno, posto che neanche si avvede come la
Corte di Appello in sentenza (pag. 8 – primo cpv. – secondo periodo) ,
esaminando l’argomento posto dal Comune ed in questa sede meramente reiterato, abbia espressamente condiviso la valutazione peritale per la
quale l’indice da applicare era in realtà quello territoriale ragguagliato
agli spazi da destinare agli standards di urbanizzazione e pertanto si era
esattamente pervenuti all’indice di 1,95 mc/mq da applicare alla superficie espropriata e non già a quello fondiario di 3 mc/mq.
Terzo motivo: esso si duole, infine, della inadeguatezza della motivazione con la quale la sentenza aveva disatteso gli argomenti del Comune sulla assenza di un piano particolareggiato e pertanto sulla genericità dei tempi costruttivi ipotizzati dal CTU, in particolare non essendo
argomento accettabile quello per il quale tutta la zona era intensamente
urbanizzata.
La censura è inammissibile per genericità, non scorgendosi quale rilievo
abbiano i pretesi “doppi” tempi di realizzazione su costi da assumere alla
hase della stima ed anzi essendo palese che si tratta solo di una inammissibile proposta di rivalutare i fatti, una proposta che neanche evidenza vizi logici ma solo una inadeguatezza di merito della risposta data.
Conclusivamente, si cassa la sentenza in accoglimento del ricorso
principale, rigettato l’incidentale e, in difetto di alcuna esigenza di accertamento di fatti (i dati afferenti il dovuto valore venale pieno dell’area
espropriata essendo contenuti nella sentenza impugnata a pagg. 5 ed 8
e non essendo contestati dalle parti), si pronunzia ex art. 384 c.p.c. rideterminando il dovuto per indennità di esproprio (C 1.661.800 con gli
interessi dal decreto al versamento) e la base di calcolo della indennità

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tenza.

di occupazione legittima (gli interessi legali su detta somma dalla scadenza anno per anno per il periodo dalla occupazione all’esproprio e sino
al deposito. Si dispone il deposito del dovuto nelle forme di legge (al lordo di quanto già depositato).
Quanto alle spese di giudizio, appare conforme all’esito della lite
condannare il Comune alla refusione di quelle sostenute nel giudizio di
merito (nella misura esattamente determinata) nel mentre appare opportuno disporre – alla luce dell’esito determinato dallo jus superveniens

Comune gravato dell’onere di pagare alla ricorrente principale il residuo.
La liquidazione dei compensi del giudizio di legittimità si effettua sulla
base del sopravvenuto DM 55 del 2014.
P.Q. M.
Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e decidendo ex art. 384 c.p.c. determina l’indennità di esproprio dovuta dal Comune, oggi Roma Capitale, a
Maria Luisa d’Arcangeli nella somma di C 1.661.800 oltre interessi legali
da 17.10.2000 al deposito nonché determina l’indennità di occupazione
legittima parimenti dovuta nella somma pari agli interessi legali sul predetto importo, anno per anno e da ciascuna scadenza annua, da
28.10.1996 a 17.10.2000, con gli interessi legali sui singoli importi annui dalla scadenza annuale al deposito; ordina al Comune il deposito
delle dette somme nelle forme di legge, escludendo tutto quanto già depositato, versato e corrisposto alla D’Arcangeli; condanna il Comune di
Roma, oggi Roma Capitale, a pagare alla ricorrente D’Arcangeli per spese di giudizio:
C 22.642 oltre spese generali ed IVA e CPA per il merito;
Un mezzo delle, spese di legittimità, che determina per l’intero in
C 15.200 (C 15.000 per compensi) oltre IVA e CPA, compensato il
residuo mezzo.
Così eciso nella c.d.c. del 9 aprile 2014.
L’est nsore

Il Pr sidente

– la compensazione per metà di quelle di questo giudizio, restando il

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