Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 13008 del 23/06/2016


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Cassazione civile sez. III, 23/06/2016, (ud. 07/04/2016, dep. 23/06/2016), n.13008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8430/2013 proposto da:

C.A., (OMISSIS), C.P.

(OMISSIS), CU.AL. (OMISSIS), N.

I. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

PARENTI, che li rappresenta e difende giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

F.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA L.

MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato STUDIO GARDIN,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANO COLARUSSO giusta procura

speciale in calce al controricorso;

MILANO ASSICURAZIONI SPA in persona del Procuratore G.

G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76,

presso lo studio dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE RAMELLINI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 558/2012 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI

TARANTO, depositata il 23/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE RAMELLINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. N.I., C.A., P. e Al., nella qualità di eredi del defunto C.T., deceduto a seguito di un sinistro stradale, convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Taranto, l’avv. F.C., chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni nei loro confronti, determinati in Lire 789.910.000, a titolo di responsabilità professionale.

A sostegno della domanda esposero che il professionista aveva omesso di promuovere il giudizio risarcitorio nei confronti dell’ANAS a seguito della morte del proprio familiare, lasciando colpevolmente che il diritto al risarcimento cadesse in prescrizione.

Si costituì l’avv. F. chiedendo il rigetto della domanda, sul rilievo di non aver mai ricevuto dagli attori alcun incarico professionale; chiese, altresì, di poter chiamare in giudizio la propria assicurazione.

Si costituì quindi in giudizio anche la Milano Assicurazioni s.p.a. la quale, oltre a contestare alcuni inadempimenti del professionista, si associò comunque alla richiesta di rigetto della domanda.

Il Tribunale accolse la domanda per quanto di ragione e condannò il convenuto al risarcimento dei danni, riconoscendo un diritto di manleva a carico della società di assicurazione con una franchigia del 10 per cento.

2. La pronuncia è stata appellata da tutte le parti costituite e la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 23 ottobre 2012, in riforma di quella del Tribunale, ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni, con assorbimento di tutte le altre questioni e compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

Ha premesso la Corte territoriale che l’avv. F. era stato sottoposto a processo penale per il reato di truffa contrattuale in relazione ai medesimi fatti oggetto del presente giudizio ed era stato assolto con la formula piena (perchè il fatto non sussiste).

Pur non avendo la sentenza penale efficacia vincolante in sede civile, tuttavia il riesame del materiale probatorio raccolto, sia in sede penale che civile, non poteva che condurre alla medesima decisione. Ha osservato la Corte tarantina, infatti, che dagli atti emergeva che l’avv. F. aveva sconsigliato i familiari del defunto C. dall’intraprendere un’azione giudiziaria nei confronti dell’ANAS, in quanto dal rapporto della Polizia stradale era emerso che il sinistro era da ascrivere a colpa del defunto medesimo.

La sentenza in esame ha poi aggiunto che il contratto di patrocinio non è soggetto a vincoli di forma, perchè solo il conferimento di una procura alle liti conferisce al difensore lo ius postulandi. Ne consegue che l’avv. F. sarebbe incorso in responsabilità professionale se avesse proposto l’azione nei confronti dell’ANAS senza prospettare ai clienti le questioni di fatto e di diritto che si palesavano ostative ad un possibile accoglimento della domanda.

D’altra parte, una volta dimostrato che il professionista aveva sconsigliato agli eredi C. di promuovere il giudizio, era evidente che costoro avrebbero potuto comunque insistere per conferirgli ugualmente il mandato, cosa che non era avvenuta.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Lecce propongono ricorso N.I., C.A., P. e Al., con unico atto affidato a tre motivi.

Resistono l’avv. F. e la s.p.a. Milano Assicurazioni con separati controricorsi.

I controricorrenti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 85 del codice di procedura civile.

Rilevano i ricorrenti che la sentenza impugnata sarebbe contraria a pacifica giurisprudenza di legittimità secondo cui la procura alle liti deve essere distinta dal mandato; la procura è un negozio unilaterale che investe il difensore del potere di rappresentare, mentre il mandato è un negozio bilaterale grazie al quale il difensore viene incaricato di svolgere la sua opera professionale. Ai fini della conclusione del contratto di patrocinio non è necessaria la procura alle liti, perchè per il mandato c’è libertà di forma.

Nella specie, i ricorrenti reputano pacifico che il mandato fu conferito all’avv. F., come risulterebbe dalle prove in atti, ivi compreso l’interrogatorio formale, per cui la negligenza del professionista dovrebbe ritenersi dimostrata.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c..

I ricorrenti ricordano che la prestazione professionale di un avvocato costituisce obbligazione di mezzi e non di risultato e osservano che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che l’avv. F. poteva essere assoggettato, al massimo, a colpa per avere promosso un giudizio senza averne ricevuto alcun incarico. Vero sarebbe, invece, che l’avvocato avrebbe dovuto attivarsi in altro modo, facendo sottoscrivere la procura alle liti e interrompendo la prescrizione anche con l’invio di una lettera raccomandata.

3. Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Rilevano i ricorrenti che la sentenza sarebbe errata per non aver adeguatamente considerato, a differenza del Tribunale, le varie ragioni colpa a carico dell’avv. F., responsabile per non aver dato seguito a quanto da loro chiesto dai familiari del defunto C..

4. I tre motivi, benchè differenti, sono tra loro connessi, per cui possono essere decisi congiuntamente e sono tutti privi di fondamento.

4.1. Va innanzitutto premesso che essi presentano varie ragioni di inammissibilità, che si concretizzano soprattutto nel mancato rispetto dei criteri di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6); in tutte le censure, infatti, si fa riferimento ad atti processuali (documenti, deposizioni testimoniali etc.) senza indicare nè se, nè dove o come gli stessi siano stati messi a disposizione di questa Corte. Il terzo motivo, poi, nonostante la sua formulazione, contiene in effetti una censura di vizio di motivazione che dovrebbe essere considerata inammissibile, in quanto riferita ad una sentenza che è soggetta, ratione temporis, al regime del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), del codice di rito.

4.2. Tanto premesso, questo Collegio rileva che la Corte d’appello, con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, è pervenuta a formulare due motivate e decisive affermazioni, e cioè che non vi fu alcun conferimento di mandato professionale e che, anzi, l’avv. F. aveva sconsigliato gli eredi C. dal promuovere il giudizio nei confronti dell’ANAS, perchè, a suo giudizio, il familiare degli odierni ricorrenti, deceduto nel sinistro stradale, ne era l’unico responsabile, essendo finito fuori strada per eccesso di velocità. Non è questa, ovviamente, la sede per valutare la correttezza di quel giudizio; ciò che conta è che la decisione circa l’opportunità o meno di promuovere una causa è una tipica attribuzione tecnica del difensore, il quale ha anzi il dovere di farlo, dissuadendo i clienti dal cominciare le c.d. cause perse. Ne consegue che, una volta affermato che l’avv. F. aveva sconsigliato di intraprendere il giudizio risarcitorio, tutte le rimanenti affermazioni (di cui, soprattutto, al primo ed al secondo motivo di ricorso) diventano irrilevanti, perchè non poteva pretendersi da lui che si attivasse per la promozione del giudizio stesso; che i familiari, da parte loro, ben avrebbero potuto intraprendere anche rivolgendosi, se del caso, ad un altro difensore.

Ciò comporta che la distinzione tra procura alle liti e mandato professionale, sulla quale i ricorrenti insistono nel primo motivo richiamando correttamente la giurisprudenza di questa Corte in materia, non può rivestire alcun interesse ai fini dell’accoglimento del ricorso, posto che non vi fu alcun conferimento di incarico professionale. Ne rimane di conseguenza escluso ogni possibile profilo di colpa professionale del difensore.

5. In conclusione, il ricorso è rigettato.

In considerazione degli alterni esiti dei giudizi di merito, la Corte ritiene equo compensare integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 giugno 2016

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