Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13008 del 30/06/2020
Cassazione civile sez. VI, 30/06/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 30/06/2020), n.13008
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6825-2019 proposto da:
C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, V. FLAMINIA
388, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PASSALACQUA,
rappresentata e difesa dall’avvocato PIER LUIGI VECCHIOTTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 127/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 23/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 23/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott.ssa RUBINO
LINA.
Fatto
RILEVATO
che:
1. C.E. propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, nei confronti del Ministero della Salute, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Ancona – sezione lavoro n. 127/2018, depositata il 23 agosto 2018, non notificata.
2. Resiste con controricorso il Ministero della Salute.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta fondatezza dello stesso.
4. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.
Diritto
RITENUTO
che:
1.II Collegio condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso della manifesta fondatezza di esso.
2.Questi i fatti, per quanto ancora qui rilevino:
– C.E. agiva in giudizio nei confronti del Ministero della Salute, nel 2014, proponendo separatamente la domanda per la corresponsione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, e una domanda per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale del Ministero della Salute e la condanna dello stesso al risarcimento di tutti i danni subiti a seguito del contagio di HCV, accertato nel 2011 ma derivante dalle trasfusioni alle quali si era dovuta sottoporre nel 1985, allorchè veniva sottoposta a parto cesareo presso l’ospedale civile di San Benedetto del Tronto;
– i due procedimenti venivano riuniti, veniva disposta CTU che accertava la riconducibilità dell’infezione alle trasfusioni di sangue del 1985 in termini di sostanziale certezza, entrambe le domande venivano accolte in primo grado, mentre in appello la domanda di risarcimento danni veniva rigettata, non ritenendo la corte d’appello che l’appellata avesse fornito la prova del nesso causale tra le trasfusioni, risalenti a molti anni prima e il contagio diagnosticatole nel 2011.
3. La ricorrente deduce con il primo motivo la violazione degli artt. 2735,2733 c.c. e art. 116 c.p.c. laddove la corte d’appello non avrebbe attribuito il valore di prova legale di confessione alle dichiarazioni rese dalla Commissione medica ospedaliera allorchè riconosceva esser dovuto l’indennizzo alla odierna ricorrente, in violazione del principio di diritto affermato da Cass. n. 15734 del 2018: “In tema di danni da emotrasfusioni, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il Ministero della salute, l’accertamento della riconducibilità del contagio ad una emotrasfusione, compiuto dalla Commissione di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 4, in base al quale è stato riconosciuto l’indennizzo ai sensi di detta legge, non può essere messo in discussione dal Ministero, quanto alla riconducibilità del contagio alla trasfusione o alle trasfusioni individuate come causative di esso, ed il giudice deve ritenere detto fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo la Commissione organo dello Stato, l’accertamento è da ritenere imputabile allo stesso Ministero”.
Col secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 270 c.c. e 116 c.p.c. sempre in relazione all’omessa attribuzione di prova legale al verbale della commissione in quanto atto pubblico.
Con il terzo motivo, deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, e indica una serie di risultanze istruttorie.
Con il quarto motivo, deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente perchè la sentenza non spiegherebbe perchè la relazione della CMO impedirebbe una verifica logica e di rispetto delle regole tecniche del ragionamento adottato dalla commissione medesima.
Il primo motivo è fondato e va accolto, ritenendo il Collegio di dar seguito in questa sede al principio di diritto sopra richiamato dalla ricorrente, enunciato da Cass. n. 15374 del 2018 e poi confermato da Cass. n. 22183 del 2019.
La corte territoriale non ha dato in effetti alcuna comprensibile spiegazione dell’iter logico che l’ha portata, a fronte del predetto accertamento della CMO, richiamato dalla ricorrente in appello, a privare di alcun valore probatorio l’accertamento da essa positivamente condotto.
Gli altri motivi rimangono assorbiti.
La sentenza impugnata è cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2020.
Depositato in cancelleria il 30 giugno 2020