Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1302 del 22/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 22/01/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 22/01/2021), n.1302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12398/17 R.G. proposto da:

S.C., rappresentato e difeso, giusta procura a margine del

ricorso, dall’avv. Fabrizio Losito, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Massimiliano Panci, in Roma, Piazza Regina

Margherita, n. 27;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della

Lombardia n. 6574/13/16 depositata in data 12 dicembre 2016;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

Umberto De Augustinis, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. S.C., con distinti ricorsi, impugnava gli avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2005, 2006, 2007 e 2008, con i quali l’Agenzia delle entrate, avendo accertato l’esistenza di disponibilità finanziarie presso l’istituto bancario svizzero in capo alla società Trust & Gain Asset Management S.A., riconducibile al contribuente in forza di elementi acquisiti dal registro del commercio del Cantone Ticino, aveva recuperato a tassazione maggiore IRPEF ed irrogato le relative sanzioni.

2. La Commissione tributaria provinciale di Milano, pur ritenendo legittima l’acquisizione e l’utilizzo della documentazione pervenuta dalle autorità fiscali francesi (cd. lista Falciani), accoglieva il ricorso sul rilievo che i soli dati desunti da tale documentazione non potessero suffragare la pretesa fiscale, in difetto di ulteriori elementi indiziari connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.

3. La decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate, veniva integralmente riformata, con la sentenza in epigrafe indicata, dalla Commissione tributaria provinciale della Lombardia, che confermava la legittimità degli atti impositivi.

In particolare, i giudici di appello, disattese le eccezioni di nullità degli avvisi di accertamento perchè sottoscritti da soggetto non rientrante nel ruolo dei dirigenti e per difetto di valida delega, rilevavano che l’acquisizione delle informazioni contenute nella cd. lista Falciani era stata del tutto legittima e che, valendo quale prova dell’esistenza di redditi non dichiarati da parte del contribuente e detenuti all’estero, era utilizzabile a supporto del recupero a tassazione. Aggiungevano che il contribuente, limitandosi a dichiarare una generica estraneità alla lista Falciani ed ai conti esteri nella stessa indicati, non aveva opposto nè l’avvenuta chiusura dei conti esteri, nè lo smobilizzo e trasferimento dei valori giacenti sui medesimi conti, nè tantomeno aveva dimostrato la destinazione dei fondi in questione e quindi il reingresso in Italia di tali disponibilità.

Discostandosi dalle conclusioni a cui erano pervenuti i giudici di primo grado, osservavano che l’Ufficio, assolvendo all’onere probatorio sullo stesso incombente, non si era limitato ad un generico richiamo alla lista Falciani al fine di giustificare la pretesa erariale, ma aveva apportato elementi certi in ordine alla riferibilità al contribuente dei dati dei conti correnti esteri, a

fronte dei quali il contribuente non aveva addotto prove di segno contrario.

Precisavano, al riguardo, che non risultava smentita la circostanza, addotta dall’Ufficio, secondo la quale erano state rilevate disponibilità finanziarie presso l’istituto di credito elvetico HSBC negli anni dal 2005 al 2008 in capo alla Trust & Gain Asset Management S.A., società riconducibile al Seregni in forza degli elementi acquisiti dal registro del commercio del Canton Ticino e nella quale lo stesso aveva ricoperto la carica di vicepresidente, nè era stata superata la circostanza, parimenti addotta dall’Ufficio, secondo la quale al contribuente risultava attribuita la quota del 100 per cento delle evidenze contabili contrassegnate dai conti (OMISSIS) n. (OMISSIS) e da (OMISSIS) n. (OMISSIS).

Rilevavano, infine, aderendo alle difese svolte dall’Agenzia delle entrate, che la presunzione legale del D.L. n. 78 del 2009, ex art. 12, commi 2 e 2-bis, avendo natura procedimentale, potesse trovare applicazione anche ai periodi d’imposta antecedenti alla sua entrata in vigore.

4. Per la cassazione della sentenza S.C. propone ricorso, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

In prossimità dell’adunanza camerale, il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo – rubricato “Art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione di legge. Violazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, commi 2 e 2-bis (circa la natura sostanziale ed irretroattiva della norma relativa al raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale)” – il ricorrente deduce che la Commissione regionale, mal interpretando la norma, ha ad essa attribuito natura processuale, e non sostanziale, e, dunque, efficacia retroattiva.

1.1. Il motivo, pur giuridicamente fondato, non giova al contribuente come sarà meglio precisato nel prosieguo della motivazione sul secondo motivo.

1.2. Il D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, in vigore dal 1 luglio 2009, convertito con modificazioni dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, stabilisce che “in deroga ad ogni vigente disposizione di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato di cui al D.M. Finanze 4 maggio 1999, n. 107, e al D.M. Economia e Finanze 21 novembre 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 23 novembre 2001, n. 273, senza tenere conto delle limitazioni ivi previste, in violazione degli obblighi di dichiarazione di cui alla L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 4, commi 1, 2 e 3, convertito dalla L. 4 agosto 1990, n. 227, ai soli fini fiscali si presumono costituiti, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione…”.

1.3. Anche se nei documenti di prassi viene ad essa riconosciuta natura procedimentale (si vedano al riguardo la circolare n. 19/E del 12 giugno 2017 e la circolare n. 6/E del 19 febbraio 2015), questa Corte, con numerose pronunce (Cass., sez. 6-5, 2/02/2018, n. 2662; Cass., sez. 5, 21/12/2018, n. 33223; Cass., sez. 6-5, 12/02/2018, n. 3276; Cass., sez. 5, 29/11/2019, n. 31243; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29632 e 29633; Cass., sez. 5, 28/11/2019, n. 31085; Cass., sez. 5, 19/12/2019, n. 33893; Cass., sez. 5, 25/02/2020, n. 4984), ha statuito che la presunzione di evasione sancita, con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 102 del 2009, non ha efficacia retroattiva, e ciò sia in quanto le norme in tema di presunzioni sono collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile, e sia perchè una diversa interpretazione, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., verrebbe a pregiudicare l’effettivo espletamento del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione.

1.4. Si è, altresì, precisato, con riguardo all’interpretazione dell’incipit del D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, “In deroga ad ogni vigente disposizione di legge…”, che la disposizione ha “la precipua finalità di avvantaggiare la posizione del Fisco sul piano dell’accertamento, dando per certo, salva la prova contraria, il fatto della costituzione degli investimenti ed attività finanziarie non dichiarati nei menzionati Paesi o territori a regime fiscale privilegiato mediante redditi sottratti a tassazione”, per cui l’inciso deve intendersi in modo che la deroga espressa ivi contenuta sia da porre in relazione agli ordinari strumenti accertativi (Cass., sez. 5, 19/12/2019, n. 33893).

2. Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione del D.L. n. 78 del 2009, art. 2, e dell’art. 2727 c.c., sostiene che i dati bancari desunti dalla lista Falciani hanno natura di mero indizio circa le presunte attività fiscali in paesi black list e che, sebbene l’ente accertatore possa provare l’esistenza di redditi non dichiarati, detenuti in Paesi a regime fiscale privilegiato, anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, la C.T.R. si è limitata ad affermare che l’Ufficio avrebbe apportato elementi certi per riferire i dati dei conti correnti esteri al contribuente, ma non ha esplicitato tali elementi, che d’altro canto non esistono, posto che la società, alla quale la sentenza faceva riferimento, e di cui era risultato vicepresidente, non era un trust, come erroneamente ritenuto a pag. 15 della sentenza.

Lamenta, quindi, che i giudici regionali non hanno fatto corretta applicazione delle presunzioni ex art. 2729 c.c., in quanto il fatto noto, peraltro contestato, della presenza nella lista Falciani di società di cui era stato vicepresidente, non poteva far presumere che egli avesse occultato al fisco le disponibilità che l’Agenzia delle entrate, in modo apodittico, gli ascriveva, nè che di esse avesse beneficiato.

3. Con il terzo motivo, deducendo omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, il ricorrente lamenta che la C.T.R. avrebbe del tutto omesso di valutare a) il fatto che, non solo la riferibilità delle somme, ma anche la tassabilità delle giacenze e la misura della tassazione erano state frutto di una mera presunzione fiscale derivante dall’applicazione retroattiva del D.L. n. 78 del 2009, art. 12; b) il fatto che era incerta la determinazione della valuta, avendo l’Agenzia delle entrate apoditticamente ritenuto, in difetto di qualsiasi elemento, che le giacenze presso la banca svizzera si riferissero ad importi in dollari americani; c) il fatto che era errata la misura di tassazione delle somme in ragione dell’applicazione del D.L. n. 167 del 1990, art. 6, nonchè dell’applicazione, ad annualità precedenti all’anno 2007, del tasso medio di sconto determinato dalla Banca d’Italia dell’anno 2007.

4. Il secondo motivo è infondato.

4.1. L’inapplicabilità retroattiva della presunzione legale di evasione stabilita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, – come ripetutamente affermato da questa Corte – non esclude che l’Ufficio possa provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, e detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata, sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche). Infatti, in tema di presunzioni semplici, gli elementi di prova non devono essere più di uno (ancorchè l’art. 2729 c.c., si esprima al plurale), potendo il giudice fondare il proprio convincimento anche su uno solo di essi, purchè grave e preciso, dovendo il requisito della “concordanza” ritenersi menzionato dalla legge solo in previsione di un eventuale, ma non necessario, concorso di più elementi presuntivi (Cass., sez. 1, 26/09/2018, n. 23153; Cass., sez. 5, 14/11/2019, n. 29633). In particolare, anche in tema di prova civile nel giudizio conseguente ad accertamento tributario, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purchè grave e precisa, e la relazione fra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevolezza e probabilità (Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 656; Cass., sez. 6-5, 28/04/2015, n. 8605; Cass., sez. 6-5, 12/02/2018, n. 3276, la quale ha affermato, proprio con riferimento alle risultanze della lista Falciani, che l’Amministrazione finanziaria può fondare la propria pretesa anche su un unico indizio, se grave e preciso, ossia dotato di elevata valenza probabilistica).

Parimenti fermo è l’avviso di questa Corte secondo il quale la valutazione della rilevanza di tale elemento nell’ambito del processo logico applicato in concreto non è sindacabile in sede di legittimità, purchè sia sorretta da motivazione adeguata e logicamente non contraddittoria (Cass., sez. 5, 9/04/2008, n. 9203; Cass., sez. 5, 15/01/2014, n. 656; Cass., sez. 5, 27/07/2018, n. 19987)

4.2. A tali principi si è attenuta la Commissione regionale, la quale, ritenuta l’utilizzabilità della lista Falciani, ha affermato che i dati nella stessa contenuti “appaiono arricchiti e confermati da quanto emerso e dichiarato nel processo penale dalla Polizia giudiziaria che ha svolto accertamenti sulle annotazioni della lista Falciani, riconducendo alcuni conti alla persona dell’attuale contribuente parte appellata”; ha poi spiegato che gli stessi dati trovano conferma negli “elementi certi”, offerti dall’Amministrazione, in ordine alla riferibilità dei conti correnti all’odierno ricorrente, precisando, a tale riguardo, che “il contribuente non ha portato alcun elemento per smentire la circostanza, addotta dall’Ufficio, secondo la quale risultavano disponibilità finanziarie presso l’istituto di credito elvetico HSBC negli anni dal 2005 al 2008 in capo al Trust & Gain Management SA n. (OMISSIS), società riconducibile al contribuente in forza degli elementi acquisiti dal registro di commercio del Canton Ticino, società nell’ambito della quale la parte appellata aveva ricoperto la carica di vicepresidente, risultando altresì beneficiario del 50% di sei rubriche relative al suddetto trust. Analogamente il contribuente non ha portato alcun elemento per smentire la circostanza, addotta dall’Ufficio, secondo la quale all’odierna parte appellata era attribuita la quota del 100% delle evidenze contabili contrassegnate da (OMISSIS) n. (OMISSIS) e da (OMISSIS) n. (OMISSIS)”.

Tale ragionamento decisorio non presenta alcun vizio, in quanto i giudici di merito, partendo dal presupposto che gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione finanziaria, emergenti sia dagli esiti del processo penale che dagli accertamenti amministrativi svolti, consentono di ritenere che i conti correnti in contestazione sono riferibili alla persona del contribuente, che ne risulta beneficiario, hanno correttamente ritenuto provata la pretesa tributaria sulla base di presunzioni semplici, in assenza di idonea prova contraria da parte del S..

Infatti, la presenza, non contestata, di disponibilità finanziarie sui conti correnti accesi presso l’istituto di credito elvetico, emergenti dalla lista Falciani, corroborata dai dati raccolti tramite le indagini svolte presso la Camera di Commercio del Canton Ticino, lasciano ritenere che l’Amministrazione abbia assolto al suo onere probatorio e che la Commissione regionale abbia fatto buon governo dei criteri presuntivi dettati dall’art. 2729 c.c., valutando tutti i fatti sottoposti al suo esame.

Ovviamente il controllo di logicità del giudizio di fatto non può tramutarsi in una revisione del ragionamento decisorio che ha condotto il giudice all’appello ad una determinata decisione, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua nuova formulazione, preclusa al giudice di legittimità al quale non è consentito procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso una propria valutazione dei fatti di causa.

5. Il terzo motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto il ricorrente non specifica la decisività dei fatti che si assume la C.T.R. abbia omesso di esaminare e valutare, ed omette, soprattutto, di trascrivere o comunque di riportare, seppure per stralci, il contenuto del processo verbale di constatazione e dell’avviso di accertamento, al fine di consentire a questa Corte di avere cognizione piena dei fatti di causa e delle questioni prospettate dalle parti nel corso del giudizio di merito (Cass., sez. 5, 30/04/2020, n. 8425).

6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2021

 

 

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